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 2022  gennaio 09 Domenica calendario

Intervista al designer indiano Rooshad Shroff

Rooshad Shroff ha fondato lo studio Rooshad Shroff Architecture + Design a Mumbai nel 2011, dopo aver studiato alla Cornell University e alla Graduate School of Design di Harvard. Oltre a realizzare interni ed edifici, supera i confini tradizionali dell’architettura occupandosi anche di mobili, moda, editoria e grafica.
Perché dieci anni fa è tornato nel suo Paese?
«L’India è casa mia, ed è un Paese ancora giovane dal punto di vista del design. Però il mio ritorno non è il risultato di un piano. Avevo trascorso quasi 10 anni negli Usa, e avevo lavorato con piacere a Londra insieme a Zaha Hadid. Dopo Harvard, avevo pensato di tornare a Londra, dove mi stava aspettando un colloquio con Foster, ma prima decisi di trascorrere un mese in India. E in quel mese si aprirono nuove opportunità, e decisi che fosse giunto il momento di tornare a casa».
Che rapporto ha Mumbai con il resto del Paese?
«Mumbai non rispecchia l’India, è molto più vicina a New York e Londra, non però in termini di design e architettura contemporanea. Non c’è l’attenzione per il design, e il governo non incentiva grandi progetti istituzionali come in Occidente. Non abbiamo musei di arte contemporanea, di conseguenza la gente non può scoprire l’arte fin dalla più tenera età. Però negli ultimi 10 anni ho visto tanti cambiamenti: si è più informati, si viaggia di più, e l’interesse per il design è cresciuto, sia da parte dei professionisti che dei clienti».
Perché ha deciso di recuperare l’artigianato storico classico indiano?
«Quando avevo lavorato con Zaha Hadid, la sua attenzione alla tecnologia e agli strumenti nuovi mi aveva attratto tantissimo. Poi però ho capito che il linguaggio del design globale iniziava ad assomigliarsi tantissimo, anche per via degli strumenti utilizzati e della progettazione al computer. Quando le cose vengono prodotte dalle macchine non si riesce veramente a collegarle a un luogo geografico preciso, o all’identità dell’artigiano».
Perché ha iniziato a lavorare sui mobili?
«Avevo iniziato da oggetti molto low-tech perché non richiedevano infrastruttura ed erano economici. All’inizio rifuggivo l’artigianalità, che mi sembrava puramente decorativa, ma più capivo i suoi processi più diventava interessante. Negli ultimi 10 anni ho esplorato numerosi arti artigianali, dal ricamo all’intaglio o all’intarsio in legno, e alle incisioni e sculture in marmo».
Ha prodotto nuovi design per gli artigiani tradizionali?
«L’idea era capire il potenziale di questi artigiani, che hanno alle spalle generazioni di tecniche che si passano di padre in figlio perché non esistono scuole. È molto interessante rendere il loro lavoro più sofisticato aggiungendo un linguaggio estetico di design contemporaneo».
Lei ha lavorato con Hermès e Christian Louboutin oltre ad altri marchi di moda. I suoi primi clienti erano francesi?
«Sì, in Francia si apprezza molto il lavoro fatto a mano, le bellezze artigianali. Ho studiato in Occidente, e la mia visione del design tende a un’estetica più occidentale rispetto a quella indiana. L’artigianato mi ha permesso di aggiungere un nuovo strato, che sarebbe stato difficile, follemente costoso o addirittura impossibile se fossi rimasto a Londra o a New York».
I suoi progetti sono rivolti soprattutto all’India?
«Abbiamo fatto progetti anche all’estero, per esempio, negozi negli Emirati, il negozio di Louboutin a Bangkok, abbiamo appena finito a Londra la casa privata di un attore di Bollywood. I miei clienti vivono soprattutto in India, e questo mi fa felice perché è un mercato enorme e inesplorato. Però nella prima metà del 2022 cominceremo a vendere all’estero i nostri mobili, e una galleria di Bruxelles rappresenta le nostre sedie ricamate».
Come descriverebbe i suoi mobili?
«Guardo sempre alla tecnica di un artigianato, la studio e cerco di capire come andare oltre i limiti del materiale e della tecnica per dare una nuova vita. Il ricamo su legno è la nostra specialità: non è una struttura di legno con il tessuto sopra, ma la tappezzeria che diventa una parte integrante dell’arredo, intrecciata alla struttura. Abbiamo realizzato una tecnica per realizzare fori di 3 mm a 4 mm di distanza, tutti traforati a mano in un legno di 5-8 centimetri di spessore, per poi ricamare attraverso il legno, con diverse tecniche e punti».
In America si guarda molto ai designer italiani, francesi, danesi o svedesi, a volte tedeschi. E in India?
«In India il 90 % delle case più ricercate possiede arredi italiani. Noi facciamo molti interni, e quasi tutti i progetti prevedono mobili Made in Italy».
Qual è il suo concetto di decorazione di interni?
«Amo i progetti di spazi commerciali perché sono sempre guidati da un concetto, un’idea forte, una manifestazione fisica del marchio. Noi siamo attratti dalle linee pulite della contemporaneità, ma aggiungiamo sempre materiali speciali. Ci piace aggiungere dettagli personalizzati, è quello che i clienti ci chiedono».
Giorgio Armani e Andy Warhol avevano iniziato dalle vetrine. In cosa consiste l’arte delle vetrine?
«Noi facciamo le vetrine di Hermès, che sono uniche, creano una narrativa, una storia, un’ambientazione che coinvolge i passanti e li fa sorridere. Non punta tanto a vendere un oggetto quanto a invitare dentro un universo. Creiamo quattro vetrine l’anno ed è bello proporre un’idea nuova ogni tre mesi».
Vorrebbe creare un gusto indiano contemporaneo da esportare ?
«Lo spero, è l’unico modo di sostenere l’artigianato. Il ricamo è un buon esempio: è stato usato da molti marchi del lusso, che tutti hanno un’identità molto diversa con le stesse tecniche. L’artigianato indiano ha bisogno di una voce più contemporanea, invece di ripetere la stessa cosa per generazioni».
Cosa le piacerebbe costruire?
«Un museo d’arte contemporanea, è il mio sogno. Non ha importanza se sarà il primo dell’India o no, ma lo voglio assolutamente fare».