Corriere della Sera, 9 gennaio 2022
Intervista a Benedetta Porcaroli
Benedetta Porcaroli è diventata un volto noto a soli 20 anni, interpretando la serie tv sulle baby squillo dei Parioli. Da allora non si è più fermata. A giugno compirà 24 anni. È nelle sale con 7 donne e un mistero, una boccata d’ossigeno dopo due film violenti come Baby e La scuola cattolica, sul massacro del Circeo.
Che adolescente è stata, prima di diventare attrice?
«In realtà ho cominciato molto presto, a 15 anni. Un’amica di mia madre è agente di cinema. Mi chiese: ti va di fare un provino? Mi ritrovai su Rai1 in Tutto può succedere. Si sono fidati, hanno visto qualcosa in me. Ero piccola, inconsapevole».
Ma sarà andata a scuola.
«Al Mamiani, liceo storico di Roma, poi mi diplomai privatamente. In quegli anni alcuni compagni mi presero di mira. Sono sempre stata filiforme. I ragazzi cercavano sederi e seni in lungo e in largo, le mie amiche avevano le loro forme, mi vennero un po’ di complessi. Su Facebook avevano creato gruppi: Benedetta Porcaroli piatta. Oggi il mio fisico lo vedo come una salvezza».
Per il cognome, chissà cosa le dicevano.
«Era inevitabile. Ma non sono mai stata veramente preoccupata. Mio padre per smussare mi diceva ironico: un cognome così non passa inosservato, si ricorderanno di te. Papà ha diverse lauree e ha fatto tanti lavori, ora insegna, è stato lui a trasmettermi l’amore per il cinema. Alberto Sordi, Anna Magnani; mamma lavora al Quirinale».
È vero che ha l’occhio di sua madre tatuato?
«Sì, dietro la spalla. Il messaggio è: guarda che ti osservo, eh... A volte mi diceva che ero una belva. Sono malinconica, diretta, curiosa, riflessiva».
E belva.
«In casa la mia presenza si notava. Sono stata un’adolescente impegnativa e rumorosa, sai quando ti senti in conflitto con tutti? Determinata, prepotente, esigente, ribelle».
È cresciuta a Roma Nord, la stessa zona delle baby squillo dei Parioli. Lei ha detto: se fossi rimasta lì, sarei diventata una stronzetta anch’io.
«L’ambiente è un po’ classista, la media borghesia dove tutto è apparentemente pacifico, sereno; tutto sembra che funzioni alla perfezione e non è così. È strano perché l’ho raccontato in due film (le giovanissime escort e il Circeo) il vuoto cosmico in un’età delicata e di passaggio, quando basta poco per andare alla deriva. È davvero sliding doors. L’importante, com’è avvenuto per me, è sapere che dietro ci sono i genitori. Abbiamo raccontato la mancanza di dialogo tra genitori e figli, la tragedia della borghesia assente».
Una di quelle ragazze si è raccontata in un docu-film.
«Aveva 14 anni quando tutto cominciò. Oggi una di loro lavora in un supermercato. Io alcune le conoscevo, ci si vedeva la sera nei locali, ci salutavamo. Non sapevo cosa ci fosse dietro. Erano tranquille, diverse da come appaiono nella serie. Vestivano sportivo, in maniera semplice. Non erano così abbienti. Quando è venuto fuori lo scandalo mi è preso un colpo. No, non le ho cercate quando giravo il film e loro non hanno cercato me. Ho preso le distanze dai ricordi, il mio personaggio me lo sono inventato. Quei due film sono facce della stessa medaglia, dal punto di vista femminile e maschile. Perché dietro il massacro del Circeo c’è il disprezzo».
Lei alla Mostra di Venezia ci disse: ho potuto solo lontanamente immaginare una donna violata nella mente e nel corpo.
«È così. Mi ha colpito la differenza tra il poco calore dei critici e le reazioni di tantissimi miei coetanei che sapevano poco di quella storia. Raccontarla era doveroso e necessario. I ragazzi sono rimasti indignati dalla censura e dal divieto ai minori di 18 anni. Invece di divulgare il più possibile il film... Quella storia mi ha cambiata, capisci quello che hai».
Poi il sorriso di «7 donne e un mistero».
«Venivo da film cupi, cercavo esperienze nuove, come una commedia al femminile dove sette donne si accusano di un delitto in una girandola di sospetti e ripicche».
Micaela Ramazzotti dice che all’inizio vi guardavate con diffidenza.
«È vero. Ora siamo tutte amiche, abbiamo una chat dove ci scriviamo cose irriferibili. Ho detestato la retorica per cui tra donne o ci si fa la guerra o si diventa sorelle. È un modo per autoghettizzarci. Dopo il Me too c’è più consapevolezza, il femminismo di una volta, che abbiamo ereditato, non esiste più, dovrebbe nascere un movimento che vada oltre i cliché».
Ma com’è crescere troppo in fretta?
«Me lo sono chiesto tante volte. Il mio è un lavoro che ti scombussola. Sul set si vive in una bolla, ti dimentichi anche del Covid. L’importante è non avere la testa soltanto sul cinema. Sono diventata amica di Ornella Vanoni, mi chiama la mia bambina, parliamo d’amore».
Chi è Benedetta Porcaroli?
«Ho ancora tante tappe prima di capirlo veramente».