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 2022  gennaio 09 Domenica calendario

Biografia di Kassym-Jomart Tokayev

LONDRA – Negli ambienti diplomatici, qualcuno lo chiamava “il cinese”: non tanto per una questione di aspetto fisico, bensì per il curriculum. All’inizio della sua lunga carriera, Kassym-Jomart Tokayev, 68enne presidente del Kazakistan, ha studiato e appreso perfettamente il mandarino. Subito dopo, per sei anni molto formativi, ha prestato servizio presso l’ambasciata sovietica a Pechino: da lì fu testimone diretto della strage di piazza Tiananmen nel 1989 e seguì il crollo dell’Urss nel 1991. Due esperienze che devono essergli tornate alla mente in questi giorni, quando ha deciso di usare il pugno di ferro per reprimere la rivolta nel proprio Paese, ordinando alle forze di sicurezza di «sparare per uccidere» e chiedendo a Vladimir Putin di inviare l’esercito russo ad aiutare le proprie truppe a riprendere il controllo della situazione.
Eppure, Tokayev conosce molto bene anche l’Occidente. Dopo la fine dell’Urss, quando era appena diventato viceministro degli Esteri del Kazakistan, è stato lui a negoziare con la Russia, sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, lo smantellamento e la restituzione a Mosca delle armi atomiche sovietiche dislocate in territorio kazako, definendolo «un significativo successo per la nostra nazione, che sta compiendo i primi passi nell’arena internazionale e apre così la strada a ulteriori trattative al massimo livello con i Paesi più influenti». In seguito, promosso ministro degli Esteri, ha continuato a svolgere un ruolo attivo nel campo della non-proliferazione nucleare, partecipando nel 1995 e 1996 ai negoziati a New York per la firma dei trattati sul bando dei test balistici. Nominato presidente del senato kazako, nel 2008 è diventato vicepresidente dell’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione europea, l’organismo che promuove la pace e il dialogo in Europa, di cui fanno parte 57 stati. E dal 2011 al 2013 ha vissuto a Ginevra, come direttore- generale dell’ufficio dell’Onu nella città svizzera e rappresentante personale del Segretario Generale del palazzo di vetro (all’epoca il sudcoreano Ban Ki-Moon) alla conferenza sul disarmo. Sono di quel periodo le foto che lo ritraggono sorridente accanto a John Kerry, segretario di Stato americano, e a Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo. Ma in immagini precedenti, che risalgono al 2000, sorride anche a un giovane Putin, da poco insediatosi al Cremlino sulla poltrona di Boris Eltsin.
Nato in una famiglia della nomenklatura sovietica (il padre era un veterano della Seconda guerra mondiale e uno scrittore di successo di romanzi polizieschi, la madre una docente universitaria di lingue), musulmano non molto praticante, con una laurea all’Istituto di Affari Internazionali di Mosca (la scuola da cui usciva l’élite comunista) e un dottorato in politica estera, autore di una decina di saggi sulle relazioni internazionali, divorziato, con un figlio, Tokayev è sempre stato un fedelissimo di Nursultan Nazarbayev, leader del Kazakistan dal tempo dell’Urss. Quest’ultimo, schierato dapprima con la perestrojka di Mikhail Gorbaciov, quindi con i democratici eltsiniani, si è poi rivelato uno dei più longevi autocrati dell’Asia centrale post-sovietica, rimanendo presidente per trent’anni, fino alle dimissioni nel 2019, e continuando a esercitare finora un ruolo dietro alle quinte. Designato come erede da Nazarbayev, eletto presidente con il 71 per cento dei voti in un’elezione giudicata irregolare dall’Ocse, Tokayev sembrava un continuatore della politica della “triangolazione” kazaka fra Stati Uniti, Russia e Cina. Al posto del triangolo, adesso, potrebbe sorgere una linea retta da Almaty a Mosca: con la protezione promessa a parte dell’Ucraina, Bielorussia e Kazakistan, Putin spera di realizzare il suo progetto di una mini-Urss o almeno di estendere l’influenza russa sulle ex-repubbliche dei Soviet.
Non tutti i giochi sono fatti. Da un lato, la protesta di massa dimostra che i kazaki sono stanchi della corruzione e della mancanza di democrazia. Dall’altro, appare incerto l’equilibrio fra l’81enne Nazarbayev e Tokayev, che ieri ha fatto arrestare per “tradimento” il capo dei servizi segreti interni Karim Masimov, ex-primo ministro. La partita è delicata e rischiosa per il “cinese” che conosce l’Occidente. Chissà se gli sarà utile lo sport che pratica assiduamente e di cui presiede la federazione kazaka: il ping-pong. Avrà imparato anche quello a Pechino?