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 2022  gennaio 11 Martedì calendario

Vivere alle Faroe

«Mi piace il meteo qui. Non è caldo! (ride) E mi piace che le stagioni siano dettate dalla luce. La sanità mi dà qualche problema, perché è solo pubblica e devo sempre aspettare. Ma qui si sta bene».
Theresa Jacobsen, bavarese, è ricercatrice di letterature scandinave e dipinge, e vive a Torshavn, capitale delle Faroe, da marzo 2020. Il meteo che le piace si riassume così: 210 giorni di pioggia l’anno, temperature mai sopra i 13°C, 5 ore di luce al giorno a dicembre e 20 a giugno. Eppure non è un freno al ripopolamento delle Faroe, 18 isole a nord del Regno Unito, 53 mila abitanti complessivi (a fronte di 70 mila pecore, e infatti Fær Øer, il nome feringio delle isole, significa «isole delle pecore»). Nove anni fa erano il 12% in meno, nel 1993 il 25%.
Un po’ è «effetto James Bond»: una scena chiave dell’ultimo film della serie, No Time to Die, si svolge tra le pareti di basalto della maestosa isola di Kalsoy, e un po’ della «polvere di stelle» è rimasta sull’arcipelago, producendo tour tematici, guide all’«isola di Bond» e i primi voli diretti (da Bergen, in Norvegia).
Ma il glamour non basta a spiegare l’inversione di una tendenza costante nelle aree rurali, insulari e montane occidentali negli ultimi decenni: lo spopolamento. Fino al 2010, mostrano i grafici, anche qui andava così; dal 2013 in avanti, però, la popolazione aumenta dell’1,2-1,8% l’anno.
«Ero stata qui da studente», continua Jacobsen. «Sono tornata per un annuncio di lavoro: cercavano autisti per un tour dell’isola in bus. Qui ho conosciuto mio marito, un faroese». A lei è dedicata una puntata di «Home and away», un podcast settimanale in inglese che raccoglie le storie di stranieri alle Faroe. Sono tante: il romeno Levi Cerneac, la norvegese Gunn Hersen, la spagnola Cinthia Gonzales, la colombiana Juliana Arias che racconta «l’inaspettato romanticismo dei faroesi, più “caldi” dei latini».
La crescita demografica delle Faroe prosegue anche grazie a loro, gli stranieri: il loro numero è raddoppiato in questo lasso di tempo, e ora sono il 4% della popolazione. Ma i «nuovi faroesi» sono soprattutto i faroesi di ritorno, con figli, che lasciano le città all’estero dove hanno studiato e avviato carriere per tornare sulle isole. Dove, a differenza che nei depressi anni 90, c’è lavoro anche per loro, grazie a massicci investimenti del governo nel terziario avanzato. E in più un ritmo di vita in linea con i nuovi desideri dell’era delle «grandi dimissioni»: più lento. Katrin Baerentsen, fondatrice di un’agenzia per surfisti, ha vissuto anni negli Stati Uniti prima di rientrare. «Qui faccio la differenza», dice. Harriet Olafsdóttir e il marito, rientrati, hanno fondato Hanusarstova, una casa dove accolgono i turisti in modo autentico. Jóhannus Hansen, fondatore di Reika, tour operator di Vágar, non è mai andato via.
È nel turismo che si è sentito di più l’effetto James Bond. Tour delle isole sui luoghi di 007 costano, ad esempio, 280 euro a persona (in corone danesi, valuta dell’isola); ma la crescita delle Faroe – territorio autonomo della Danimarca, ma non della Ue – si attesta da tempo sul 5% annuo. Tra i suoi motori, la pesca e l’allevamento ittico; la sanguinosa Grindadráp, la caccia ai cetacei che ogni anno attira polemiche da tutto il mondo, è una tradizione che il premier quest’anno ha detto di voler limitare. Non è chiaro se ci riuscirà: i faroesi vi sono molto legati. Intanto, attesissima nel 2022 è la serie thriller Trom, dal cast pieno di star scandinave, prodotta e ambientata proprio alle Faroe. Parla di un ambientalista che si batte per la fine della caccia ai cetacei. E l’inizio di una nuova era per l’arcipelago.