Avvenire, 9 gennaio 2022
Guantanamo, a 20 anni dall’apertura
L’11 gennaio 2002 i primi prigionieri della guerra al terrorismo sbarcarono a Guantanamo, un angolo nel sud di Cuba che gli americani avevano strappato all’isola oltre cent’anni prima in cambio dell’aiuto a liberarsi dagli spagnoli. Da allora quasi 800 detenuti sono passati per le celle del famigerato Camp X Ray, molti dei quali non sono mai stati formalmente accusati di un crimine o processati.
Vent’anni dopo, il centro resta una macchia nella storia degli Stati Uniti e nella loro immagine di difensori dei diritti umani, con ancora 39 uomini rinchiusi in un universo separato, fuori dalla portata del diritto federale o internazionale. Del resto l’obiettivo di George W. Bush, quando aprì un campo di prigionia all’interno della base americana, era proprio di sottrarre la protezione della convenzioni di Ginevra per rinchiudervi i «combattenti nemici illegali» catturati in Afghanistan e in Pakistan – uno status non contemplato nel lessico del diritto umanitario che l’Amministrazione repubblicana aveva coniato per i sospetti terroristi dopo gli attacchi dell’11 settembre.
Anche la definizione di al-Qaeda come il nemico nella «guerra al terrore» globale dava all’Amministrazione Bush il diritto di trattare i suoi membri come prigionieri di guerra, piuttosto che criminali. Subito dopo il crollo delle Torri gemelle, infatti, la Casa Bianca cercò modi per mostrare al popolo americano che stava facendo tutto il possibile per consegnare i responsabili della strage alla giustizia.
E, con l’azione militare in Afghanistan avviata il 7 ottobre 2001, lanciò la caccia ai possibili responsabili del più mortale attacco terrorista sul loro suolo. Come per le altre cosiddette politiche di «guerra al terrore», inclusi gli «interrogatori rafforzati», gli avvocati dell’Amministrazione (come il consigliere della Casa Bianca Alberto Gonzales) si misero al lavoro per trovare giustificazioni legali ad azioni contrarie ai valori americani, come la tortura e la detenzione senza processo. Nel frattempo, il Dipartimento di Stato cominciò a cercare un luogo adatto dove rinchiudere i sospetti che, anche quando non erano cittadini statunitensi, godevano di diritti costituzionali Usa quando si trovavano sul suolo americano. Nelle basi Usa in Iraq e Afghanistan venivano allestiti diversi «siti neri», incluse la base aerea di Bagram a nord di Kabul e la famigerata prigione irachena di Abu Ghraib, dove i detenuti sarebbero stati sottoposti a interrogatori con metodi disumani, tra cui il waterboarding e la privazione del sonno.
Per i processi e la detenzione di lungo termine venendo considerate le basi militari Usa in tutto il mondo, ma molte presentavano svantaggi. Le basi in Europa sarebbero state soggette alle critiche della stampa locale e all’avversione dell’opinione pubblica; le posizioni nel mondo arabo sarebbero politicamente sensibili, considerando che coloro che i futuri carcerati sarebbero stati prevalentemente arabi. Guantanamo era offshore, e quindi soddisfaceva i requisiti di un «buco nero legale», era isolata, e era già servita come centro di detenzione, quando George H.W. Bush vi aveva raccolto i rifugiati haitiani.
Dopo 20 anni di critiche internazionali e denunce di molti gruppi umanitari su ciò che avveniva a Camp Delta, Guantanamo resta aperta, nonostante un presidente Usa, Barack Obama, nel 2009 ne avesse ordinato la chiusura. Incapace di superare le resistenze di molti Paesi d’origine dei carcerati e dello stesso Congresso, Obama ha fallito nel suo intento. Nel 2011 ha però istituito una commissione incaricata di riesaminare periodicamente i casi dei prigionieri, che ha ridotto la popolazione del centro da 245 a 41. Donald Trump invece ha emesso un ordine esecutivo per tenere aperta Guantanamo a tempo indeterminato.
Joe Biden durante la campagna elettorale ha ribadito la promessa di Obama, ma a quasi un anno dall’avvio della sua presidenza, sta progettando di costruire una nuova aula di tribunale a Guantanamo Bay.
Un passo che segnala l’interesse ad aprire o continuare i processi degli ultimi detenuti, ma che fa anche capire che la chiusura di Guantanamo, per ora, non è all’orizzonte.