La Stampa, 9 gennaio 2022
Che fine ha fatto Nazarbayev?
Nursultan Nazarbayev sarebbe vivo, vegeto e si troverebbe nella capitale che porta il suo nome, da dove ieri ha lanciato per bocca di un portavoce l’appello a «consolidarsi intorno al presidente in nome dell’integrità del Paese». Una dichiarazione che non fa che infittire il giallo sulla assenza dello “Yelbasi”, il leader della nazione e primo presidente, mentre i suoi fedelissimi continuano a venire arrestati dal presidente del Kazakhstan Kassym-Zhomart Tokayev. Ieri le manette sono scattate per Karim Massimov, fino a tre giorni prima il capo del Comitato per la sicurezza nazionale, l’erede del Kgb che unisce le funzioni di servizio segreto e di polizia politica. Prima di prendere in mano la sicurezza – che la Costituzione kazakha assegnava in delega a vita all’ex capo dello Stato – Massimov aveva guidato il governo e poi l’amministrazione della presidenza, in altre parole, era uno degli uomini più potenti del Paese. Oggi viene accusato di “alto tradimento” e rischia 15 anni di carcere, mentre il suo supervisore al Consiglio di Sicurezza Azamat Abdymamynov è stato licenziato.
Mentre Tokayev telefona a Vladimir Putin per riferire che la «situazione si sta stabilizzando», testimoni locali riferiscono che ad Almaty si spara ancora, e l’"operazione antiterroristica”, come ormai si chiama ufficialmente la repressione della protesta, è tuttora in corso, in diverse città. Il numero delle vittime resta sconosciuto, ma in rete girano fotografie di lunghe code di familiari davanti agli obitori di Almaty. Ci sono numerose testimonianze anche di vittime “collaterali”, falciate – Tokayev ha dato venerdì alle truppe in piazza l’ordine di sparare ad altezza uomo – mentre attraversavano la città in auto o a piedi, e alcune agenzie riferiscono di pallottole vaganti che avrebbero colpito una bambina di 4 anni e un ragazzino di 11 anni. Verificare le notizie resta difficilissimo, il collegamento a Internet viene regolarmente oscurato, e i numeri offerti dal governo, come quello di più di 4000 mila rivoltosi arrestati in tutto i Paese, appaiono contraddittori e chiaramente incompleti. Il governo, del resto, non si preoccupa troppo di essere creduto: il presidente Tokayev ha cancellato ieri due suoi tweet sulle «sei ondate di attacchi» di «20 mila terroristi», forse dopo essersi accorto di quanto fosse spropositato il numero che aveva denunciato soltanto 24 ore prima.
Chi sono questi “terroristi” resta ufficialmente un mistero: un Paese grande nove volte l’Italia sta vivendo sotto la legge marziale senza che qualcuno gli abbia spiegato chi lo sta minacciando. L’ex capo dei servizi Massimov viene accusato di “alto tradimento” per aver presuntemente nascosto l’esistenza di campi di addestramento di guerriglieri di matrice ignota, appoggiati secondo il governo da potenze estere altrettanto sconosciute. L’agenzia russa Tass ha diffuso un altro classico della propaganda, le “testimonianze” di manifestanti arrestati che rivelano di essere stati pagati, ubriacati e drogati, senza però specificare quali mandanti li avessero ridotti in questo stato. La propaganda non ha ancora deciso quale capro espiatorio trovare, oppure il pubblico in Kazakhstan coglie al volo allusioni criptate: appare evidente che Tokayev ha come minimo approfittato dell’esplosione della rabbia in piazza per disfarsi di Nazarbayev e del suo clan politico. Gli uomini del primo presidente vengono licenziati e arrestati, gli striscioni con le sue frasi programmatiche smantellati dalle facciate dei palazzi, e numerose fonti continuano a darlo in fuga, a Mosca, a Dubai, in una delle sue numerose lussuose residenze europee o forse in Cina.
Se lo scontro non è soltanto con la protesta, ma anche e forse a questo punto soprattutto all’interno del clan al potere, questo spiega perché Tokayev ha chiamato in soccorso le truppe russe, e perché la situazione continua ad apparire lontana dalla “stabilizzazione” vantata dal presidente. Da numerose riprese, pubblicate anche dai media russi, si vede che Mosca continua a inviare truppe in Kazakhstan, in un impegno che in sole 24 ore ha superato abbondantemente la promessa iniziale di un reparto scelto di parà che dovevano montare la guardia ai palazzi del potere. Mentre la testata russa The Insider sostiene che a sparare alla folla ad Almaty c’erano anche militari che parlavano russo e non indossavano insegne dell’esercito kazakho, gli osservaroti locali hanno contato almeno 70 aerei cargo dell’esercito russo. Da diversi aeroporti militari russi continuano a decollare truppe, blindati e attrezzature. Il segretario di Stato Usa Anthony Blinken ha ironizzato che «una volta che le truppe russe entrano in casa diventa difficile rispedirle indietro», un battuta che ha fatto infuriare la diplomazia russa. —