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 2022  gennaio 09 Domenica calendario

Giacometti, sua moglie e il filosofo giapponese modello di lui, amante di lei


Nel 1954 un giovane filosofo giapponese Isaku Yanaihara di trentasei anni arriva a Parigi. Ha tradotto romanzi di Albert Camus ed è apprezzato poeta. Ha ottenuto perciò una borsa presso la Sorbona per studiare i filosofi esistenzialisti. La capitale francese reca ancora i segni della guerra e al filosofo giapponese appare come «una fredda città di grigia pietra», ma quello che conta per lui è l’assoluta libertà che vi si respira. L’anno seguente conosce in un caffè Alberto Giacometti. Poi accade un fatto imprevisto. Nel 1956 l’artista svizzero, che vive a Parigi dagli anni Venti, invita il giovane filosofo a posare per lui. Non manca molto tempo alla scadenza della sua permanenza a Parigi programmata per l’ottobre di quell’anno, tuttavia curioso accetta ugualmente. Comincia così una sorta di tira e molla tra il cerimonioso Yanaihara e Giacometti che gli chiede pressantemente di settimana in settimana di rimandare il ritorno in Giappone. Il giovane studioso è diventato in poco tempo il suo modello preferito. Lo fa posare per ore e ore nel suo studio al 46 di Rue Hippolyte- Maindron. Impassibile come un antico samurai avvolto nella sua armatura Yanaihara non osa muovere un muscolo e resta immobile, a volte a prezzo di grandi sforzi fino a dieci ore al giorno in una stanza tutta piena di sculture, tele, colori, pennelli, graffiti, un caos visivo che affascina il traduttore di Camus. In questo modo si stabilisce un rapporto intimo tra lui e Giacometti. Mangiano insieme, frequenta i suoi amici nei caffè, va a teatro con lui, così da divenire una presenza fissa accanto alla giovane moglie di Alberto, Annette. Questo gli permette di ascoltare i discorsi dell’artista e di discutere di molti argomenti. Con molta determinazione Iasuku, appena torna nella sua camera d’albergo dove vive, per quanto stremato e stanco per le interminabili giornate, prende appunti su quanto Giacometti ha detto a lui o ai compagni in interminabili discussioni fino a notte fonda: Jean Genet e altri.
Da questa coabitazione nascerà a distanza di tempo un libro straordinario, I miei giorni con Giacometti (traduzione di Isabella Dionisio, Giometti & Antonello), tradotto dal giapponese in versione integrale rispetto alla precedente edizione apparsa in francese. Alla fine saranno almeno 200 i giorni trascorsi da Yanaihara davanti al pittore che lo ritrae, così che, salvo forse il fratello Diego e la stessa Annette, sarà lui la persona più ritratta da Giacometti. Per quanto la partenza venga via via rimandata di mese in mese nel corso del 1956, infrangendo anche il sogno di Isaku di tornare in patria attraverso l’Italia, la Grecia e l’Egitto per conoscere le antiche civiltà, dal 1957 al 1961 nel corso di ogni estate Isaku sarà a Parigi grazie ai biglietti che Alberto e Annette gli inviano per pagare i voli d’andata e ritorno.
Che cosa ha di così particolare Yanaihara da indurre l’artista a trattenerlo e a chiedergli di tornare da lui? Non è facile da spiegare. Di certo il giovane filosofo ha un volto particolare: è uno straniero, un giapponese, poi possiede un viso gradevole, piacente e simmetrico sovrastato da una bella capigliatura nera che gli fa da corona. Come orientale il suo volto è misterioso e in qualche modo somiglia ai ritratti del Fayum che Giacometti considera «gli unici ritratti fatti frontalmente che hanno una parvenza di rassomiglianza con la realtà». L’ossessione di rappresentare la “realtà” in pittura, come in scultura, è uno dei temi fondamentali dell’opera dell’artista svizzero da quando negli anni Trenta ha ripudiato il Surrealismo e ha cominciato a dipingere “dal vero”, cosa che sarà la sua ossessione fino alla morte nel 1966. Le pagine del memoir ci presentano un Giacometti furioso, che sacramenta davanti ai suoi continui fallimenti, che si deprime e che immancabilmente ricomincia ogni volta da capo. Sembra sempre sul punto di afferrare il bandolo della matassa e ogni volta lo perde: una continua sconfitta, eppure non demorde mai. «I pittori», dice al riguardo a Isaku, «non vogliono far altro se non esprimere la loro soggettività, non gli importa di essere fedeli alla natura. Sono costantemente alla ricerca di nuove e sconvolgenti idee, hanno paura di essere simili agli altri e osannano l’originalità».
Per Alberto anche un albero lungo una strada parigina è meraviglioso; il suo problema è di dipingerlo, o solo disegnarlo. Dirà durante una delle sedute di posa: «Nei poster dei cinema ogni tanto ci sono raffigurazioni che catturano la realtà meglio delle opere di Picasso». Poco prima della partenza, quando oramai Yanaihara deve tornare dalla moglie e dalle figlie, e al suo lavoro in università, lui e Annette divengono amanti. Finito di posare, lei lo accompagna in albergo e trascorre parte della notte con lui. Quando accade la prima volta, Isaku torna nello studio timoroso. Alberto, che è stato messo al corrente dalla moglie, non è arrabbiato: «Mi sembra assolutamente naturale che Annette sia andata a letto con lei. Ha fatto bene, e io sono felice per mia moglie». Come spiega Catherine Grenier in Alberto Giacometti (Johan & Levi), Annette e Alberto non seguono il modello della “coppia emancipata” come Sartre e Simone de Beauvoir. Sono piuttosto una coppia tradizionale, in cui lei è la moglie, l’assistente e la modella del marito. Alberto poi frequenta le prostitute, in particolare una giovane ragazza dell’ambiente malavitoso, Caroline, che vede a volte con Annette. A Yanaihara dice: «Le prostitute sono tra gli esseri viventi più liberi e più assurdi, nutro per loro una profonda riverenza. Se fossi una donna lo diventerei». Ai suoi occhi Isaku costituisce probabilmente l’alterità, quella che ha cercato di avvicinare nel corso della sua vita, e anche un uomo disponibile con cui condividere tempo e pensieri senza alcun senso di possesso, perché l’arte vera un simile sentimento non lo contempla essendo libera e irraggiungibile, come la realtà che Alberto voleva raffigurare.