Avvenire, 9 gennaio 2022
Gli Usa battono tutti sulle armi
Hanno letteralmente inondato il mondo di armi, guadagnando cifre agghiaccianti: dal 1950 al 2021, gli Stati Uniti sono riusciti a piazzare armi per un trilione di dollari (mille miliardi), con il solo programma di vendite gestito da governo a governo. I principali acquirenti sono arcinoti: il Regno saudita stacca tutti, seguito da Israele, dalla Corea del Sud, da Taiwan, quindi dal Giappone, dall’Egitto e poi dall’Australia. In quegli anni, l’Italia ha comprato armi americane per quasi 8 miliardi di dollari, con un picco fra il 2017 e il 2021, grazie al costo dei cacciabombardieri F-35. I dati italiani sono più interessanti se confrontati con quelli degli altri Paesi europei: 10,3 miliardi di acquisti americani per il Belgio, 12 per la Spagna, 16,3 per la Grecia, 16,5 per l’Olanda, 20 per la Germania e 33 per il Regno Unito. L’Italia conta su un’industria bellica fattasi al contempo più “americana” e grande esportatrice.
Intorno al mercato dell’armamento stiamo assistendo ormai a una vertigine di spese. A partire dal 2015, si stanno registrando investimenti costanti, aumentati l’anno scorso del 7,2% rispetto al 2010. Siamo arrivati al paradosso che le spese militari per abitante della terra sono balzate dai 243 dollari del 2018 agli oltre 250 dell’anno scorso. In poche parole il fardello delle spese militari sulla ricchezza mondiale (+2,2% in un anno) ha superato il tasso di crescita della popolazione mondiale (+1,1%). I 100 gruppi industriali più inquietanti, leader mondiali del settore, fatturano negli ultimi anni quasi mezzo trilione di dollari in 365 giorni. Fra il 2010 e l’anno scorso hanno aumentato gli affari del 47%, in buona parte generati dall’esplosione di vendite dei primi cinque (150 miliardi circa), tutti statunitensi, seguiti a distanza dai russi (36 miliardi circa). Nonostante le politiche restrittive del governo statunitense, sempre restio a vendere ai Paesi che violino i trattati internazionali sui diritti umani, Washington ha fatto del commercio di armi un pilastro delle sue relazioni internazionali, sfruttandolo per esercitare un’influenza economica, industriale, tecnologica e socio-politica duratura.
L’immenso complesso militare-industriale statunitense si appoggia sul governo, sulle sue agenzie e sulla rete di ambasciate per penetrare i mercati. Se fino alla caduta dell’Urss era Mosca a primeggiare nello smercio di armi, dal 1991 in poi lo scettro è passato a Washington. Il sistema escogitato dagli americani è allarmante: il programma di vendite di armi all’estero, Fms, è gestito come un fondo senza scopi di lucro e senza perdite. Fa girare il sistema e nessuno ci rimette, galvanizzando l’acquisto di sistemi d’arma, di equipaggiamenti militari, di servizi per la difesa e di pacchetti formativi. Ma i giganti dell’armamento preferiscono per lo più vendere direttamente, per non allungare i tempi e tagliare fuori la concorrenza. Oggi come oggi, 223 fra Paesi e organizzazioni internazionali si riforniscono di armi negli Stati Uniti. Il programma di finanziamento delle vendite è uno dei mezzi non apertamente bellici che consentono al governo americano di contrastare i nemici. L’ascesa della Cina, ormai grande esportatrice di armi, con il 5,5% mondiale, sta spingendo il Pacifico occidentale a riarmarsi. Il Giappone, l’Indonesia, la Malesia, la Corea del Sud, Taiwan e le Filippine stanno rinnovando intere flotte navali e aeree, le più costose.
Nel Golfo Persico e in Asia centrale si è ricostruito dal nulla l’esercito iracheno. Il supporto alle operazioni saudite in Yemen e agli alleati anti-Daesh ha svuotato gli arsenali, profittando ai grandi produttori. Il ruolo della Russia nel conflitto ucraino e le scorribande di velivoli e navi di Mosca a ovest stanno poi facendo lievitare gli acquisti di armi in Svezia, in Norvegia, in Finlandia, in Polonia e in tutto l’Est europeo. La maggior parte di loro si equipaggia oltreatlantico, creando un vincolo di dipendenza con l’industria americana. I sistemi d’arma generano profitti sanguinari e riflettono al contempo un modo di pensare la guerra, ognuno di essi essendo concepito fin dall’inizio per essere utilizzato secondo la dottrina del Paese produttore. Ti legano per decenni, sottraendo risorse e denari al benessere sociale. Un dramma.