Linkiesta, 12 gennaio 2022
Il Sanremo di Draghi
Di chi sono le conferenze stampa? Non del pubblico, questo si sa. Per il pubblico una volta c’erano le interviste, quelle in cui si passavano giornate insieme, l’intervistato ne faceva poche e con intervistatori di cui si fidasse, consapevole che quel che viene scritto in un’intervista è filtrato dallo sguardo dell’altro, non sei mai tu come ti vedi nello specchio e come ti ascolti dire cose. Adesso nessuno ha più giornate da buttare a fidarsi di qualcuno, tutti hanno addetti stampa che sono pagati a spessore della rassegna, e preferiscono quindi il modello Cavalli e segugi: farti incontrare venti usurpatori di licenza media ignari della differenza tra «aurea» e «aura» che – a turni di dieci minuti l’uno, dieci di cui due se ne vanno per farsi il selfie assieme e assicurare ai loro lettori d’averti incontrato davvero – sono disposti a scrivere che sei il nuovo Frank Sinatra. Difficile dargli torto, all’addetto stampa: perché dovrebbe investire un’intera giornata promozionale da farti trascorrere con un Truman Capote che voglia scrivere un tuo ritratto che resti caposaldo del giornalismo narrativo quando poi non Capote ti troverai davanti ma un travet con velleità poetiche che domanda quando sia stata l’ultima volta che hai pianto sperando che al nono minuto tu gli doni lo scoop sulla morte del tuo cane che fa diventare la sua l’intervista ripresa da tutti i siti?
E poi non dimentichiamo che – per la disperazione del giornalista, e per l’esaurimento nervoso dell’addetto stampa – sono arrivati quei favolosi strumenti di disintermediazione che sono i social, e per me che sono una del pubblico il tizio di cui una volta avrei letto l’intervista è lì, a rispondere alle mie curiosità proprio mie, a mettersi a disposizione mia proprio mia.
Di me pubblico che posso direttamente chiedergli della morte del cane; ma anche che ormai mi sento protagonista quanto la celebrità, e non solo ritengo di parlare alla pari con Tizio che guadagna per tirare un rigore quel che io in una vita di lavoro tfr compreso: voglio pure che il multimilionario s’interessi ai miei, di me ragioniere che scrolla Instagram portando giù l’umido, problemi.
Tutte le tizie famose che seguo su Instagram hanno un qualche formato di posta del cuore. Io – io celebrità – apro il famigerato box domande, e tu – tu carneade – mi chiedi cosa devi fare se lui pur di non scoparti lo infila nelle serrature delle porte. Nessuna delle tizie famose che seguo risponde mai a queste disperate (che spero siano quindicenni, ma temo di no, temo che viviamo in un’epoca così rincoglionita che le mie coetanee sottopongono i loro guai amorosi alle famose di Instagram) quel che andrebbe risposto, qualcosa tipo «ma poveretto ha ragione lui ma sei una coperta bagnata ma vai a farti un giro»; e non perché non lo pensi: si vede che queste tapine con vetrina sull’Instagram lo pensano, o pensano cose persino più crudeli, mentre si sacrificano a sembrare vicine approcciabili immedesimabili e della porta accanto perché così le vogliono gli sponsor.
Ma sto andando fuori tema (strano, non accade mai). Le conferenze stampa, dicevo. A chi appartengono?
Non sono dei giornalisti, questo lo capisce anche il ripetente di seconda media che tanto piaceva a Silvio (Silvio avevi capito tutto, Silvio scusaci). Se vieni nel posto che ho deciso io, a fare una domanda quando decido sia il turno tuo, a elemosinare una risposta perché nel tuo giornale sei quello dal quale non si vogliono idee ma virgolettati, beh, figlio mio, hai già perso.
Sono quindi di chi le indice, sospetto. È un sospetto che mi è venuto quando Lorenzo Jovanotti ha presentato i suoi futuri concerti sulle spiagge, e ha detto a una poracrista elemosinatrice di risposta che non avrebbe detto né sì né no a nessuna domanda su Sanremo. La poracrista non si è alzata e se n’è andata, perché, se avesse voluto fare un mestiere dignitoso, non sarebbe andata ad alzare la mano a una conferenza stampa. Un mese dopo hanno annunciato le canzoni di Sanremo, ce n’era una scritta da Jovanotti per Gianni Morandi, ed era come gli alcolici quando eravamo piccini, l’avevano tenuta da parte per gli ospiti di mamma e papà, non era per voi piccoli della conferenza stampa d’un mese prima.
Il sospetto me l’ha confermato la famiglia Djokovic, che alla prima domanda della conferenza stampa – quella ovvia: ma se il 16 era infetto perché il 17 l’hanno fotografato senza mascherina assieme a dei bambini – ha dichiarato chiusa la conferenza stampa e s’è messa a cantare. Una canzone scritta dalla madre sull’unità del popolo serbo (almeno così leggo, non sono ferrata nel versante artistico delle madri dei tennisti). Perché mai uno dovrebbe far finta di prendere sul serio una conferenza stampa, l’evento meno serio che c’è: tanto vale buttarla in vacca a botte di familismo e di velleità artistiche.
E poi è arrivato Draghi, che già bastava a far sembrare sprezzante della liturgia il confronto con quello di prima, uno che faceva conferenze stampa più spesso di quanto Chiara Ferragni faccia dirette Instagram. L’altra sera Draghi fa finalmente una conferenza stampa, mentre tutti i compilatori di pagine politiche mugugnavano di non venire invitati a una da un po’ (per le notizie, mica per il buffet che la pandemia ha pure eliminato e che era il lato meno disutile delle conferenze stampa). La indice e la apre dicendo che lui di Sanremo non parla. Non lo chiama «Sanremo», dice che non risponderà «ad alcuna domanda che riguardi altri futuri sviluppi, il Quirinale e altre cose», ma insomma è chiaro a tutti che non intende svelare se farà il superospite, non intende parlare di quello che tutti vorrebbero chiedergli. Vuole parlare del suo prossimo tour (cioè: dei provvedimenti rispetto alla pandemia).
Ovviamente qualcuno ci prova lo stesso, anche con la pomposa premessa «è nostro dovere fare le domande che riteniamo più opportune», ma lui non risponde lo stesso. Rendendo chiaro che – tu sia Draghi, Djokovic, o Jovanotti – se vuoi una conversazione alla pari certo non indici una conferenza stampa. E, se sei Draghi, concludi anche dicendo che quella inutile conferenza l’hai fatta «come risposta alle critiche» per non averla fatta prima. «Vi prego di considerare questo come un atto riparatorio, spero che sia stato adeguato», dice col tono che hanno i mariti che si sono sacrificati a venire a cena con le tue amiche e sperano che tu non abbia altre richieste bislacche per sei mesi almeno. E le mogli poi scrivono alle celebrità su Instagram: secondo te sarà di cattivo umore perché gli è morto il cane o è che non mi ama?