la Repubblica, 15 gennaio 2022
Conaca del funerale di David Sassoli
Dice Giulio che ci ha provato, a «restituire un ritratto quotidiano» del suo papà; di David Sassoli, del presidente del Parlamento Europeo, dell’ex anchorman e vicedirettore del Tg1 che ogni giorno, per anni, è stato a tavola con tutti noi, conducendo il tiggì dentro la scatola della televisione. «Non ci sono riuscito: la tua spontaneità e i tuoi modi di fare sono stati autentici in ogni contesto », dice prima di gonfiare gli occhi di lacrime a tutti. Nella basilica di Santa Maria degli Angeli, in cui si celebra il solenne funerale di Stato; e nel giardino delle Terme di Diocleziano, dove si applaude e ci si stringe davanti a un maxischermo, gli dedica quello stesso monito che mille volte il padre gli aveva rivolto sorridendo: «Buona strada papà, e mi raccomando: giudizio».
C’è un timido sole, molto silenzio, un’aria austera e dolce. L’uomo di Stato è in un feretro avvolto in una bandiera che non è il Tricolore; è quella blu e con le stelle d’oro, le stelle che fino alla fine ha tentato di aumentare allargando l’Unione agli altri Paesi candidati. A mezzogiorno, insieme ai familiari e agli amici, nella basilica ci sono le più alte istituzioni europee ed italiane. C’è il presidente Sergio Mattarella, il premier Mario Draghi, i presidenti di Senato e Camera Elisabetta Casellati e Roberto Fico; la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e del Consiglio europeo Charles Michel; e con loro il premier spagnolo Pedro Sanchez, i ministri italiani ed europei, il segretario del Pd Enrico Letta, Mario Monti, Gianni Letta, Romano Prodi e tanti altri.Il fratello, il padre, l’amico, il compagno di tante battaglie è nei ricordi dal pulpito: se n’è andato «l’uomo dal sorriso guascone e dagli occhi vispi, ma che arrossiva ai complimenti. Che ci insegna che la fama, la popolarità, ha senso solo se si riescono a fare cose utili», dice ancora il figlio Giulio: «Ci lasci una bellissima famiglia allargata di cugini che sono fratelli, di collaboratori diventati figli; di avversari diventati colleghi e di colleghi amici».
Sapeva che per lui era finita, ma aveva, racconta il figlio «la dignità di chi non ha mai fatto pesare la malattia a nessuno. “Sì, ma io c’ho da fa’”, continuava a ripetere in ospedale, senza mai cedere allo sconforto e dimostrandoci che in un mondo di scuse e giustificazioni l’unico modo per combattere fosse continuare a lavorare». È l’etica dell’impegno: «Impossibile non volerti bene», dicono i collaboratori leggendo «l’unico discorso che non ti abbiamo potuto far vedere prima».
Il peso dell’addio imminente lo aveva confidato alla moglie Alessandra: «“Ho avuto una vita bella, decisamente molto bella, anche se un bel po’ complicata. E finirla a 65 anni è davvero troppo presto”. Questo mi dicevi solo due settimane fa, quando avevi capito già tutto mentre noi giocavamo a nasconderci la realtà, sperando l’impossibile. Sarà durissima, ma ci hai dimostrato che niente è impossibile». La figlia Livia cita «le parole del tuo ultimo messaggio di poche settimane fa», quel «silenzio del pianeta» di cui «abbiamo avuto paura ma abbiamo reagito costruendo una nuova solidarietà». È il ricordo delle battaglie ai «muri eretti contro persone che chiedono riparo dal freddo, dalla fame, dalla guerra, dalla povertà». Gli ex colleghi del Tg1affidano a Elisa Anzaldo il ricordo delle «infinite discussioni a mensa» e dei «muri di gomma sfondati con la tenacia della gentilezza». «Era il compagno di classe che tutti avremmo desiderato. Un uomo di parte, ma di tutti, perchè la sua parte era quella della persona», dice l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, amico dal liceo. Un lungo applauso saluta il feretro, diretto a Sutri per la tumulazione.