Filippo Facci per “Libero quotidiano”, 10 gennaio 2022
INDAGHIAMO SU COME FANNO LE INDAGINI – IN ITALIA, CIRCA IL 36% DELLE ACCUSE DEI PUBBLICI MINISTERI VIENE SCONFESSATO, SALENDO FINO AL 50 PER CENTO SE SI INCLUDONO LE PRESCRIZIONI – FILIPPO FACCI: "CHE COSA PUÒ O VUOLE FARE, SERIAMENTE, L'ANNUNCIATA RIFORMA DEL MINISTRO CARTABIA?; QUALI SONO LE LAGNANZE DELLA COMMISSIONE EUROPEA SULLE DISFUNZIONI DELLA NOSTRA GIUSTIZIA?; PERCHÉ I DATI SUI TEMPI, PROSCIOGLIMENTI E DISFUNZIONI DELLA GIUSTIZIA ITALIANA NON QUADRANO MAI COI DATI OPPOSTI DALLA MAGISTRATURA?" -
Se si trattasse solo di dare una notizia, sarebbe questa: le accuse dei pubblici ministeri, nei processi italiani, vengono sconfessate nel 36 per cento dei casi, i quali salgono approssimativamente al 50 per cento se comprendiamo le prescrizioni. Il problema è che pioverebbero smentite e repliche non tutte in cattiva fede, visto che ciascuno si appella a dati diversi e spesso visti da un'angolatura ancor più diversa.
Il punto è che parlando del disastro della giustizia italiana - da mesi, da anni - ci sono tre domande a cui nessuno sembrava saper rispondere, o alle quali ciascun soggetto dava una risposta troppo difforme da quelle altrui perché suonasse credibile.
Le domande erano: che cosa può o vuole fare, seriamente, l'annunciata riforma del Ministro Cartabia?; soprattutto, quali sono, di preciso, le lagnanze della Commissione Europea (Cedu) sulle disfunzioni della nostra Giustizia?; perché, infine, i dati sui tempi, sui proscioglimenti e sulle disfunzioni della giustizia italiana non quadrano mai coi dati opposti dalla magistratura, come per esempio ha ribadito il Procuratore Generale Giovanni Salvi nella sua Relazione annuale sulla giustizia medesima?
Bene, ora una risposta un po' più seria ce l'abbiamo, anche se siamo costretti a condensarla nei limiti di un articolo senza che tuttavia non cambia percezione finale, che è una sola: è impressionante.
RACCOLTA E ANALISI Dobbiamo la possibilità di rispondere a uno studio - impressionante a sua volta: per accuratezza e complessità - pubblicato sull'ultimo numero di Archivio Penale e curato dalla nota giurista Cristiana Valentini, ordinario di procedura penale, la quale dimostra quanto mal riposto fosse l'ottimismo del Procuratore Generale Giovanni Salvi quando disse che «le assoluzioni depurate degli esiti non di merito sono in realtà inferiori al 20 per cento del totale».
Il procuratore rispondeva a quanti rilevavano una distonia tra l'esercizio dell'azione penale e i suoi esiti dibattimentali, cioè processuali: «Questa discussione si basa in realtà su di una non corretta informazione, derivante dalla imperfezione della raccolta e dell'analisi del dato, causata da una storica sottovalutazione dell'aspetto conoscitivo del sistema giudiziario».
E su questo aveva senz'altro ragione. Il problema è che è lo studio di Cristiana Valentini ha preso in esame ogni procedimento penale sin dalla «scaturigine» (la notizia di reato e la sua gestione) e fino al suo epilogo.
I dati di Salvi (i dati in generale) per esempio non tengono mai conto anche delle denunce iscritte a "modello 46", ossia le notizie da fonte anonima (soffermandosi perlopiù sulle notizie di reato iscritte a "modello 21", registro noti) e tantomeno le notizie iscritte nel registro "modello 45", ossia gli atti non costituenti notizia di reato, che non compaiono in nessuna statistica ministeriale (la Valentini ha dovuto procurarseli per conto proprio) e che per l'anno 2019, l'ultimo disponibile, ammontavano a oltre 1.198.000.
Ora: al modello 45 - questo lo aggiungiamo noi - il cittadino mediamente istruito sa che un pm tenda a ricorrere quando ritiene appunto che non esista notizia di reato, come nel caso di denunce presentate da pazzi con manie di persecuzione, insomma, è una forma di archiviazione: ma un qualsiasi avvocato praticone sa che non è vero, come spiego Antonio Di Pietro nel 1997 credendosi al riparo da orecchie indiscrete: spiegò che il modello 44 e 45 servivano provvisoriamente a guadagnare tempo visto che i tempi delle indagini preliminari in teoria duravano solo sei mesi.
La Valentini traduce così: «Una minima esperienza empirica in possesso di qualsivoglia avvocato insegna che a registro degli atti non costituenti notizia di reato finisce ben altro dei deliri immaginifici del soggetto psichiatrico di turno».
MARE MAGNUM In sostanza i "modelli 45" testimoniano che la cifra reale della discrezionalità (incontrollata) dei pubblici ministeri è molto più alta di quanto si sospetti. $ un mare magnum di apparenti «non notizie di reato» che non prevedono limiti di tempo, pronte da ripescare a piacimento, magari a carico di «finti» ignoti che quest' ultimi, di fatto indagati o persone offese, secondo una logica fuori legge, consente vere e proprie «istruttorie occulte».
$ anche una specialità siciliana- aggiungiamo noi anche questo - a cui ricorsero per esempio nella fallita inchiesta «sistemi criminali» o in un'altra dove gli indagati vennero celato sotto le sigle «XXXXX» e «YYYYY», e che si ossequia criteri selettivi misteriosi quanto incontrollabili dove l'unico a fungere da nocchiero è il pubblico ministero.
Ecco, di queste notizie di reato nascoste, iscritte a "modello 45", non è a conoscenza neppure la volenterosa Commissione Lattanzi messa in piedi dal ministro Cartabia, per capirci. Ma sono bel altri, ed esulano dai limiti di questo articolo, gli esempi di come i pubblici ministeri possano ampliare i loro poteri discrezionali e incontrollabili in modo che sfugga all'occhio ma soprattutto alla statistica, nascosto nelle pieghe oscure del sistema.
Se a tutto questo aggiungiamo i controversi e confusi numeri (comunque bassissimi) di ricorso ai riti alternativi da parte dei pm, dei quali mancano dati completi relativamente alle richieste di rinvio a giudizio e ai proscioglienti, giungiamo infine alla risposta che più si temeva, ossia quella sul che cosa possa effettivamente fare la ministra Marta Cartabia assieme a Giorgio Lattanzi (ottimo ex presidente della Corte costituzionale) in tema di riforma della Giustizia.
La risposta è niente. L'imprinting dato alla sua Commissione in fondo non è diverso da quello affidato al peggior ministro Guardasigilli della storia italiana, Alfonso Bonafede: assicurare una ragionevole durata del processo e recuperare una miglior efficienza ed efficacia dell'amministrazione della giustizia. Parole.