il Fatto Quotidiano, 11 gennaio 2022
Molière raccontato da Bulgakov
Pubblichiamo stralci de “La vita del signor Molière” di Michail Bulgakov, tradotta e curata da Serena Prina e in libreria con Feltrinelli da giovedì in versione integrale (all’epoca fu censurata).
Nei primissimi giorni del gennaio del 1643, anno gravido di eventi, Jean-Baptiste si presentò al padre e gli annunciò che tutti quei piani per affiliarlo alla corporazione degli avvocati erano una pura e semplice assurdità. Che non sarebbe andato da nessun notaio, che non aveva intenzione di diventare un dotto e che, soprattutto, non desiderava avere a che fare con la bottega di tappezzerie. Sarebbe andato là dove fin dall’infanzia lo portava la sua vocazione, ovvero tra gli attori.
La mia penna si rifiuta di descrivere quel che avvenne nella casa.
Quando il padre fu vagamente rientrato in sé, comunque tentò di dissuadere il figlio e gli disse tutto quello che gli imponeva di dire il suo dovere paterno. Che la professione dell’attore era da tutti disprezzata. Che la santa chiesa scacciava gli attori dal suo grembo. Che accingersi a una simile attività poteva renderlo soltanto un miserabile, o un vagabondo. Il padre minacciò, il padre supplicò. “Va’, ti prego, va’ e rifletti, e poi torna da me!”.
Ma il figlio (come se in lui si fosse già insediato un diavolo) recisamente rifiutò di ripensarci…
Mandò di nuovo a chiamare il figlio. Era il 6 di gennaio, un giorno davvero memorabile nella vita del padre. “Be’, allora, resti sempre dello stesso parere?” domandò Poquelin.
“Sì, la mia decisione è irrevocabile,” rispose il figlio, nel quale evidentemente scorreva il sangue dei Cressé, non dei Poquelin.
“Tieni presente,” disse il padre, “che ti privo del titolo di valletto di camera del re, restituiscimelo. Mi pento d’aver prestato ascolto a quel folle di tuo nonno e di averti dato un’istruzione”.
Il folle e scriteriato Jean-Baptiste rispose che rinunciava di buona voglia al titolo e che non avrebbe avuto nulla in contrario se il padre l’avesse trasmesso al figlio che riteneva più adatto… Quindi ebbe inizio la spartizione dei beni. Dall’eredità materna a Jean-Baptiste spettavano all’incirca cinquemila livres. Il padre si mise a contrattare come se fossero al mercato. Non poteva permettere che l’oro andasse a finire nelle tasche bucate di commedianti girovaghi. E aveva ben ragione. Per farla breve, al figlio diede seicentotrenta livres, e con quei soldi il figlio abbandonò la casa paterna…
Senza falsa modestia il gruppo (fondato da Jean-Baptiste, ndr) denominò il futuro teatro “Teatro Illustre” e tutti quelli che vi entrarono a far parte “Figli della Famiglia”: il capobanda dell’intera compagnia era proprio il nostro Jean-Baptiste Poquelin. D’altronde Jean-Baptiste Poquelin, dal momento della fondazione del Teatro Illustre, smise di esistere, e al suo posto nel mondo fece il suo ingresso Jean-Baptiste Molière. Da dove veniva questo nuovo cognome? Si ignora. Alcuni dicono che Poquelin avesse usato uno pseudonimo assai in voga nei circoli teatrali e musicali, altri che Jean-Baptiste si fece chiamare Molière dal nome di una qualche località… Chi infine sosteneva che avesse preso il cognome da uno scrittore morto nel 1623… In poche parole, divenne Molière. Il padre, quando seppe della cosa…
La creazione di una nuova compagnia a Parigi suscitò un grande scalpore, e gli attori dell’Hôtel de Bourgogne subito affibbiarono ai Figli della Famiglia il nome di “combriccola dei pezzenti”. La combriccola non stette a dar peso all’insolenza e con grande energia si mise al lavoro… Dopo aver ottenuto un discreto successo recitando a Rouen al cospetto del pubblico indulgente della fiera, fecero ritorno a Parigi e giunsero a un accordo con Léonard Aubry, uomo dal carattere incantevole, di professione mastro pavimentatore, e questi si diede a sistemare un magnifico selciato dinanzi al teatro… E, finalmente, il primo gennaio del 1644, il teatro aprì i battenti con una tragedia.
È davvero terribile raccontare quello che accadde in seguito. Non rammento se mai ci sia stato un fiasco simile in un qualsiasi teatro del mondo! Dopo i primi spettacoli gli attori degli altri teatri raccontavano con gioia che al fossato presso la torre di Nesle, nel Teatro Illustre, oltre ai genitori dei commedianti, muniti di biglietti di favore, non c’era nemmeno un cane! E, ahimè, ciò era assai prossimo alla verità. Tutti gli sforzi del signor Aubry erano stati vani: letteralmente nemmeno una singola carrozza era ancora passata sul suo selciato!…
Dopo che l’illustre compagnia ebbe recitato Artaserse dello scrittore Magnon, il signor de Molière, che, e del tutto a ragione, a Parigi veniva considerato il responsabile del teatro, fu condotto in prigione. Lo seguiva, a mo’ di corteo, uno strozzino, mercante di biancheria e candele, di nome Antoine Fausser: erano sue le candele che smoccolavano nei candelabri del Teatro Illustre… A quel punto da ogni parte i creditori si precipitarono su Jean-Baptiste Molière, e questi non sarebbe uscito di prigione fino alla fine dei suoi giorni se dei debiti del Teatro Illustre non si fosse fatto garante quello stesso Léonard Aubry che aveva costruito il bellissimo e inutile selciato davanti all’ingresso del primo teatro di Molière…
Con il ritorno di Molière gli spettacoli ricominciarono… La penosa agonia del Teatro Illustre si protrasse per un po’, ma verso l’inizio del 1646 tutto divenne chiaro. Vendettero quello che poteva essere venduto: i costumi, le scene… Nella primavera del 1646 il Teatro Illustre interruppe per sempre la sua attività.