la Repubblica, 15 gennaio 2022
Quanti voti mancano a Berlusconi per il Quirinale?
All’apparenza è il giorno di Silvio Berlusconi. Il centrodestra lo prega di sciogliere la riserva. Si impegna a sostenerlo. È un vincolo. Ma forse non è proprio così pensano dalle parti di palazzo Chigi, dove si fa largo un prudente ottimismo. Non si è mai visto uno schieramento chiedere al proprio candidato alla presidenza della Repubblica di avere i numeri necessari all’elezione. Il centrodestra arriva a 452 voti, ne occorrono altri cinquanta almeno, al netto dei franchi tiratori che non mancano mai. Il Cavaliere li ha? Al momento non ha saputo offrire alcuna garanzia. È un gioco delle parti. Una grande commedia italiana. Infatti, la decisione sui numeri sarà presa venerdì 21. Quello è il cimento.
Se Berlusconi non si ritira, allora si va alla conta alla quarta votazione, quando servono 505 voti. Se non ce la fa ecco allora la vera carta: Mario Draghi, alla quinta votazione. Il centrodestra quanto è compatto a sostenere il proprio candidato bandiera? Il deputato di Coraggio Italia, Osvaldo Napoli, per dire, si è subito smarcato dall’appoggio a Berlusconi. Segno che il fronte pro Silvio è molto meno unito di quel che vuol fare credere. E del resto, il vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana, nell’intervista a Repubblica dell’8 gennaio, lo aveva maliziosamente messo in guardia da una Caporetto stile 101-Prodi.
Con il fondatore del centrodestra al Colle si andrebbe al voto, perché troppo divisivo, ragionano in tanti, mentre nelle ultime giornate in Parlamento è sorta la convinzione che Draghi invece garantirebbe il proseguo della legislatura. Esattamente il contrario di quel che si ipotizzava soltanto pochi giorni fa.
Gianni Letta, che lavora per un presidente super partes, è andato a palazzo Chigi, a trovare il capo di gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello. È un altro indizio che gioca a sfavore di Berlusconi. Anche l’elezione a presidente del Consiglio di Stato di Franco Frattini, l’ex ministro degli esteri eletto presidente del Consiglio di Stato, è stata letta in chiave Quirinale. Nel senso che potrebbe rappresentare il candidato di un fronte più ampio del centrodestra – un blocco che andrebbe fino a Italia viva e Conte per eleggere un Capo dello Stato di area.Nel Palazzo restano alte anche le quotazioni di Sergio Mattarella, il cui bis viene visto come una rete di protezione del sistema. Mattarella ha salutato i cronisti che lo hanno seguito nel settennato: «Vi ringrazio per la professionalità con la quale mi avete seguito. Sono sicuro che sarà così anche con il mio successore» ha detto ricevendo al Quirinale i quirinalisti.
La verità è che a dieci giorni dalla prima votazione siamo ai rebus. È una vigilia che ricorda quella del 1992, quando ci volle la strage di Capaci per sbloccare lo stallo. Allora ai blocchi di partenza ogni partito scelse un candidato di bandiera: la Dc Giorgio De Giuseppe, il Pds e Rifondazione Nilde Iotti, i Verdi Norberto Bobbio, il Psi Giuliano Vassalli, la Lega Gianfranco Miglio, i radicali Oscar Luigi Scalfaro, La Rete di Leoluca Orlando Tina Anselmi. Il candidato della Dc, Arnaldo Forlani, si ritirò alla sesta votazione, dopo avere preso 479 voti, e per le dieci successive si girò a vuoto. Alla fine maggioranza e opposizione trovarono l’accordo su Oscar Luigi Scalfaro. L’uomo giusto, in quell’Italia squassata dagli scandali, arrivò alla sedicesima votazione.
Ma ci sono analogie anche con il 1971. Quella volta il favorito era Amintore Fanfani, che presiedeva il Senato. Le Monde lo paragonò ad Eddy Merckx, il campione di ciclismo. Il suo avversario era un altro cavallo di razza, Aldo Moro. La Dc era divisa. Stallo totale. Il 16 dicembre, dopo otto giorni di voti infruttuosi, le tensioni esplosero. Il comunista Giancarlo Pajetta vide due democristiani – Pietro Buffone e Edoardo Speranza – scambiarsi dei bigliettini davanti alla buvette. «Controllano i voti», urlò. E provò a impossessarsi dei pizzini. Buffone li difese dandogli uno spintone. Altri parlamentari accorsero. Gran rodeo. Maleparole. Il dc Gabriele Semeraro gli disse: «Ti spacco la faccia». «Terrorista!», gli gridò Bernardo D’Arezzo. «Cosa credi di essere in Russia? », lo apostrofò Nicola Di Lisa. Pajetta, accerchiato, fu salvato da Giorgio Amendola, che aveva un fisico imponente. Era la vigilia dell’undicesima votazione. Ce ne vollero altre dodici per eleggere Giovanni Leone, il terzo incomodo tra Fanfani e Moro.