La Stampa, 10 gennaio 2022
Il potere della barzelletta
Negli Anni 30 Greta Garbo era il mito dei miti. La sua bellezza misteriosa affascinava tutto il mondo, e il mistero intorno alla sua persona accrescerà ancora di più il suo fascino soprattutto quando l’attrice, a partire dal 1941, deciderà di non apparire più in pubblico. Chi la chiamava la Divina, chi come Fellini preferiva la definizione «fata severa»: i ruoli che interpretò a Hollywood furono prevalentemente drammatici e mai le sue labbra furono increspate da un sorriso.
Poi arrivò Ernst Lubitsch, il maestro della commedia sofisticata, e si inventò la «Garbo che ride». Questa fu infatti la frase di lancio per Ninotchka, una delle più divertenti commedie del regista. La Garbo accettò con entusiasmo («sono stufa di fare l’eroina perduta, la donna tragica») e Lubitsch costruì in modo magistrale quella risata tanto attesa. Il protagonista Melvyn Douglas a un certo punto si rivolge alla bellissima signora accigliata in un ristorante e le dice che le racconterà una barzelletta irresistibile. Lei rimane impassibile, lui va in confusione, sbaglia i tempi della battuta e si arrabbia con lei. L’ira lo fa cadere dalla sedia in modo fragoroso, e tutto il locale scoppia a ridere. Anche la Garbo.
Il conservatore della Cineteca Nazionale Alberto Anile si è interrogato proprio sul ruolo che le barzellette hanno nel cinema e ne ha tratto un gustosissimo libro uscito da Lindau, Una birra e uno straccio, con Gianni Amelio che nella prefazione racconta perché lui, che abitualmente gira film drammatici, ha inserito spesso barzellette nei suoi film e ha titolato uno dei suoi film più belli, Così ridevano, proprio con il nome della rubrica che sulla Domenica del Corriere presentava barzellette di molti anni prima.
Le barzellette, ci spiega Anile, possono avere ruoli molto diversi dentro il film. In La voglia matta del 1962 in cui il maturo Tognazzi perde la testa per la giovanissima Catherine Spaak mostrano il distacco generazionale. Quando il giovane Stelvio Rosi racconta che nella famiglia di Dracula invitano il figlio a mangiare in fretta la minestra perché se no si coagula, la Spaak ride tantissimo, Tognazzi mormora: «Che schifo», mostrando come gli anni determinano fratture di gusto incolmabili. In altri casi possono essere un tormentone, come la barzelletta del cinese in coma che fa sempre capolino nel film omonimo di Carlo Verdone e che solo alla fine viene raccontata. O ancora possono essere capolavori di nonsense, come nel caso di Anything Else di Woody Allen: «Dottore, sento male se faccio così» «E lei non lo faccia». Con la variante iraniana suggerita da Abbas Kiarostami in Il sapore della ciliegia: «Dottore, mi tocco la testa con il dito e mi fa male, mi tocco la pancia e mi fa male, mi tocco la mano e mi fa male…» «Lei ha il dito rotto». Prova provata che la barzelletta è più forte di veti ed embarghi.
Un libro sorprendente, che aiuta le riflessioni. Ad esempio: sono meglio le barzellette lampo o quelle chilometriche nelle quali Walter Chiari era maestro? Quentin Tarantino ne racconta una lunghissima in Desperado, diretto dal suo amico Robert Rodriguez. È solo una barzelletta, ma mostra lo stile di Tarantino nel narrare, il suo gusto per la sorpresa, il suo essere grossolano senza mai essere volgare. Provare (e leggere) per credere. —