Il Messaggero, 9 gennaio 2022
10 Gennaio del 49 a.C., Cesare attraversa il Rubicone
Anche per chi è interessato alla Storia, il 10 gennaio significa poco. Gli eventi che hanno segnato l’età moderna e contemporanea sono rappresentati, quantomeno per noi italiani, da date differenti: il 24 Maggio, il 25 Aprile, il 2 Giugno, il 4 Novembre e per i più eruditi il 20 Settembre. E invece quello fu uno dei giorni più importanti per la civiltà occidentale, perché costituì le fondamenta dell’Impero romano. Il 10 Gennaio del 49 a.C. Cesare attraversò il Rubicone.
Quel piccolo fiume costituiva il limite del Pomerium romano, e poteva essere attraversato in armi solo con l’autorizzazione del Senato. Cesare, conquistatore della Gallia e di parte della Britannia, era stato richiamato in patria dagli optimates, la classe dirigente dei ricchi che temeva la sua popolarità e diffidava della sua politica che oggi definiremmo populista.
IL CONFLITTO
Roma, reduce dal lungo conflitto tra Mario e Silla, era minata dal disordine e dalla corruzione, e i vari clan se la contendevano assoldando bande di mercenari avidi e crudeli. Per metter ordine nella dissestata capitale, e per coronare le sue ambizioni, il vittorioso condottiero violò le leggi secolari della repubblica e iniziò quella rivoluzione che si sarebbe conclusa con l’ascesa di Ottaviano Augusto e l’ereditarietà della carica. Per altri cinque secoli, tra alti e bassi, Roma avrebbe governato dalla Spagna alla Persia, con un’estensione che sarebbe stata superata solo dall’Impero Britannico.
LA PARSIMONIA
Caio Giulio Cesare è una di quelle personalità che lo Zeitgesit produce con eccezionale parsimonia, e che contrassegnano non solo un’epoca ma una categoria dello Spirito, affascinante fino al mito e complesso fino alla contraddizione. Era di stirpe nobilissima, ma era nato nella suburra plebea da genitori squattrinati. Guerriero intrepido e instancabile, usò la penna anche meglio della spada: il De bello gallico e il De bello civili sono esempi di chiarezza, se non proprio di imparzialità. Non raggiunse l’asciutta ruvidezza di Tucidide, né la fulminante concisione di Tacito, ma luoghi ed eventi sono descritti in uno stile così lineare da immergervi il lettore senza distrarlo con inutili divagazioni. Nel carattere, Cesare era ancora più versatile. Impenitente libertino, collezionò mogli, amanti e concubine, alternandole, come allora era consuetudine tra le upper classes, con sconfinamenti nell’omosessualità.
LE FORTUNE
I maligni lo chiamavano «marito di tutte le mogli, e moglie di tutti i mariti». Dissipò fortune colossali e si coprì di debiti, ma governò la Gallia con saggezza e le diede quell’organizzazione amministrativa che ne avrebbe fatto il gioiello del futuro Impero. Era severo in guerra ma generoso nella pace, agnostico nella fede ma Pontifex Maximus a Roma. Non era un guerrafondaio, e fino all’ultimo cercò un accordo con gli optimates e con Pompeo; ma una volta varcato il limite perseguì il disegno senza esitazioni. Come Mac Arthur, non concepiva surrogati della vittoria.
IL PRINCIPIO
Animato da questo principio, una volta attraversato il Rubicone attivò una macchina bellica irresistibile con una pianificazione programmata e razionale, acquisendo nuovi alleati talvolta con la forza, più spesso con la benevolenza, e ancor di più col denaro. Prima di affrontare Pompeo si assicurò le spalle con una spedizione in Spagna costellata di errori ma conclusa con successo. Tornato in Italia inseguì il rivale, che con un esercito quasi doppio stava oziando nei Balcani, e lo sconfisse a Farsalo con perdite ( dice Cesare) di cento a uno. Pompeo si rifugiò in Egitto, e l’ospitale Tolomeo lo assassinò all’istante offrendo poi la testa a Cesare, che pianse di desolazione e in seguito si consolò con Cleopatra.
LA MEMORIA
Il resto è noto. Consolidato il suo potere, e resane duratura la memoria con il racconto delle sue campagne, Cesare concepì il progetto di attribuirsi, magari in forme nuove, una carica sostanzialmente regale. Bruto e Cassio organizzarono una congiura, e ne sventarono le mire a colpi di pugnale. Cadendo sotto la statua di Pompeo, l’irriducibile condottiero si arrese alla morte davanti alla sorpresa e all’orrore della lama impugnata dal figlio adottivo. Non sappiamo se la frase «Tu quoque Brute..?» sia stata realmente pronunciata. Ma se la leggenda diventa storia, va accettata com’è.
L’EVENTO
Nessun altro evento ebbe rievocazioni tanto drammatiche e diverse. Dante, che considerava l’Impero come una sorta di Teofania, collocò i due traditori nel girone più basso dell’Inferno, maciullati per l’eternità, assieme a Giuda, dall’implacabile Lucifero. Ma Beethoven, fervente repubblicano, teneva sopra il pianoforte il busto di Bruto. Più disincantato, Shakespeare preferì inserire i due personaggi in una prospettiva più ampia, accanto all’irrequieta dolcezza di Calpurnia, al rigoroso stoicismo di Porzia, all’astuta eloquenza di Antonio e alla spregevole volubilità della folla. A Bruto concesse l’onore tributatogli alla fine dal rivale: «Questo fu un uomo». Ma a Cassio riservò una frase che riduce il cinismo al paradosso: «Chi ti toglie vent’anni di vita, ti toglie vent’anni di paura della morte». Un viatico consolatorio che sembra ripreso da alcuni no vax e persino da qualche filosofo.
IL RIGAGNOLO
Quanto al Rubicone, questo rigagnolo è entrato non solo nella Storia ma anche nel linguaggio corrente. Passarlo, significa tagliarsi i ponti alle spalle con una scelta spregiudicata, anche senza le ambizioni di conquistare un regno ma più prosaicamente una prebenda o un seggio elettorale. La stessa espressione usata da Cesare, ( Il dado è tratto!) è diventata di uso comune per indicare una decisione definitiva. Tuttavia gli storici moderni dubitano della sua autenticità. Nella versione tradizionale, derivata da Svetonio, «Alea iacta est» esprime un’azione compiuta. Ma in quella originale, riferita da Plutarco, sarebbe stata un’esortazione: «Sia lanciato il dado!». Non cambia molto, ma non è proprio la stessa cosa. Tuttavia sappiamo che quando le esortazioni non bastano, spesso si passa al fatto compiuto. Come per il vaccino anticovid. Fallita l’operazione per convincere gli irriducibili con le buone, il governo è passato all’obbligo per gli ultracinquantenni. Come Cesare, davanti al disordine e al pericolo di uno sfaldamento (questa volta sanitario), generale, ci ha posto davanti al fatto compiuto. E secondo noi ha fatto bene.