La Stampa, 14 gennaio 2022
Intervista a Riccardo Cocciante
«Questa pandemia ci ha colpiti tutti facendoci riflettere, ma il mio rifugio è la musica, che è insieme culla e carezza. Con la musica ritrovo l’essenza della vita». Riccardo Cocciante ha presentato ieri, insieme a tutto il cast originale, l’edizione del ventennale del musical Notre Dame De Paris annunciando che solo per il 2022 torneranno in scena, tra gli altri, Lola Ponce nei panni di Esmeralda e Giò Di Tonno in quelli di Quasimodo. Lo spettacolo ha scenografie e balletti che gli hanno fatto guadagnare 1346 repliche e più di 4 milioni di spettatori in tutto il mondo. Tratto dal romanzo di Victor Hugo Notre Dame, il prossimo 3 marzo riprenderà dagli Arcimboldi di Milano un viaggio partito il 14 marzo del 2002 al Granteatro di Roma che fu costruito per l’occasione.
Due decenni di successi internazionali per uno show visto inizialmente come una scommessa in perdita.
«Fu Davide Zard, scomparso nel 2018 e tutt’oggi ricordato come uno dei più illuminati promoter italiani, ad appoggiare il mio sogno, e il paroliere Pasquale Panella adattò poi le liriche originali di Luc Plamondon. Nessuno voleva rischiare, ma buttarsi porta spesso a successi insperati e meravigliosi».
I protagonisti della piéce, il gobbo Quasimodo e la zingara Esmeralda, appaiono subito come degli emarginati. Visto oggi sembra un manifesto sull’inclusività e sul bisogno di un’armonia che, però, passa attraverso il dramma.
«Per un artista essere unico è difficile, ma per me questa è la condizione essenziale per esserlo; l’artista deve saper soffrire per la sua differenza e anche io all’inizio della mia carriera ho dovuto reagire ai rifiuti, mi dicevano che non andavo bene, che ero sempre arrabbiato, cantavo chiudendo gli occhi e soprattutto non avevo il fisico perché non ero prestante secondo certi canoni».
L’opera che nessuna voleva produrre è diventata quella dei record.
«In due decadi di storia italiana, lo show è stata tradotto e adattato in 9 lingue – francese, inglese, italiano, spagnolo, russo, coreano, fiammingo, polacco e kazako – e ha attraversato 20 Paesi in tutto il mondo con più di 5.400 spettacoli, richiamando 13 milioni di spettatori. Ci siamo buttati e abbiamo vinto».
Ha detto che la cultura è stata messa da parte anche se ci fa andare avanti. Un Papa diceva che se non ci fosse la cultura l’umanità non sarebbe arrivata sino a qui.
«Noi artisti cerchiamo di ricominciare a vivere perché la cultura è stata messa da parte: dobbiamo approfittare del momento per far nascere qualcosa di nuovo. Diamo un esempio, andiamo sul palco e cerchiamo di essere più forti di prima, ripartiamo perché anche se tutto sembra più difficile proprio per questo dobbiamo cercare di vivere meglio, di approfittare per ricreare qualcosa di diverso come ci insegna la natura: dopo un incendio rinasce e si ricrea con qualcosa di nuovo e più bello».
Seppur all’apice del successo lei lasciò il suo Paese per trasferirsi all’estero. Cosa l’ha spinta a farlo?
«Allora lo feci per ragioni mie ma ora, guardandola da fuori, trovo l’Italia molto arrotolata su se stessa; gli artisti dovrebbero guardare tutto con uno sguardo più ampio e non lasciarsi invischiare dalla routine del lavoro. Si rischia di cadere in un circolo vizioso che ti affossa e io ho sempre cercato di uscire dal sistema».
Gli ultimi festival di Sanremo stanno dimostrando però che il «sistema musica» in Italia sta vivendo una rivoluzione.
«E i Måneskin lo hanno dimostrato più di tutti gli altri. Sono stati capaci di imporre la loro musica, l’estetica, il loro suono. Grazie ai telefonini, ai pc la fruizione della musica è cambiata e noi siamo cambiati con lei. Quando ho visto che l’Italia era pronta per i Måneskin sono stato felice come quando, decenni fa, vidi l’esplosione di fenomeni come David Bowie o Elton John. Personaggi unici nel loro genere, osteggiati all’inizio della carriera proprio per la loro diversità e diventati icone mondiali».
A quando un nuovo disco di Riccardo Cocciante?
«Quando ne avrò voglia. I dischi più belli sono quelli che si fanno da giovani perché si muore dalla voglia di mostrare ciò che si è contro tutto e tutti. Non ho fretta di scrivere un disco nuovo e per adesso la mia concentrazione è tutta su Notre Dame de Paris. Con quest’opera volevo un qualcosa che si rivolgesse al mondo senza distinzioni di età e di classi, un pubblico fatto di nonne e ragazzi in jeans. Volevo che tutti capissero testi e musiche, semplici ma solo in apparenza, perché in realtà è tutto difficile da cantare, anche se con questi artisti sembra tutto facilissimo». —