Carlo Bastasin per “la Repubblica - Affari & Finanza”, 10 gennaio 2022
COMUNQUE VADA, SIAMO FREGATI - L’ECONOMISTA CARLO BASTASIN: “NON C'È SCENARIO CHE SIA RASSICURANTE: NELL'IPOTESI IN CUI DRAGHI DIVENTI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA POTREBBE NON AVERE IL POTERE DI GARANTIRE UNA STAGIONE DI RESPONSABILITÀ DEI PARTITI” - “SE IL PASSAGGIO AL QUIRINALE NON DOVESSE FUNZIONARE, POTREMMO SOLO IMMAGINARE COME POSSA CONTINUARE A NEGOZIARE CON PARTITI DA CUI VIENE USATO. NON SOLO: STANNO PER RIDURSI GLI ACQUISTI DI TITOLI PUBBLICI ITALIANI DA PARTE DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA, MA NEL 2023 I VINCOLI EUROPEI TORNERANNO E…” -
È amaro dirlo, ma senza i vituperati vincoli europei la politica italiana torna sistematicamente sulla cattiva strada. Se non fossimo annebbiati dalla quotidianità, vedremmo che è in corso un cambiamento importante nella cultura pubblica italiana e che questo ci sta già riportando verso l'instabilità politica e finanziaria.
Per la prima volta da trent' anni, le scelte del Parlamento non sono costrette dagli equilibri di finanza pubblica, sono infatti sospese le regole che imponevano limiti all'indebitamento. Inoltre, la pressione dei mercati è cancellata dall'acquisto di titoli pubblici da parte della Bce.
E sostanziosi fondi europei consentono di realizzare progetti di spesa un tempo impossibili. La pandemia ha pienamente giustificato queste novità sia dal punto di vista morale che tecnico. Con un pizzico di cinismo, Bob Lucas, un economista oggi non più in auge, ammoniva: «Siamo tutti keynesiani quando abbiamo un piede nella fossa».
Dapprima, la politica italiana ha risposto alla nuova stagione affidando a Mario Draghi il compito di esercitare razionalità nelle scelte pubbliche. Questa saggia decisione, mese dopo mese, ha deresponsabilizzato i leader parlamentari. In quest' anno in cui sarà assorbito l'impatto recessivo della pandemia, i comportamenti - liberi da vincoli di spesa - non torneranno più a distinguere tra ciò che è importante e ciò che non lo è. Sono stati sufficienti pochi giorni per capirlo.
Appena approvata la legge di Bilancio, i leader hanno cominciato a discutere di un disavanzo aggiuntivo con la scusante dell'intensificarsi dei contagi. Si è creato un intreccio tra allarme sanitario, mobilitazione emotiva dell'opinione pubblica, litigi sulle misure di contenimento e di profilassi, concordia sulle maggiori spese in debito dello Stato ed erosione della credibilità del prestigioso tecnico che finora aveva tenuto insieme il Paese.
La legge di Bilancio era stata discussa nel dettaglio per mesi, presentata seppur in ritardo alla Commissione europea il 20 ottobre, diventata oggetto di negoziato con Bruxelles, modificata e completata nei giorni precedenti le Feste e infine approvata in Parlamento all'ultimo momento utile. Si tratta di una legge di quelle che piacciono ai partiti perché esageratamente generosa, con una quantità sproporzionata di spese correnti e un effetto espansivo quadruplo rispetto a quello di altri Paesi come Spagna e Francia e doppio rispetto alla Grecia.
Queste osservazioni critiche sono state fatte sia dalla Commissione europea, sia da uno studio recente della School of European Political Economy (Luiss). Eppure, non è passata nemmeno una settimana e i partiti in Parlamento hanno approvato un ordine del giorno che ha disposto una discussione sul finanziamento in disavanzo di altre spese correnti.
Spiccano le posizioni di M5S e Lega, ma nessun partito si è tirato indietro. E non si tratta di poca cosa, ma di circa mezzo punto di Pil di nuovo debito, pari all'intero sostegno fiscale delle leggi di Bilancio di altri Paesi dell'euro-area paragonabili per condizioni economiche. È significativo che la risposta del governo sia stata quella di rinviare di qualche settimana ogni decisione in merito.
Ufficialmente, perché è opportuno verificare le conseguenze sull'economia dell'epidemia da variante Omicron in pieno corso, meno ufficialmente per capire che cosa succederà al governo con la nomina del nuovo Presidente della Repubblica. Il circolo vizioso tra sanità, spese correnti e maggiore debito si completa così, condizionando il futuro delle istituzioni del Paese. Non c'è scenario che sia rassicurante: nell'ipotesi in cui Draghi diventi presidente della Repubblica potrebbe non avere il potere di garantire una stagione di responsabilità dei partiti.
Se il passaggio al Quirinale non dovesse funzionare, potremmo solo immaginare come Draghi possa continuare a negoziare con partiti da cui viene usato. È sufficiente ricordare l'ingiusto trattamento che è stato riservato a Mario Monti, colpevole di aver fatto quello che i partiti si erano impegnati a fare quando il Paese stava fallendo e non erano stati in grado di compiere. Si dirà che, se il Paese ha fatto a meno di Monti allora, potrà fare a meno di Draghi oggi che l'Europa ci manifesta concreta solidarietà. Ma non è per forza così.
Una leadership politica cresciuta negli ultimi anni tra populismo e irresponsabilità fiscale potrebbe non essere in grado di fare i conti con condizioni che erano normali solo dieci anni fa. Sempre che questa stagione duri ancora. Non solo, infatti, stanno per ridursi gli acquisti (più che proporzionali) di titoli pubblici italiani da parte della Banca centrale europea, ma nel 2023 i vincoli europei torneranno e, se i fondi europei non saranno utilizzati in modo adeguato, il tasso di crescita del Paese potrà non essere sufficiente a ridurre il debito.
Sui vecchi tram delle città italiane un tempo c'erano scritte in metallo con ammonimenti a non espettorare sul pavimento, non oltraggiare il creatore e, in modo più perentorio, a non disturbare il manovratore. I passeggeri erano chiamati a comportamenti responsabili e a non distrarre il conducente, anche se quei tram seguivano binari di acciaio, ancorati al terreno, e i comandi si limitavano, più o meno, a un freno e un acceleratore. Ora i binari non ci sono più e a bordo è stata abolita la figura del controllore dei biglietti. Bisognerebbe farsene carico prima di andare a sbattere sul muro.