La Lettura, 8 gennaio 2022
Intervista a Luca De Fusco
Direttore del Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni e poi dello Stabile di Napoli Mercadante, il 10 dicembre è stato nominato al vertice del Giovanni Verga di Catania, dove si insedierà ufficialmente il 12 gennaio dopo la direzione di Laura Sicignano che cessa il prossimo 15 marzo: il regista napoletano Luca De Fusco ha, in pratica, attraversato tutta la penisola, dall’estremo Nord all’estremo Sud. Non capita spesso. «In effetti, direi che è piuttosto raro dirigere teatri in tre aree geografiche così diverse – ammette —. Ho iniziato ventidue anni fa come giovane promessa, ora sono un professionista collaudato, mi trovo a dirigere un teatro con vari problemi e mi rimbocco le maniche. Però la destinazione siciliana è quella che, come napoletano, mi si confà maggiormente, mi sento più affine».
Campania e Sicilia più affini?
«Ho sempre amato molto gli autori siciliani, a cominciare ovviamente da Pirandello nella sua oscillazione tra intellettualismo e visceralità, tra passione e speculazione razionale. Inoltre quello di Catania è tra i primi Stabili a essere stato fondato e in assoluto il primo nel Sud con Mario Giusti direttore artistico, con una tradizione scenica legata alla narrativa: da Verga a Luigi Capuana, da Federico De Roberto a Vitaliano Brancati. Un retroterra culturale nel quale mi sento più a mio agio rispetto a Napoli, la mia città che, intendiamoci, è la patria del grande Eduardo De Filippo, di cui però misi in scena molto tempo fa solo una commedia: Sabato, domenica e lunedì al Teatro Vakhtangov di Mosca con attori russi. In quell’occasione la prima grande difficoltà fu quella di spiegare loro che cos’è il ragù».
Su quale base prende il via la sua nuova direzione?
«Innanzitutto, bisogna tornare ai testi, il regista deve smettere di essere strabordante, perché il pubblico va a vedere la rappresentazione di un testo scritto e non soltanto la sua scrittura scenica. Il piatto di portata della messinscena è la drammaturgia e la figura registica era nata, a suo tempo, proprio per impedire la dittatura dell’attore e offrire una mediazione per difendere l’opera dell’autore. Certo, resta salva la libera interpretazione del testo da parte del regista, ma aderente all’originale. A volte, invece, non vediamo rappresentata un’opera, ma il suo stravolgimento, il testo diventa pretesto. Non è giusto. Il regista si sta allargando troppo, un tiranno che dispone di autore e attori come sua emanazione: gli attori vanno coordinati, non schiavizzati».
Sta già lavorando alla sua stagione 2022-2023?
«Prenderà il via ufficialmente nella prossima estate perché ora è in vigore la stagione della direzione precedente, dove per altro sarò ospite: prima ancora di sapere che sarei diventato il direttore, proprio Sicignano mi aveva messo in cartellone, sarò in scena a maggio con La locandiera di Goldoni. La mia idea generale è la presenza della letteratura siciliana, sia quella nata per il palcoscenico, sia quella trasformata in teatro, una caratteristica storica di questo Stabile».
Quali autori?
«Prima di tutto Verga, di cui quest’anno si celebrano i cent’anni dalla morte. Penso a Storia di una capinera o a La lupa. So inoltre che c’è necessità di mettere in luce attori siciliani e, in particolare, catanesi: è un serbatoio di talenti in una città che è piena di teatri; questo patrimonio non va disperso. Il secondo obiettivo è di lavorare con interpreti con cui ho una mia consolidata consuetudine, a partire da Eros Pagni, che dirigo sin da quando ero in Veneto, poi a Napoli... siamo un po’ come zio e nipote».
Un rapporto consolidato...
«Assolutamente sì. Eros è un tipo burbero, parla poco, ma ci intendiamo con uno sguardo, senza mai una tensione. E poi gli attori sono un po’ come il vino: più invecchiano più diventano sapienti. Eros ha raggiunto una maturità espressiva ineguagliabile. Lui dice sempre che il prossimo anno è il suo ultimo di lavoro, poi è sempre lì a lavorare».
Quindi il primo protagonista nel prossimo cartellone sarà lui?
«Esattamente. Sto pensando di realizzare con lui due Pirandello, Così è (se vi pare) e Questa sera si recita a soggetto. Ai quali aggiungerò una terza opera del grande autore agrigentino, Come tu mi vuoi, con Lucia Lavia nei panni dell’Ignota. Inoltre, voglio finalmente realizzare, ancora con Pagni, un vecchio sogno che coltivo da tempo. Fargli interpretare l’Otello shakespeariano, un Otello anziano, che rende ancora più la drammaticità del suo rapporto con la giovanissima Desdemona, più credibile la gelosia ossessiva, perché egli è consapevole, essendo vecchio, di non poter suscitare passione amorosa in una giovane donna. Infine, sempre con Eros, ho intenzione di rendere omaggio a Leonardo Sciascia nel 2024, facendogli interpretare Il consiglio d’Egitto, romanzo palermitano, cui vorrei poi associare I viceré del catanese De Roberto: sarà un dittico in collaborazione con lo Stabile di Palermo, diretto da Pamela Villoresi».
Niente tragedie greche?
«Eviterei, perché Catania è a un’ora di macchina da Siracusa, sacro tempio di queste opere, e non mi sembra opportuno pescare dallo stesso repertorio. Però ho intenzione di lavorare su riscritture di tragedie greche, come l’Elettra di Hoffmannsthal, oppure l’Antigone di Anouilh, quindi non le originali, bensì le riscritture del mito, che può essere un altro filone. Per l’apertura della prossima stagione invernale, 2023-2024, penso a un testo significativo, legato alla pandemia».
Quale?
«I racconti della peste di Mario Vargas Llosa. È una divagazione ispirata al Decameron, con personaggi chiusi in una villa, a causa della peste, e che per farsi compagnia e stare lontani dalla contaminazione partoriscono storie, se le raccontano finché l’epidemia finisce: in altri termini, la fantasia li aiuta ad aspettare la fine e a superare il problema».
Un testo profetico?
«Assolutamente sì, è stato scritto nel 2014 e portarlo in palcoscenico è un simbolo benaugurante, affinché si possa uscire dalla “villa” sani e salvi dal virus».
A proposito di superamento di problemi, quali sono quelli che ha trovato nello Stabile di Catania?
«È stato commissariato, ma ora ha un Cda regolare, presieduto da Rita Gari, che in precedenza è stata sovrintendente del Teatro Lirico Bellini e assessore alla Cultura nella precedente giunta: ho avuto in passato tanti presidenti economisti, giuristi... ma è la prima volta che mi trovo a che fare con una teatrante, il che mi piace molto. Il grosso problema è che lo Stabile ha avuto una ristrutturazione del debito e sta pagando un mutuo annuale rilevante. Forse sono stato nominato per una mission impossible! Ma ce la faremo».
Quando era a Napoli, oltre a dirigere il Mercadante, ha creato a Pompei la rassegna estiva Theatrum Mundi. A Catania cosa potrebbe realizzare?
«La Pompei di Catania potrebbe consistere in un’alleanza con il Festival di Taormina, perché no?».