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 2022  gennaio 10 Lunedì calendario

Orazione funebre per le democrazie (di Canfora)

È una sorta di orazione funebre per le democrazie il nuovo, avvincente saggio di Luciano Canfora, La democrazia dei signori, edito da Laterza. Il notissimo storico e filologo classico ritiene che il “demo”, ovvero il popolo, abbia abbandonato la democrazia e s’interroga se, dopo ciò, si possa ancora parlare di sistema democratico.
Da cosa nasce questo suo convincimento sulla penombra dell’assesto istituzionale che non solo l’Italia sta attraversando?
«La storia del sistema parlamentare rappresentativo non è molto lunga, solo due secoli, poca cosa rispetto alla storia tout court. Nel nostro paese il suffragio universale, riservato solo agli uomini, prende avvio nel 1912. Poi c’è stata la lunga e drammatica parentesi del fascismo. Solo nel secondo dopoguerra – il suffragio femminile arrivò nel ’46 – si registra una partecipazione popolare massiccia agli eventi e al dibattito politico: era come se l’Italia fosse segnata da una speciale e tutta particolare euforia, finalmente il sistema democratico parlamentare si sposava con la vitalità dei partiti».
Quando finisce questa luna di miele della democrazia italiana?
«S’interrompe per fattori esterni, il crollo dell’Urss. Ma finisce anche per motivi interni: l’esaurimento della forza propulsiva delle sinistre. Lo Stato sociale viene messo sotto attacco e scema la fiducia delle classi lavoratrici nei partiti di riferimento. La gente comincia a tenersi lontana dalle urne e guarda con diffidenza alla politica».
Sono passati parecchi anni da quando questi limiti si sono manifestati. Secondo lei c’è stata un’esplosione delle contraddizioni negli anni più recenti?
«Certo. I partiti da tempo non riescono più a esprimere governi coerenti con i loro principi ispiratori. Per surrogare la mancanza di governabilità si sono ripetutamente rifugiati in governi di cosiddetta “unità nazionale”. Gli elettori, il popolo non ha più formazioni politiche di riferimento. I partiti tendono a rassomigliarsi e questo provoca un crescente distacco del “demo” dalla classe politica. Anche le assemblee legislative perdono mordente, vengono messe fra parentesi da un potere esecutivo sempre più debordante che le esautora attraverso una pioggia di decreti legge e similari. Il ruolo del Parlamento s’assottiglia fin quasi a svuotarsi».
Come dice il titolo del suo libro, rimane però una “democrazia dei signori”? Cosa significa?
«Voglio sottolineare il fatto che solo i ceti medio-alti continuano in qualche misura a riconoscersi nell’attuale sistema politico. A sentirsene rappresentati. Lo dico con una battuta: si vota di più nel quartiere borghese romano dei Parioli che in quello popolare della Garbatella. Votano ‘i signori’».
Nel formulare la sua analisi ha in mente anche o prevalentemente l’attuale governo di Mario Draghi, connotato da una assai larga maggioranza?
«Sì, anche se qualcosa di molto simile è avvenuto anche con i governi di Carlo Azeglio Ciampi e del senatore a vita Mario Monti. In tutti questi casi faceva premio l’emergenza della situazione e il crescente discredito del Parlamento e dei partiti politici. Tutto questo è servito ad avallare delle forzature democratiche. Come ha osservato anche Domenico Cella, a capo della Fondazione Alcide De Gasperi, il ‘governo del Presidente’ voluto Sergio Mattarella ‘segna una deviazione dalla nostra Costituzione’, glielo riferisco letteralmente. Il governo di Draghi è uno stravolgimento giustificato con la pandemia che fuoriesce dal dettato costituzionale. Per citare ancora Cella ‘dal Presidente della Repubblica mi sarei aspettato una più energica prospettazione delle elezioni anticipate’. In generale, non solo Mattarella, ma anche altri presidenti, si sono comportati come se da noi vigesse la Costituzione della Quinta repubblica francese. Il caso di Draghi, comunque, rappresenta senza alcun dubbio un caso limite, senza precedenti paragonabili: è come se l’inquilino del Quirinale abbia chiamato l’ex presidente della Bce e gli abbia detto: ‘metti le cose a posto’, Un’anomalia mai vista prima e tutta italiana».
Non le pare che il richiamo all’emergenza del contagio non sia un mero espediente e che il governo Draghi abbia ottenuto anche risultati positivi su molteplici versanti?
«L’attuale governo da quando si è insediato è stato celebrato, direi in maniera veramente esagerata e per mesi, dai mass media. Adesso tutto questo fervore sta scemando. E il panorama politico si sta modificando. Registro questo mutamento ma non ritengo per questo di dare un giudizio completamente negativo sull’operato di questo anno. È positivo e importante, ad esempio, che Draghi abbia ribadito più volte e con grande convinzione che si devono ‘cambiare i parametri inseriti nel trattato di Maastricht’, vale a dire il pareggio di bilancio a tutti i costi, il limite del deficit e del debito in rapporto al prodotto interno lordo. L’impalcatura dell’unione europea va rivista. Lo ha proposto anche David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo. Ha suscitato un grande dibattito e anche parecchio scandalo, Sassoli suggerendo la cancellazione di una parte dei debiti pubblici dei paesi europei. L’idea che Draghi si trasferisca al Quirinale è in rotta di collisione con le promesse di cambiare l’Unione europea. Sono fermamente convinto che solo da Palazzo Chigi potrebbe confrontarsi con i ‘falchi’ del nord Europa. Come presidente del Consiglio potrebbe portare avanti con un minimo di probabilità di successo questi condivisibili propositi». —