Avvenire, 9 gennaio 2022
Sette milioni di donne inattive in Italia
Lavorano ancora troppo poco le donne italiane. Colpa della mancanza di servizi per l’infanzia che non consentono la conciliazione ma soprattutto della difficoltà a rientrare nel mercato dopo una maternità. A fotografare questa situazione il rapporto di Randstad Research, il centro di ricerca sul futuro del lavoro, dal titolo «Le isole delle donne inattive» che ha analizzato le cause e gli scenari futuri.
In Italia le donne inattive tra i 30 e i 69 anni sono oltre 7 milioni. Un numero decisamente troppo alto, se si considera che rappresentano il 43% in questa fascia d’età, mentre la media europea si assesta al 32%, in Germania il 24% e in Svezia appena il 19%. Sono troppe sia a livello sociale che economico: la maternità comporta forti conseguenze sulla scelta di rimanere o uscire dal lavoro, ma l’inattività di moltissime donne italiane si prolunga ben oltre il periodo in cui scelgono di concentrarsi sulla famiglia, per l’assenza di supporti alternativi durante la carriera, con poche possibilità di rientro. Per le donne italiane è difficile partecipare al mercato del lavoro, ma ancora più difficile rientrarci dopo uno stop.Un fenomeno apparentemente immutabile, se si considera che a livello aggregato il tasso di attività è rimasto fermo dal 1990 ad oggi, che colpisce soprattutto il Sud e le isole, dove più di una donna su due (il 58%) è inattiva, mentre al Nord sono soltanto tre su dieci. Nella fascia di età 30-69 anni le donne inattive sono in stragrande maggioranza casalinghe a tempo pieno (4,5 milioni), per scelta o «obbligate», come conseguenza di scoraggiamento per le barriere all’ingresso e al reingresso nel mercato del lavoro.E poi pensionate (2,5 milioni, tra pensioni di anzianità, sociali e di invalidità), con una prospettiva della terza età più incerta degli uomini, a causa di pensioni inferiori, raggiunte in età più giovane. Il tasso di inattività femminile è fortemente legato all’età: dal 70,6% delle donne attive tra i 35 e i 44 anni si scende al 47,4% tra i 55 e i 64 anni.
«La fragilità del nostro capitale sociale in termini di parità di genere si riflette nel mancato utilizzo del potenziale femminile per una società più produttiva e integrata – spiega Daniele Fano, Coordinatore del comitato scientifico Randstad Research –. Secondo i dati forniti dal Miur le donne hanno risultati superiori agli uomini negli studi secondari e post-secondari ma poi non rilanciano la loro professionalità. Il Pnrr contiene provvedimenti importanti. L’Italia deve investire nella creazione di asili nido e rafforzare i congedi parentali, puntare sulla formazione continua e politiche attive, agire sulla parità salariale per rendere il lavoro femminile più attrattivo e, insieme, insegnare il ’rispetto di genere’ per ridurre gli stereotipi nelle generazioni future».