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 2022  gennaio 09 Domenica calendario

Palme e banane così vicine così distanti

Se potesse scegliere il suo frutto, sicuramente la palma rinuncerebbe al dattero colonialista per la banana antirazzista, che solo per i tardo-barbudos della Revolución è ancora il simbolo della repubblica corrotta e del dittatore di Woody Allen. È al contrario un impossibile sogno di libertà accoppiare la palma, il solo albero che nel Mediterraneo tiene testa all’ulivo, alla banana che rimanda alla posizione della dignità, eretta ma curva come la colonna vertebrale e come la verità secondo Nietzsche. Ed anche è il potassio dello sport, un morso e Federer batte il rovescio vincente, un morso alla banana, che mamma Dolores gli porta da Madeira, e Ronaldo si scatena.
Con un morso il mulatto brasiliano Dani Alves nell’aprile del 2014 disarmò il razzismo.
Raccattò infatti da terra e mangiò il frutto che gli era stato lanciato per disprezzo dai soliti vigliacchi.
Due mesi prima, a Brescia, anche i leghisti avevano lanciato banane su Cécile Kyenge, ministro del governo Letta, e due mesi dopo la banana fu scelta come simbolo dei mondiali di calcio in Brasile.
Va dunque ripresa e convertita in un bel presagio la polemica di inizio anno tra Tomaso Montanari e Giovanni Grasso a proposito delle palme al Quirinale, le palme di Palmira che i macellai dell’Isis attaccarono perché c’è la nostra identità sia nei tronchi alti e snelli che si piegarono per fare ombra a Maometto bambino sia nelle foglie larghe e aggraziate che si intrecciarono come un arco di trionfo al passaggio di Gesù. E Palmira, Palmina e Palma sono i nomi delle italiane con gli occhi e i capelli neri, mentre Palmiro è il nome che l’ex seminarista Antonio Togliatti mise al figlio nato nella domenica delle palme.
In Asterix e Cleopatra, le palme sono gli alberi del sole, delle oasi d’acqua e dell’erotismo sulla sabbia, lo stesso della samba di Josephine Baker che, prima di diventare un capo della Resistenza, mostrava al mondo quant’era bella “la nera” coprendo e scoprendo con un tutù di banane il corpo più desiderato della Terra. È un’enciclopedia della provocazione la banana di Andy Warhol sulla copertina delle canzoni di Lou Reed, quelle dei lacci emostatici, «I am waiting for my man / 26 dollars in my hand», con il bianco che trova il suo angelo nero nel ghetto di Harlem dove si è intanto spenta Banana Boat Song di Harry Belafonte («Come, Mister Tally Man, / tally me banana, vieni, signor padrone / a contare le mie banane»). Non danno banane né le palme nane, a cespuglio, né quelle altissime che danzano nelle tempeste. Danno tutte legno debole e dolce per ricoprire le capanne, foglie per i soffitti, palmeti per i datteri delle sconfitte dei soldati italiani che aspettavano gli inglesi nell’oasi di Giarabub: «inchiodata sul palmeto / veglia immobile la luna». Nella tragedia non c’è la banana che è l’umorismo popolare, «ma ‘ndo’ vai…». E Altan ha dimostrato che la banana è di sinistra. Mentre è di destra quel vecchio pregiudicato che sogna il Quirinale: il Banana.