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 2022  gennaio 09 Domenica calendario

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA SPIA KUNDERA - IN REPUBBLICA CECA CRESCE L'OSTILITÀ AL RIMPATRIO DELLO SCRITTORE FUGGITO IN FRANCIA NEL 1975: A PARIGI AVREBBE INFORMATO IL GOVERNO FILO-SOVIETICO DI PRAGA. DA GIOVANE AVEVA DENUNCIATO UN AMICO CHE FU CONDANNATO A 22 ANNI DI LAVORI FORZATI NELLE MINIERE DI URANIO – LA POLEMICA NEL ’68 CON HAVEL. IL FUTURO PRESIDENTE CECO LIQUIDO’ KUNDERA COME “VIVEUR INTELLETTUALE" -

Pubblichiamo un estratto da un articolo che sarà pubblicato su Vita e Pensiero, bimestrale culturale dell’università cattolica del Sacro Cuore, in uscita il 13 gennaio. L’articolo, intitolato Scrittori fra Est e Ovest da Havel a Kundera, ripercorre la polemica avvenuta nel 1968 tra il futuro presidente ceco e il drammaturgo autore del famoso romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere. Testo di Maurizio Cecchetti pubblicato da "la Verità"

Da almeno vent' anni Milan Kundera prova il sentimento malinconico del rimpatrio, del nostos. Nel 2019 gli è stata restituita la nazionalità ceca, che gli era stata tolta nel 1975. Eppure, nonostante ci sia in patria un clima istituzionale favorevole al suo ritorno, esiste anche una opinione pubblica, forse maggioritaria, che nutre risentimenti perché lo considera un «traditore» non soltanto per aver abbandonato la Cecoslovacchia nel 1975, ma - come insinua un voluminoso saggio biografico di Jan Novák uscito lo scorso anno dall'editrice ceca Argo, Milan Kundera. eský ivot a doba (Milan Kundera. La sua vita e i suoi anni cechi) - anche perché crede che possa aver svolto da Parigi una funzione ambigua di informatore segreto per il governo filosovietico sulla vita di altri cechi emigrati all'estero.

La tesi di Novák, causa di accese polemiche in patria, poggia sul passato di ex comunista di Kundera e sullo scandalo creato nel 2008 dalla scoperta di un documento «imbarazzante», risultato poi autentico, che sembra accusare di «delazione» lo scrittore il quale nel 1950, all'epoca ventunenne, risulta aver denunciato un ceco rientrato clandestinamente in patria al servizio degli occidentali, Miroslav Dvoáek, che fu condannato a 22 anni di lavori forzati nelle miniere di uranio, uscendone 13 anni dopo ma sotto sorveglianza speciale.

Kundera all'epoca respinse l'accusa infamante, dichiarando che si trattava di un colpo basso, un attentato alla sua figura di scrittore. Per Novák, la giovanile infatuazione per il comunismo, fino a scrivere poesie che inneggiavano a Stalin - Kundera non ha mai voluto che fossero ripubblicate, considerandole uno stupido errore di quella che definisce «l'età dell'idillio» -, e la presunta «delazione» emersa nel 2008 non si possono cancellare con un colpo di spugna considerando l'atteggiamento critico che lo scrittore prese successivamente a favore di un socialismo dal volto umano. Secondo Novák è solo fumo negli occhi, e si dice convinto che lo scrittore sia un lupo che ha perso il pelo ma non il vizio.

posizioni riformiste È da quelle posizioni «riformiste» sul socialismo che vogliamo ripartire per analizzare il «caso Kundera». Tra la fine del 1968 - qualche mese dopo l'invasione sovietica della Cecoslovacchia - e l'inizio del 1969 - mentre è ancora viva l'emozione dei cechi per il sacrificio di Jan Palach - su alcune riviste cecoslovacche si svolse quello che fu certamente uno dei più importanti dibattiti europei sulla libertà e sul ruolo morale degli intellettuali rispetto al totalitarismo.

Protagonisti del dibattito: Milan Kundera e Václav Havel. Ad aprire la riflessione fu Kundera il 19 dicembre 1968 sul numero di Natale del settimanale dell'Unione degli scrittori cecoslovacchi Literární Listy con un articolo intitolato eský Ud l: Il destino ceco.

Nella sua laconicità, il titolo testimoniava di una continuità storica nella tragedia che il popolo cecoslovacco stava vivendo. Kundera era già intervenuto nel dibattito che la rivista aveva aperto nei mesi precedenti l'entrata a Praga delle truppe del Patto di Varsavia con l'articolo Il piccolo e il grande, nel quale si legge: «Mi irrito moltissimo quando sento adoperare la vecchia locuzione alata: da pari a pari. Perché il nostro rapporto con l'Unione sovietica non è mai stato di tal genere e non lo è nemmeno oggi […] i nostri rapporti non solo non sono rapporti da pari a pari, ma non siamo nemmeno più in grado di immaginarceli tali».

[…]Mentre si trova a casa di un amico il 24 agosto, a invasione già avvenuta, Kundera sente esplodere alcuni spari; ha fra le mani uno dei testi fondamentali dell'identità nazionale, quello dove, nel 1633, l'emigrante evangelico Pavel Stránský, affrontando la questione dello Stato ceco e del dominio tedesco sulla Boemia, osserva: «E anche se si ammettesse che gli imperatori tedeschi hanno esercitato ed esercitano la più alta sovranità sui paesi cechi e che i cechi hanno rifiutato loro ubbidienza, gli imperatori tedeschi non dovevano preferire, contro coloro che opponevano il rifiuto, la via dei fatti e delle armi rispetto alla dovuta applicazione del diritto.

È infatti accettato che chi rivendica con la violenza quel che gli spetta, senza curarsi dell'applicazione delle norme, perde tutto il diritto che aveva, e che inoltre non si deve ricorrere alla pressione dove si può trattare secondo le leggi».

[...] il «destino ceco» Ma al nucleo della Primavera praghese (repressa dai carri sovietici) viene nuovamente alla luce, argomenta Kundera, la questione del destino ceco, nel «tentativo di creare finalmente (e per la prima volta nella storia mondiale) un socialismo privo dell'appoggio dell'onnipotente polizia segreta, con la libertà di parola scritta e stampata, con un'opinione pubblica che viene ascoltata e con una politica che si appoggia a essa, con una cultura moderna che si sviluppa liberamente e con uomini finalmente liberi dalla paura un tentativo con cui i cechi e gli slovacchi per la prima volta dalla fine del Medioevo

[…] si sono posti di nuovo al centro della storia e hanno rivolto al mondo il loro appello». Parole indubbiamente commoventi, per quanto venate di romanticismo. A questo punto, ci si potrebbe aspettare una presa di posizione, senza se e senza ma, contro l'invasione sovietica, invece Kundera confessa: «Ma io mi rifiuto di chiamarla una catastrofe nazionale, come oggi fa comunemente la nostra opinione pubblica, piuttosto lamentosa. Oso addirittura dire, a dispetto dell'opinione corrente, che forse il significato dell'Autunno cecoslovacco è perfino superiore al significato della Primavera cecoslovacca è successo infatti qualcosa che nessuno si aspettava: la nuova politica ha retto al terribile conflitto ha cementato dietro di sé l'intera nazione, poiché era interiormente più forte di quanto non fosse prima di agosto» coltivando così «un'immensa speranza per il futuro».

Kundera lancia infine il suo strale contro i disfattisti (strano aggettivo, tipico del linguaggio dei regimi autoritari): «Lo spirito ceco oggi ha due forme. In una, diventa un vizio che rifiuta qualunque speranza e approva tutte le disperazioni: è lo spirito dei deboli degenerato in puro e semplice pessimismo che costituisce il clima ideale per preparare la sconfitta. C'è poi il vero spirito critico, che sa smascherare le illusioni e le presunte certezze, ma al tempo stesso ha un'estrema sicurezza di sé, perché sa di essere una forza, un valore, un potere su cui si può costruire il futuro. Questo senso critico, che prima ha suscitato la Primavera cecoslovacca e poi in Autunno ha resistito agli attacchi delle menzogne e dell'irrazionalità, non è la proprietà di una élite ma è la più grande virtù di tutta la nazione».

la reazione di havel Senza queste ultime affermazioni, Václav Havel forse non avrebbe preso carta e penna per replicare a Kundera, il quale aveva rivolto una subdola domanda ai cechi emigrati all'estero che rifiutarono l'invito dei dirigenti comunisti a rimpatriare, perché non si fidavano delle garanzie offerte dal regime: «Davvero un cittadino ceco non è in grado di rischiare quello che rischia un suo uomo di Stato? Davvero è capace di vivere senza mai correre rischi?».

Se pensiamo che soltanto sei anni dopo quelle parole, nel 1975, proprio Kundera emigrerà in Francia senza più ritornare in patria, più che il biasimo per simili argomentazioni si dovrebbe compatirne la debolissima resistenza che altri, invece, opposero al regime fino a subire il carcere o a morire per mano della polizia politica, come il filosofo di «Charta 77», Jan Patoka.

Tocca quindi ad Havel. Dopo che il giornale Host do domu (L'ospite in casa) si rifiuta di pubblicarlo, Havel fa uscire in febbraio sulla rivista Dnesek e sulla rivista Tvar un articolo in risposta a Kundera. Il titolo è lo stesso dell'articolo di Kundera, però con un punto interrogativo: Il destino ceco? Fin dalle prime righe si capisce che sarà una critica anche ironica ma sferzante alle idee di Kundera, «questo viveur intellettuale moderatamente scettico che è stato sempre incline a vedere soprattutto i nostri difetti».



Havel sostiene che di fronte al senso d'impotenza l'animo dei cechi tende a rivolgersi al passato per evitare di prendere posizioni decise sul presente. Ma questo, osserva Havel, testimonia una carenza di senso critico: «Quando il patriota ceco non ha abbastanza coraggio (e senza coraggio il vero spirito critico è impensabile) di guardare in faccia il presente, crudele ma aperto [] si volge verso un passato migliore ma ormai chiuso, un passato nel quale si era tutti uniti»; così però «dalla critica fugge verso l'illusione». [...]

La critica a Kundera risuona forte e chiara: «Quanto è più facile assumere tatticamente una vaga posizione attendista (protetta da un'astratta ammirazione per la nazione), adottando un po' lo spirito critico nazionale (quello "positivo") e un po' condannandolo (quello "negativo") e, soprattutto, non bruciare le tappe per potersi tenere le mani libere per ogni eventualità».

[...]

Havel sottolinea [] che nella protesta d'agosto contro la normalizzazione sovietica c'era «qualcosa di più del semplice dissenso rispetto all'intervento militare: c'era anche una sorta di referendum non ufficiale di tutto il popolo su quali avrebbero dovuto essere i rapporti nel paese: c'era la grande promessa reciproca che da certi valori non ci saremmo mai allontanati».

Per Havel «il ritorno al passato ha senso solo come appello all'azione nel presente». E rigira la questione a Kundera: si può sperare ancora nella libertà di parola e di riunione; in una politica aperta e controllata dall'opinione pubblica e in un governo realmente democratico; in un pluralismo politico legale; in una ristrutturazione economica, ovvero in una politica estera sovrana? Domande semplici e legittime per poter affermare che un Paese sia capace di pensare sé stesso e autodeterminarsi. [...]