la Repubblica, 13 gennaio 2022
Intervista a Francesco Starace
Enel rimarrà un’azienda elettrica, ma l’elettricità ci sta portando in mondi finora sconosciuti, dove ci sono grandi opportunità per i nostri clienti e per noi». Francesco Starace guida dal 2014 un gruppo che, spiega, sta cambiando pelle: «L’elettricità conquista fette crescenti dell’utilizzo di energia nel mondo, quindi è fantastico essere già in questo settore ed è bello vedere che altri – ad esempio le compagnie petrolifere – stanno provando ad entrarci».
Nel piano industriale vi impegnate a portare Enel a emissioni zero non più nel 2050, ma nel 2040. Con quali costi?
«La data del 2040 l’abbiamo fissata a ragion veduta dal punto di vista economico e con una convenienza doppia: in primo luogo si abbattono i costi della produzione di energia spostandosi sulle rinnovabili; poi si elimina la dipendenza dalle fonti fossili, che come stiamo vedendo anche in questi mesi hanno prezzi molto volatili. Inoltre, smetteremo di emettere C O 2
, cosa che fa bene a tutti, visto che ci siamo impegnati a essere a emissioni zero e non a emissioni nette zero. Cosa vuol dire nette? Qui spesso c’è poca trasparenza e spazio per confusione.
Insomma, questo passaggio ci conviene sotto ogni profilo: il costo non è farlo, ma sarebbe non farlo».
Quindi non condivide l’allarme sui costi della transizione energetica che si leva da più parti?
«Quando sento parlare di costi della transizione penso che ci sia una certa confusione semantica: attuarla è conveniente e quello che si affronta oggi non è un costo, ma un investimento sul futuro. Nel 2019 abbiamo fatto uno studio con Ambrosetti che mostra come in Italia la transizione vale fino a 23 miliardi di euro, con un numero netto di posti di lavoro creati che va da 100 a 170 mila.
Poi è chiaro che, come accade per ogni svolta tecnologica, c’è chi si adatta prima e chi invece non riesce o non vuole adattarsi e rischia di scomparire. Per questo nel piano industriale di Enel è previsto che da qui al 2030 investiremo circa 210 miliardi; circa 160 nostri e altri 50 da parte di altri soggetti che coinvestiranno con noi in iniziative comuni. Questi investimenti andranno nelle reti elettriche, essenziali per la progressiva elettrificazione dei consumi, e nelle rinnovabili, essenziali alla progressiva decarbonizzazione dell’energia elettrica».
Lei parla di territori inesplorati dell’elettricità, quali sono?
«Prima di tutto proprio la mobilità: siamo partiti quattro anni fa con l’idea di mettere un’infrastruttura di ricarica pubblica in Italia e adesso a livello globale siamo a poco meno di 20 mila punti di ricarica pubblica e con quelli privati arriviamo a 150 mila. Ma questi punti nel 2030 arriveranno a quattro milioni. Si apre un mondo di servizi a chi ha un’auto elettrica, di possibilità di nuovi business: ad esempio quello di mettere la batteria dell’auto, quando non è utilizzata, a disposizione della rete elettrica, che ha sempre più bisogno proprio di batterie per essere bilanciata. Su questo fronte lanceremo sul mercato una società dedicata proprio a questo grande mondo nuovo che vedrà la luce nei prossimi mesi per essere poi messa sul mercato a livello mondiale».
Insomma, un futuro di elettricità messa in rete?
«Assolutamente sì, e questo si può fare solo grazie al digitale. Prendiamo il caso della gestione della domanda di elettricità da parte dell’industria.
Sulla rete c’è necessità di essere flessibili, perché la domanda è volatile e le rinnovabili non hanno un andamento produttivo costante. Nel mondo oggi abbiamo poco meno di 8 mila MW di gestione attiva della domanda da parte di clienti industriali che stanno nel nostro sistema e che quando la rete ha bisogno di più elettricità possono staccare il proprio carico dalla rete stessa ed essere ricompensati per la loro disponibilità. Essere pagati per non consumare in certi momenti è un’opportunità che fino a pochi anni fa non si poteva nemmeno immaginare. Ora invece è una parte importante del nostro business, che ci consente anche di entrare in Paesi come la Corea il Giappone, la Polonia, l’Inghilterra e l’Irlanda».
Tanto che avete messo queste attività in una società separata.
«Sì, solo fornendo i contatori digitali a noi stessi, con 70 milioni di clienti nel mondo, siamo diventati il secondo operatore globale nel settore.
Gridspertise, così si chiama la nuova società, partirà nel 2022 come società separata per valorizzare e mettere servizi a disposizione di tutti i clienti nel mondo. Avrà un partner industriale già quest’anno e per il 2023 prevediamo la quotazione, così come verrà quotata anche la nuova realtà nata dalla scissione di Enel X che si occupa di ricarica delle auto elettriche».
Tutto bello, ma intanto le bollette sono una grande preoccupazione degli italiani.
Quando calerà il prezzo del gas?
«Il caro gas finirà, poi tornerà, poi ricomincerà. Il gas è il fratello minore del petrolio ed ha i suoi stessi geni, è volatile da sempre. Ora dobbiamo limitare gli aumenti, e mi pare che in questo momento il governo lo stia facendo bene, e poi agire strutturalmente su due fronti: ridurre la nostra dipendenza da questa commodity preziosa ma troppo instabile, orientandoci sempre di più verso le rinnovabili, e ammortizzare la volatilità intrinseca del gas facendo contratti su tempi più lunghi. In molte parti del mondo si fa, mentre in Europa dal 2003 si è scelto di privilegiare un mercato a breve termine, pensando che favorisse i consumatori. Ma oggi non è più il caso di comprare energia giorno per giorno. I primi nostri grandi clienti lo hanno capito e stanno cambiando la loro strategia di acquisto proprio in questa direzione».
Draghi parla degli ottimi profitti delle aziende energetiche. E la Lega propone di tassare gli extraprofitti.
Vi è mai arrivata una richiesta ufficiale in questo senso?
«Mai. Anche per il semplice fatto che noi non abbiamo fatto extraprofitti. Noi produciamo il 18% dell’energia prodotta in Italia e la vendiamo direttamente ai nostri clienti, al mercato libero a prezzi fissati due o tre anni prima, come facciamo d’altronde in Spagna e in tutto il resto dei mercati in cui siamo presenti. Quindi anche ora, avendo già venduto la nostra energia, non abbiamo avuto extraprofitti e i nostri clienti, che hanno avuto i prezzi fissati tempo fa, sono al riparo da questa volatilità del gas. Non siamo tra quelli che hanno beneficiato della lotteria del gas».
L’Ue si appresta a considerare il nucleare fonte sostenibile. Lei spiega da tempo che il nucleare non è praticabile. Chi ha ragione?
«Noi abbiamo parlato poco di nucleare, ma siamo tra i pochi in Italia con esperienza diretta nel campo. In Spagna abbiamo sei centrali nucleari di seconda generazione avanzata, per un totale di 3.300 MW, con una scadenza che il governo spagnolo ha fissato dal 2027 al 2035. E in Slovacchia siamo azionisti di Slovenske Elektrarne che ha iniziato a costruire due nuove unità nel 2008: dovevano essere finite nel 2012 e lo saranno nel 2022, dovevano costare 3,3 miliardi e ne costeranno 6,2. Ed è un caso virtuoso: alla luce di altre esperienze in Europa dovremmo essere contenti di avere solo 10 anni di ritardo e un budget praticamente raddoppiato».
La morale?
«Che chi ha le centrali nucleari, come la Francia, le gestisca bene e le faccia andare finché ce le ha. Per chi invece non le ha, non ha senso costruirne di nuove con la tecnologia esistente. Per il nucleare di nuova generazione, su cui è bene lavorare studiando le tecnologie più promettenti, si parla di tempi tra il 2035 e il 2040».