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 2022  gennaio 11 Martedì calendario

Un memoir di Ginevra Bompiani

La prima storia che Ginevra Bompiani ci racconta ne La penultima illusione (un’intera vita che riaffiora, un caleidoscopio di ricordi) è affidata a una immagine, una vecchia fotografia. Ritrae Valentino Bompiani, il grande editore, che si misura con un solitario, sotto gli occhi attenti delle sue due figlie bambine, Emanuela, la maggiore, e appunto, Ginevra. Siamo negli anni Quaranta.
Via privata, il libro di memorie che Valentino Bompiani pubblicò da Mondadori nel 1973, è dedicato alle figlie e si ferma al 1947. È come se La penultima illusione si innestasse su quel libro e, a suo modo, idealmente lo continuasse. Da tempo Emanuela non c’è più e Ginevra ha compiuto ottant’anni. Il suo libro è scandito attraverso le diverse età del ricordo: ora Ginevra ha trent’anni (un’età che le piace), ora ne ha venticinque, poi di nuovo ottanta. Da qualche tempo Ginevra ha aperto la sua casa a N, una ragazza somala di cui ha chiesto l’affidamento. La vita con lei non è facile: sebbene corrano dell’affetto e della riconoscenza, si affacciano di continuo situazioni impreviste. N ha una storia travagliata alle spalle, non dimentica la violenza a cui ha assistito durante l’infanzia. Il cammino per entrare nel nostro paese in cui ora vive non è semplicissimo. Deve studiare, ambientarsi, stringere relazioni, superare ostacoli. Ogni volta che una difficoltà si appiana, Ginevra si sente felice. Ora N vuole osservare il ramadan, ora vuole uscire la sera con gli amici. Chi sono? Ora N scompare. È grande, può farlo, ma naturalmente la sua assenza genera ansie. Da quanto tempo Ginevra aspettava N?
Ginevra, lo si apprende attraversando il suo libro, è sempre stata accogliente. Ha aperto molte case, in città diverse. A Siena, per esempio, dove ha insegnato all’università per molti anni. O in America, a Providence, la città di Lovecraft. Un ragazzo americano di lontana origine italiana, Joe Formica, aveva abitato con lei vicino a Siena, senza riuscire a imparare l’italiano. Era forte come un toro e si era messo in testa di proteggere Ginevra, come una guardia del corpo. Un altro ragazzo, David, restò con lei due anni. Un bellissimo ragazzo, che aveva rotto tutti i letti di casa e la macchina di Ginevra. Non studiava. Poi prese il morbillo e fu costretto a ripetere l’anno. In segreto Ginevra era contenta: non sarebbe andato via.
A un certo punto il padre Valentino, ormai ultranovantenne, muore. Era appena stato alla festa che Umberto Eco era solito dare a gennaio (Eco era nato il 5 gennaio). Una serata brillante, poi il rapido declino. Dal padre Ginevra aveva ereditato la passione per i libri, per il mestiere di editore. Così dopo aver curato, ancora per Bompiani, una collana, Il Pesanervi, (con la consulenza del marito Giorgio Agamben) nel 2002 aveva dato vita alla casa editrice nottetempo che subito aveva acquistato un suo profilo per l’eleganza dei libri e la scelta degli autori. I libri sono comunque una costante: si tratti di lavorare nella casa editrice del padre o di inseguire progetti come le Biblioteche del Deserto o il soccorso alla biblioteca di Sarajevo. Forse proprio per questo le è difficile accettare che N pratichi poco i libri. Viene da un’altra cultura, da un’altra lingua, ma se non legge, se non pratica la letteratura, che immagine avrà del mondo? Così Ginevra cerca di leggere insieme a lei.
La penultima illusione sembra talvolta un campo di battaglia: ci sono gli scontri con i baroni universitari che vogliono pilotare i concorsi come pare a loro, ci sono le prese di posizione in ambito politico. Ginevra è (o è stata) una femminista “dura” e una insegnante aperta a nuovi modi di trasmettere il sapere, eliminando magari la lezione dalla cattedra. E inevitabilmente La penultina illusione è un libro in cui si incontrano molti intellettuali, da Arbasino a Filippini e Manganelli, da Eco a Calvino che venne a Siena per vedere il Palio ed ebbe una stanza tutta per lui e la moglie, affacciata sulla piazza. Proprio a Siena Calvino sarebbe morto nel 1985. Ma a Ginevra capitava anche di frequentare i filosofi, per via del futuro marito Giorgio Agamben. Ed ecco un ritrattino di Heidegger: «Gli occhi di Heidegger erano acuti come pungiglioni, non amichevoli, non benevoli, mi facevano paura anche quando a colazione nel giardino dell’albergo gli allungavo la marmellata». «Ho lasciato andare tante cose», scrive a un certo punto Ginevra ed elenca: la laurea in Psicologia, Il Pesanervi, l’università, i viaggi nel mondo in guerra, il progetto delle Biblioteche del Deserto, nottetempo. «Non si erano esaurite, se non dentro di me. A ciascuna di loro avrei potuto dedicare la vita, e invece no. Quando ho smesso di inventarle le ho lasciate andare». Per questo La penultima illusione è un libro plurale che sembra contenere molte vite in una. Il segreto, credo, sta nel saper riaccendere nuove passioni. Come quella materna per N. «È tornata. La casa canta».