la Repubblica, 12 gennaio 2022
Sgarbi con Berlusconi a caccia dei peones
Sul divano di Arcore Vittorio Sgarbi scorre l’agenda dello smartphone: «Questo è incerto, Silvio, chiamiamolo». Compone il numero: «Caro onorevole, ho qui accanto a me il presidente Berlusconi che vorrebbe salutarla». E l’anima in pena, il grande elettore del gruppo misto incerto su chi votare per il Colle, pensa: «Quando mi ricapita?». «Come sta?» lo avvolge Silvio Berlusconi. È proprio lui, in persona. In questo modo, in pochi giorni, Sgarbi e Berlusconi ne hanno interpellati cinquanta. In buona parte esponenti senza bandiera, come l’ex grillina Bianca Laura Granato, che a ottobre volle entrare in Senato priva di Green pass. O il leghista sardo anti pass Guido De Martini, oculista di Cagliari, che perciò è impossibilitato a venire a Roma il 24 gennaio. Per tutti Silvio ha una buona parola. «Gli ho detto: dobbiamo chiamarli ad uno ad uno, sono mille elettori, è come un piccolo paese, la campagna si fa porta a porta», racconta Sgarbi. Chiamano fino a mezzanotte. «L’effetto è psicologico, sono tutti lusingati», assicura il critico d’arte. «Scusi, Sgarbi, ma lei non era scettico sulla riuscita del Cavaliere? Lo spiegò proprio a Repubblica ». «Sì, ma poi mi ha chiamato: “Perché non vuoi sostenermi?” ».
Sarà dura arrivare ai fatidici 505 voti alla quarta votazione. Ma la caccia è iniziata. A Montecitorio nessuno del Misto ti confessa che voterà per lui. Fa un freddo cane. Finestre aperte. Hanno collocato i banchi dei deputati in Transatlantico per garantire il distanziamento. Il corridoio dei passi perduti sembra il container di un concorsone. In aula si commemora con molto rispetto David Sassoli.
Qui nessuno crede che Silvio ce la farà. Anche se il Cavaliere va dicendo che ne ha convinti già un centinaio. Sgarbi assicura che il novanta per cento dei grillini e del gruppo Misto non voterà mai per Draghi. In molti suppongono che i franchi tiratori nella Lega e in Fratelli d’Italia alla fine saranno più numerosi dei 101 di Prodi. Clemente Mastella ha una soluzione per ogni problema: “timbrare” i voti a seconda dei tre gruppi del centrodestra scrivendo sulla scheda Berlusconi Silvio, Silvio Berlusconi, Berlusconi presidente. «Lo feci per Franco Marini nel 2006», dice da Benevento. Sua moglie, Sandra Lonardo, «per riconoscenza», in prima battuta voterà per il Cavaliere. Telefoniamo a Gianluigi Paragone, che al Senato guida una pattuglia di ex cinquestelle. «A me Berlusconi non mi ha chiamato. Io, Carlo Martelli e Michele Giarrusso non lo voteremo mai. Qua stiamo ancora parlando di D’Alema e Berlusconi, mentre il Paese va a rotoli». «Noi sudtirolesi abbiamo alti livelli di moralità. Non capisco come qualcuno possa immaginare Berlusconi come capo dello Stato», dice la presidente del Gruppo delle Autonomie, Juliane Unterberger.
A sera a Montecitorio si fa largo l’umore che con Berlusconi presidente poi si andrà a votare. I peones si allarmano. Nel dicembre 2010 l’allora premier si salvò grazie ai voti decisivi di tre transfughi del centrosinistra, Massimo Calearo, Domenico Scilipoti e Bruno Cesario, «i responsabili», a cui si aggiunse Antonio Razzi. Una delle operazioni parlamentari più spregiudicate di sempre, ma erano pochi in confronti a quelli che bisognerà convincere stavolta.
Gianfranco Rotondi, uno degli artefici della campagna Silvio for president, è convinto che i voti decisivi arriveranno dai delusi di Pd e M5S. «È tutto un incrocio di odi, rancori, dispetti, da cui salteranno le schede necessarie alla quarta votazione. Silvio non deve fare niente. È quel che mi consigliò nel 1990 don Leone, un parroco di Avellino che parlava col diavolo. Mi ero messo in testa di sfidare Ciriaco De Mita, allora imbattibile. “Rimani fermo. Non è l’amore che porta alla gloria, è l’odio che ti farà vincere. Gli odi sono sempre più forti”. Tutti quelli che avevano preso in antipatia Ciriaco, votarono per me: 30mila. Il franco tiratore del Pd manco alla moglie dirà mai che avrà scelto Silvio: lo farà per dispetto per la mancata ricandidatura, mi creda».