La Stampa, 11 gennaio 2022
Un lockdown di fatto
Torna a impennarsi il lavoro da casa. Non solo aumenta il numero delle persone in smart working, ma questo si fa anche molto più intenso rispetto ai mesi scorsi. In parallelo, in questo inizio anno, i consumi degli italiani cadono a picco e si riducono drasticamente non solo gli spostamenti ma anche gli acquisti e soprattutto la frequentazione di bar e ristoranti. Omicron ha praticamente ritrascinato il Paese in un lockdown «di fatto» e il ritorno dalle vacanze invernali, quest’anno, è un «non rientro» segnala un sondaggio condotto da Ipsos per Confesercenti che la Stampa è in grado di anticipare. «Non siamo in un lockdown ufficiale perché non ci sono provvedimenti di chiusura generalizzati delle attività economiche. Ma purtroppo è innegabile che per tantissime imprese di fatto si sia già tornati in zona rossa» commenta la presidente Patrizia De Luise.
Solo metà in presenza
L’aumento dei contagi, stando al campione di 800 italiani rappresentativo della popolazione nazionale sondato per l’occasione da Ipsos, in queste settimane spinge il lavoro a distanza ai massimi livelli tanto che il 48% dei datori di lavoro del settore privato ha già deciso di proseguire con lo smart working, prevede di tornarci o di attivarlo a breve. Si tratta di una quota pari a circa 5,5 milioni di lavoratori, e di questi circa un milione (ovvero il 15%) inizia per la prima volta a lavorare a distanza. E lo fa in maniera a sempre più intensa: l’11% – oltre 600mila persone – lavora infatti esclusivamente da remoto, cui si aggiunge un altro 24% per cui lo smart working è davvero «strong» (visto che lavora in presenza solo una o due volte a settimana), mentre è «soft» per un altro 16% che presta la sua opera in presenza 3-4 volte in una settimana.
La paura del contagio
Si tratta di uno «stay-at-home» di massa, evidenzia insomma il sondaggio Ipsos realizzato lo scorso 5 gennaio, fenomeno che avrà un forte impatto sui pubblici esercizi nei centri città e nei quartieri di uffici e che Confesercenti arriva a stimare in 850 milioni di euro al mese di minori consumi.
Ovviamente, non sono solo i pubblici esercizi a soffrire. Il ritorno del clima di incertezza e della paura del contagio sta infatti tornando a incidere in maniera significativa su tutti i comportamenti degli italiani. Comportamenti personali, innanzitutto: nelle ultime due settimane il 57% ha infatti osservato più attentamente le distanze personali, in luoghi e trasporti pubblici; il 55% ha lavato più spesso mani/oggetti, il 40% ha limitato i contatti con i familiari, il 7% ha invece ridotto la frequenza dei figli a scuola/asilo.
Consumi giù
Anche i consumi, però, subiscono l’effetto Omicron, e a farne le spese sono soprattutto pubblici esercizi, il commercio ed il turismo: il 51% dei consumatori nelle ultime due settimane ha evitato di servirsi di bar o ristoranti, o comunque ha ridotto la frequentazione di pubblici esercizi e locali. Il 32% – ovvero un italiano su tre – ha rinunciato a fare un viaggio o ha disdetto una vacanza già prenotata. Una quota identica, pari al 32%, in parallelo ha evitato o ridotto gli acquisti nei negozi per timore degli assembramenti. Un dato quest’ultimo confermato anche dall’andamento dei saldi di fine stagione appena partiti: le vendite hanno rallentato fino quasi allo stop, segnalano da Confesercenti calcolando che già circa un milione di clienti abbia rinunciato a fare shopping proprio per paura dei contagi. E anche chi fa lo stesso shopping adotta comportamenti più prudenti: il 25% non entra nei negozi se vede troppe persone, e preferisce fare la fila fuori dai punti vendita.
Allarme negozi di vicinato
«Purtroppo è innegabile che per tantissime imprese di fatto si sia già tornati in zona rossa: l’aumento dei contagi ha creato un clima di sfiducia che sta rallentando fino quasi allo stop i consumi delle famiglie. Un problema soprattutto per le piccole e piccolissime imprese italiane del turismo, della ristorazione, del commercio e dei servizi – segnala De Luise –. Attività di prossimità, spesso a conduzione familiare o poco più strutturate, che già faticano a tenere aperto perché hanno gli organici dimezzati da quarantene e contagi e non hanno la forza lavoro per sostituire i dipendenti».
Per la presidente di Confesercenti si tratta di «una situazione di grande difficoltà che rischia di mettere la parola fine alla ripresa: in questo quadro a mio avviso non basta “non escludere” l’ipotesi di nuovi sostegni, bisogna intervenire al più presto, con misure adeguate – a partire da indennizzi e credito – per le imprese di tutti i settori colpiti, anche e soprattutto quelle meno strutturate, evitando però il criterio dell’Ateco, che si è dimostrato in passato poco preciso, escludendo ingiustamente molte attività. Servono soluzioni alternative». —