Corriere della Sera, 9 gennaio 2022
Il New York Times acquista The Athletic
«Non esistono piccole squadre. Esistono solo grandi storie». Quale tifoso lo metterebbe in discussione quando legge della sua squadra del cuore? Ma è proprio di loro, i tifosi, che parlava Alex Mather mentre, con questa frase, assumeva giornalisti in giro per gli Stati Uniti per seguire i team locali e universitari del football americano, del basket, del baseball e dell’hockey su ghiaccio.
Mather è lo startupper quarantaduenne che con Adam Hansmann, trentaquattro anni, ha fondato nel gennaio del 2016 The Athletic, il giornale sportivo senza pubblicità – leggi solo se paghi – che sta per essere acquistato per 550 milioni di dollari dal New York Times.
La storia di The Athletic, un caso nei media che ora tutti cercheranno di studiare e magari replicare, è iniziata così, con dei tifosi frustrati e l’intuizione di restare locali nell’era globale di Internet: «Quando mi sono spostato a San Francisco – aveva raccontato tempo fa Mather – ero un fan frustrato perché era impossibile trovare articoli di qualità sulle mie squadre del cuore di Philadelphia. I contenuti generati dagli utenti (leggi Facebook e social network, ndr) erano deludenti». «I giornali nazionali parlano solo dei Dallas Cowboys» aveva aggiunto sarcastico lo stesso Mather su un podcast di Recode.
I due (segni particolari: nessuna esperienza di giornalismo) si sono conosciuti lavorando insieme per Strava, l’app per runner e ciclisti. Hansmann è l’uomo della finanza: ha studiato all’Università di Notre Dame dove, a diciannove anni, aveva già messo su un servizio notturno per fornire bibite fresche nel dormitorio del campus («Ho scoperto in questo modo di voler fare l’imprenditore»).
Mather è l’uomo del prodotto. Così a Chicago, nel gennaio del 2016, aprono il primo sito di The Athletic, assumendo i migliori giornalisti sportivi dai media locali che stavano chiudendo. Chi ha messo in dubbio che dietro ogni crisi si nasconda un’occasione? Hanno fatto la stessa cosa in tante altre città: da Toronto, la seconda, a Londra, l’ultima, con cui si sono aperti al calcio. Mather è diventato noto perché allo stesso New York Times aveva spiegato così, nel 2017, il suo modello di business: «Succhieremo ai giornali locali i loro migliori talenti, rendendogli difficile la vita». Non ce n’era bisogno: sono centinaia i media locali che hanno chiuso negli ultimi anni negli Usa. Oggi, a scanso di equivoci, ha abbandonato la retorica del tipico «disruptor» californiano.
The Athletic è stata definita la Netflix dei giornali sportivi. Ma il vero modello è Uber: essere in tutte le città dove il servizio ha una forte domanda («Vogliamo essere i più importanti giornali locali di sport nelle principali città. Inutile fare concorrenza sul nazionale ai grandi media»).
La tecnologia chiaramente c’è, ma Mather preferisce parlare di talenti: «Il trucco è avere la migliore squadra pagandola il 30-40% in più di prima». Oggi ha 500 giornalisti e ha funzionato: il New York Times sta pagando 458 dollari ad abbonato (quelli del New York Times valgono circa il doppio). Il primo investitore della società è stato il loro ex capo in Strava. La qual cosa conferma una vecchia regola: sempre mantenere i buoni rapporti con i propri ex capi.