La Stampa, 11 gennaio 2022
Michelle versus Kamala
Quando le cose per i democratici si stanno mettendo male, lo si capisce sempre da un dettaglio: la discesa in campo di Michelle Obama. Invocata da molti, sognata da ancora di più, la candidatura presidenziale della ex First Lady è una di quelle fantasie che non si avvereranno mai, avendo lei stessa ripetuto più e più volte che no, detesta la politica e uscire dalla Casa Bianca è stata una liberazione, figuriamoci se pensa a rientrarci. Eppure puntualmente succede: il suo nome tirato fuori come la soluzione a tutti i mali, l’unica in grado di mettere tutti d’accordo, l’unica in grado di far dimenticare la delusione di Kamala Harris, crollata nel consenso popolare e sempre più in ombra mediatica. L’unica, insomma, in grado di dare ai democratici la speranza di una vittoria contro Donald Trump, probabile ricandidato repubblicano nel 2024.
«Se si candida Michelle, contro Trump vince sicuro», ha detto durante la puntata di Natale del suo podcast Joe Rogan, il controverso e popolare presentatore. Eppure non succederà, a meno di non rimangiarsi anni di dichiarazioni con il risultato di fare quella che cambia idea sotto la disperata pressione del partito, una figura da messia salvatore del popolo. Non esattamente in linea con il brand Michelle Obama, a ben vedere. Ma non candidarsi non vuol dire non impegnarsi, anzi. Mantenendo una attitudine defilata il giusto, ma influente quanto basta, la ex First Lady è nella posizione perfetta per occuparsi di ciò che le sta davvero a cuore, aumentare consenso senza davvero rischiare di perderne. Quella che si dice una win-win situation: solo vantaggi, zero disavanzi. È così che si possono interpretare le sue recenti mosse pubbliche in vista delle elezioni di midterm che si terranno a novembre, la cui campagna inizia ufficialmente adesso.
Al grido di «dobbiamo votare come se da ciò dipendesse il futuro della nostra democrazia», il volto più popolare della politica Usa ha deciso infatti – come peraltro aveva già fatto per le presidenziali del 2020 – di esporsi in prima persona. Domenica sul New York Times è apparsa a tutta pagina, pubblicata come un annuncio, una lettera intitolata “Fight For Our Vote” firmata da lei e da When We All Vote l’organizzazione fondata nel 2018 che ha come obiettivo l’aumento della partecipazione al voto nella fascia dei più giovani e tra le minoranze etniche. In modo pragmatico, nella lettera si delinea un piano d’azione e afferma che entro il prossimo anno When We All Vote e la coalizione di altre organizzazioni lavoreranno per «reclutare e formare almeno 100 mila volontari e per registrare più di un milione di nuovi elettori». Non solo, la coalizione arruolerà anche migliaia di avvocati per proteggere gli elettori americani, lavorerà per educare gli americani su come garantire che il loro voto sia sicuro e incoraggerà almeno 100 mila cittadini a chiedere ai loro senatori di sostenere il Freedom to Vote Act e il John Lewis Voting Rights Advancement Act, le due proposte di legge attualmente bloccate al Senato.
Anche i tempi di pubblicazione della lettera non sono casuali: messo alle spalle l’anniversario dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2020 e con un partito repubblicano più dipendente da Trump e sempre legato alla falsa narrazione dei brogli elettorali, i democratici stanno cercando di fare pressioni sperando nell’aiuto dell’opinione pubblica. E in questo senso la signora Obama è la testimonial perfetta, in grado di arrivare dove nessun altro può neanche sperare. Una settimana fa è apparsa in Black-ish, la sitcom in onda su Abc. Nel primo episodio dell’ottava e ultima stagione ha fatto se stessa, ospite a un evento di raccolta fondi guarda caso della associazione When We All Vote a cui partecipano la protagonista della serie Bow (interpretata da Tracee Ellis Ross, sua cara amica) e il marito Dre (Anthony Anderson). Più che i comizi, la televisione. Più che la politica, l’attivismo. Da qui al 2024 la vita della non candidata che tutti vorrebbero candidata sarà così. A meno di clamorose smentite. —