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 2022  gennaio 08 Sabato calendario

Biografia di Giovanni Succi, digiunatore


Una decina d’anni fa una conoscenza indiretta mi chiese di subaffittare in bassa stagione una casa nella campagna toscana. «Per quanto tempo?», domandai. Rispose: «Finché riesco a non mangiare». Venne fuori che intendeva “allenarsi” per stabilire il record mondiale di digiuno. Tornò, soddisfatto, restituendomi le chiavi dopo 32 giorni. Si sentiva pronto. Voleva allestire una bolla in un parco romano, chiudersi all’interno e farsi riprendere dalle televisioni mentre sfidava la fame. Era sicuro che sarebbe stato un grande evento. Cercò gli sponsor. Risultò che nessuno era disposto a investire su un uomo che non faceva niente. Altri, in condizioni simili, litigano, flirtano, danno di matto. E mangiano. Lui, niente. Non se ne fece, appunto: niente. Che tempi, che s- fantasia. Fosse ancora vivo Giovanni Succi, benefattore e artista, morirebbe di fame. Nessuno più lo ingaggerebbe per digiunare in pubblico ( men che meno in un ristorante). E nessuno più lo rinchiuderebbe in manicomio: tanti più improbabili di lui affollano la scena pubblica e perfino con maggiore fortuna.Come un fiume carsico la storia di quest’uomo nato nel 1850 a Cesenatico ( dove gli hanno dedicato una via accanto al canale) e morto nel 1918 a Scandicci, dopo aver trascinato le sue membra e il suo genio in Africa e in Sudamerica, a Parigi e a New York, mi è riaffiorata l’estate scorsa. A un festival letterario, su un palco picchiato dal sole, Ermanno Cavazzoni, sfidando la liquefazione nerovestito, filiforme e con un fil di voce, ha rievocato nel suo modo ineguagliabile L’artista del digiuno, racconto di Franz Kafka che si dice fu ispirato proprio da Giovanni Succi. Poi le storie divergono, ma il prototipo è quello. Un rivoluzionario. Un invasato. Un sensitivo. Un giocatore. Un essere evoluto. Un regredito. Un uomo oltre il suo tempo. Un eterno bambino. Uno che, nel corso di una vita che pare un sussidiario di storia e geografia, sfiorò Henry Morton Stanley e Sigmund Freud, Axel Munthe e Cesare Lombroso, Emilio Salgari e Buffalo Bill. Mescolate, agitate e ne otterrete uno straordinario materiale da romanzo. Difficile, però. Praticamente ingestibile. Come ridurre a narrazione fruibile tanta roba, troppa: “oppa oba!”, come disse il piccolo Giovannino davanti al cibo solido? Come incartarla nelle pagine di un libro?Enzo Fileno Carabba ha affrontato la sfida con Il digiunatore (titolo dovuto alla necessità di concedere “l’artista” a Kafka). E ci è riuscito. Attingendo alle proprie risorse. Carabba ha scritto una trilogia di romanzi fantastici e libri per ragazzi. Qui ha unito i generi. Anziché inventare il personaggio lo ha preso dalla realtà e ce l’ha restituito come se avesse davanti una platea dallo sguardo incantato, pronta a credere a ogni storia, purché sia bella. Senza cinismo, senza astuzia, senza i peccati dell’età successiva, come sono i lettori puri. Il suo digiunatore rivive con una lingua che riproduce l’effetto meraviglia. Fin dalla prima pagina: «… le carovane uscivano dal Paradiso terrestre e puntavano dritto verso il paese… approfittavano di circostanze cosmiche favorevoli… erano carri traballanti casette con le ruote di legno, strani veicoli che portavano scimmie e pappagalli, uomini forzuti, donne magiche. Guidati da una stella o da uno sciame meteorico si dirigevano verso la nostra normalità». È questo il percorso parallelo delle vite narrate da Carabba: da un lato l’ordinario che scorre, dall’altro il sussulto dello speciale, quell’uomo lacero destinato all’immortalità. Di lui ancora parliamo mentre il resto, milioni di resti, sono cenere del tempo.Carabba non giudica, sfugge al tranello del «c’era o ci faceva?», «era vero o farlocco?». Quando l’infermiere del manicomio smette di picchiare il digiunatore non lo fa perché «si sente ingiusto, ma perché si sente ridicolo» : «C’erano in Giovanni Succi una fierezza e una semplicità eccezionali, ma non patologici. Un egocentrismo miracoloso». Di fronte a uomini dotati di capacità particolari ci chiediamo, ponendoci la domanda sbagliata, dove sia il trucco. Pensiamo agiscano per addizione, mentre siamo noi a farlo per sottrazione. Succi e quelli come lui quando non hanno il linguaggio sopperiscono con la telepatia, quando sono bendati vedono con la mente, o con lo stomaco. Ci insegnano l’arte del possibile sepolta sotto l’educazione e il controllo.«Vedi quel che vuoi vedere. Sei tu che comandi».«Ma tu chi?» «Il vero te stesso. Che non sei tu».«E chi sarebbe?» Giovanni non lo sapeva, lo intuiva, scrive Carabba.Tutta la biografia di Succi è un’allusione, molto più che un ‘ illusione. Evoca l’uomo che non c’è, ma potrebbe esserci. Lui tenta di raggiungerlo, come un trapezista fa con il gemello sull’altra sponda. Spesso cade, ma prima ha fatto in aria un’impossibile ( attenzione al doppio senso) evoluzione. È stato una specie di profezia vivente e vissuta, che non ha trovato le parole per esprimersi. Gliele ha trovate Carabba, in un virtuosismo a specchio.