Tuttolibri, 8 gennaio 2022
L’autobiografia di Ginevra Bompiani
«Non voglio raccontare la mia intimità ma la mia avventura», così si conclude la bella autobiografia di Ginevra Bompiani. La penultima illusione intreccia ben due avventure esistenziali all’epoca della pandemia. Una vicenda straordinaria questa della Bompiani, resa tale dallo stile e dall’elegante approccio al racconto. L’autrice, figlia di uno dei più importanti e talentuosi editori italiani, a sua volta editrice, scrittrice e docente universitaria, fa scorrere in parallelo alle sue le memorie di N., ragazza somala che ha avuto in affido da quando aveva 17 anni. N., promessa sposa di un guerrigliero del gruppo estremista Al-Shabaab, a tredici anni fugge a bordo di un camion per raggiungere Mogadiscio. Gli uomini dell’Islam si vendicano sulla madre: le spaccano i denti a bastonate e le sparano alle gambe, mentre N. sbarca in Sicilia proveniente dalla Libia. Queste traversie della fanciulla africana emergono in una narrazione secca e cadenzata che tiene in uno stretto groviglio le tappe di Ginevra e quelle della giovane donna.
Dal padre, il conte Valentino, la Bompiani ha ereditato il profilo aristocratico che la connota in modo assai discreto, tanto da essere ribattezzata da Mario Pannunzio «principessa tolstoiana, finita in un racconto di ?echov». Dal papà ha preso anche l’aplomb e l’ironia con cui ripercorre la sua storia di bambina dall’infanzia difficile (unico rapporto quello con l’istitutrice Sella), devastata da due terribili anni in collegio, a cui seguirà la sua «caduta nel nulla» ovvero l’esaurimento nervoso. A risollevarsi dal baratro l’aiutano gli studi di psicologia, gli amori, i soggiorni a Parigi, il matrimonio a Londra con il filosofo Giorgio Agamben, il lavoro nella «casa» del padre. Dove approda nelle settimane in cui arriva Umberto Eco, scrittore e funzionario. Proprio l’ingresso di questo eccezionale pensatore nell’editrice paterna la porterà a un’altra fuga. «Come figlia del capo, mi dicevo che un giorno sarei stata a mia volta “suo capo” (cosa che in realtà non sarebbe mai potuta succedere, visto che mio padre vendette la casa editrice nel 1972, e la diresse poi fino alla morte, vent’anni dopo), ma mi vergognavo alla sola idea di dominare con la mia ignoranza un tale pozzo di scienza»
Ginevra è destinata a diventare autrice di libri che alimentano di un linfa riflessiva la letteratura italiana, come L’altra metà di Dio, e fin da giovanissima è al centro del mondo intellettuale internazionale. Eccola a un seminario con Heidegger, in compagnia di Agamben e di altri pensatori, in cui è l’unica a offrire la risposta giusta a un interrogativo posto dal celebre filosofo. Oppure, eccola nella capitale inglese con Sonia, la vedova di George Orwell, regina della società letteraria londinese, con Francis Bacon e con Stephen Spender, o creatrice nel 2002, con un gruppo di amici, della casa editrice nottetempo (rigorosamente con la minuscola) che le farà conquistare notevoli successi in libreria. Prima ancora, eccola pronta a dar vita per Bompiani alla collana «I pesanervi» dove Adolfo Bioy Casares pubblica L’invenzione di Morel. Nel 1970, dopo aver frequentato il movimento femminista del Partito radicale, fonderà il gruppo Rivolta Femminile che esclude gli uomini e afferma non l’uguaglianza ma la differenza fra maschi e femmine.
Cosa collega le varie esperienze con quella di N. che non trova pace neppure nelle sue accoglienti case? Per la Bompiani il filo conduttore della sua vita è l’aristotelica philìa ovvero il «volere per qualcuno ciò che si crede bene, per il suo bene e non per il proprio». L’inseguimento e la messa in pratica di questo «mutuo bene» sono, dice Aristotele, un mezzo per la felicità. L’ultima ricerca della philìa ha portato la scrittrice verso il mondo dell’immigrazione, verso la denuncia dell’insensibilità degli europei nei confronti di chi bussa alle porte, un grido di dolore che attraversa tutto il romanzo. Tra le tante strade della protesta c’è anche quella della scrittura: la scrittrice si riconosce nelle parole di Emily Dickinson per cui il narratore è «un carpentiere» che attraverso l’assemblaggio di pezzi che non appaiono fondamentali dà invece vita a importanti costruzioni. —