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 2022  gennaio 08 Sabato calendario

Intervista a Frank Miller


L’infanzia nel Vermont, il primo arrivo alla Marvel alla corte di Stan Lee, la rivoluzione di Batman, le dipendenze. Parla l’uomo che disegna il nostro immaginario
C’è qualcosa di dolce nella voce di Frank Miller. Forse quanto rimane dell’accento di Montpelier, Vermont, la cittadina in cui è cresciuto che è anche la capitale di stato meno popolosa d’America con 8.074 abitanti nel 2020.
Il fatto è che questa dolcezza non te l’aspetteresti in un uomo che ha rivoluzionato il fumetto in maniera così violenta: Miller ha preso supereroi che sembravano destinati a un pubblico di adolescenti e li ha reinventati facendoli diventare quasi il contrario di quello che avevano sempre rappresentato.
Il Batman del lavoro più famoso di Miller, Il ritorno del Cavaliere Oscuro, per esempio è invecchiato e uscito di scena da anni. Quando ritorna sembra un giustiziere ossessionato da un mondo in cui non si riconosce più, in cui quelli che dovrebbero essere i “buoni” sono lontani dalla realtà, i politici seguono solo i sondaggi, i “cattivi” fanno quello che vogliono. Ma, analizzando bene, tutto ciò è quasi un pretesto per raccontare chi è davvero il più potente tra gli eroi, Superman: uno schiavo al servizio del potere. Ogni cosa dunque è ribaltata e i supereroi non sembrano più in grado di leggere una società così complessa. In realtà Batman e Superman sembrano poi riuscire a ritrovare un ruolo in un gioco di specchi che ha probabilmente un unico scopo: la provocazione continua. Quella che ha portato Miller a essere considerato un reazionario giustizialista, addirittura un fascista dopo la storia di Sparta in 300 e soprattutto dopo Sacro Terrore, un graphic novel molto violento contro l’integralismo islamico scritto dopo l’11 settembre. Miller, qualche anno dopo però sorprende di nuovo tutti, dicendo che avrebbe votato per Hillary Clinton, mostrando la polizia che spara a un ragazzo nero in Il Cavaliere Oscuro III (2015), schierandosi contro i suprematisti “kryptoniani” (il pianeta madre di Superman) e definendo Donald Trump “un pagliaccio molto pericoloso” tanto che nel successivo Il bambino d’oro, dietro la candidatura a presidente di Trump appaiono Joker e Darkseid, i due cattivi più cattivi dell’Universo DC Comics mentre la giovane Batwoman a un certo punto della storia dice: «Questo è uno stato di polizia. Governato da un coglione». Non solo: i suoi eroi spesso scendono agli inferi, come Devil finito in rovina perché la sua ex-fidanzata Karen Page, diventata tossica,
ha venduto la sua identità segreta a Kingpin, uno dei suoi peggiori nemici. O come Elektra, mercenaria assassina, finita in un manicomio criminale dopo aver perso la memoria, che cerca di capire chi l’ha manipolata. O come noi stessi che viviamo in tempi sempre più difficili e oscuri. O, ancora, come lo stesso Frank Miller, anche lui rinato (Born Again,1986) proprio come Devil.C’è un documentario presentato al Festival di Roma e poi a Lucca Comics che racconta tutta la sua storia, si intitola, non a caso,American Geniusla cui regista (che segue anche molti altri progetti di Miller), Silenn Thomas, è di origine italiana: «La mia famiglia viene dal Piemonte», spiega nella nostra lingua, «Frank mi ha voluta a dirigere questo documentario su di lui anche se non vengo dal fumetto. Ci abbiamo messo quattro anni e mezzo e a un certo punto abbiamo dovuto dire stop. Magari faremo un seguito». Comunque, per spiegare a chi non lo conosce chi è Frank Miller la cosa più semplice è usare le parole di Stan Lee, il padre dei supereroi: «Parlate di talento? Allora guardate quest’uomo: sa scrivere, sa fare sceneggiature, sa fare il regista. E il bello è che lo fa dannatamente bene!».“American Genius” inizia proprio in Italia, a Lucca Comics. Come mai? C’è qualcosa che l’ha ispirata?«Sì, c’è un nesso: Lucca è stato il primo luogo in cui ho “vissuto” l’importanza del fumetto. Ci sono andato quando ero molto giovane, agli inizi della mia carriera quando avevo appena iniziato a lavorare per la Marvel e intanto pensavo alle mie prime creazioni originali anche se ero molto appartato rispetto alla scena del fumetto americano. Ho iniziato studiando il fumetto europeo e giapponese ma non conoscevo il mondo da cui provenivano. Così sono venuto al Festival di Lucca e ho potuto incontrare e parlare con gente come Hugo Pratt con cui ho passato una giornata intera: era tutto così pieno di gioia! C’era una città intera che si trasformava per la forma d’arte che ho amato di più nella mia vita».Visto che ha parlato di quando era agli inizi della carriera vorrei tornare lì per un attimo: come ha iniziato?«Sono cresciuto A Montpelier, nel Vermont e non facevo altro che disegnare così da giovanissimo ho deciso che sarei andato a New York. I miei mi hanno supportato, capivano che non potevo fare altro. Ma non è stato facile.Quando sono arrivato lì non conoscevo nessuno e non avevo idea di come si potesse entrare in una casa editrice così ho passato un periodo in cui facevo letteralmente la fame. In estate ero costretto a ritornare nel Vermont per poter mangiare decentemente e recuperare le forze».E come c’è riuscito allora?«Non era facile neppure trovare le informazioni perché Internet non esisteva ma avevo un nome, un artista che adoravo: Neal Adams. Ho aperto la guida del telefono e il suo nome era sull’elenco, così ho chiamato quel numero e ha risposto una voce di donna. Le ho detto: “Buongiorno. Il mio nome è Frank Miller adoro i fumetti e vorrei iniziare a farli professionalmente. Potrei avere la possibilità di parlare con Neal Adams?”. Risponde “Aspetti un attimo”.E poi sento che dice: “Papà ce n’è un altro!”. E poi: “Riesce ad arrivare qui entro un’ora?”. Un’ora dopo ero faccia a faccia con Neal Adams per mostrargli i miei disegni».Come andò?«Dopo averli guardati con attenzione alzò la testa, mi guardò negli occhi e disse: “Non sei capace. E non c’è nessuna possibilità che tu possa diventarlo. Da dove vieni?”. “Dal Vermont”. “Allora torna nel Vermont”».Che cosa ha fatto a quel punto?«Gli ho chiesto: “Potrebbe mostrarmi quali sono i miei errori?”. E lui: “Sicuro”. Ha preso i disegni che avevo fatto, e ci ha messo sopra fogli di pergamena da ricalco. E poi ha disegnato magnificamente sopra di loro: “Ecco qua!”. E io: “Posso tornare?”. “Sì. Hai una settimana di tempo”. E sono tornato fino a quando ha detto “Mmm” e ha chiamato uno degli altri artisti nel suo ufficio e gli ha chiesto “che ne dici? Oh, lo sa che non è capace di disegnare. Ma la narrazione è diventata piuttosto interessante qui, e forse c’è qualche speranza”. Ha preso il telefono e ha chiamato un editore e così ho ottenuto il mio primo lavoro. Questa era New York e questo era Neal Adams».Poi approdò alla Marvel. Che tipo era Stan Lee?«Stan era fantastico! Ricordo quando mi invitò alla mia prima riunione su Devil. In maniera semplice e chiara disse: “Siediti ragazzo. Ecco cosa devi fare per capire chi è Devil: devi solo chiudere gli occhi e camminare (Devil è un supereroe non vedente,ndr)”. Funzionò».Lei ha definito il suo capolavoro, “Il ritorno del Cavaliere Oscuro”, una “storia romantica”. In che senso?«Lo è in un senso molto wagneriano. Per me Batman è un personaggio romantico come Robin Hood, che cerca di cambiare invano il mondo intorno a sé».
Che cosa ne pensa della dichiarazione di Alan Moore per cui “i film di supereroi realizzati per gli adulti sono grotteschi”?«Non ho commenti, davvero. Io non amo generalizzare. Non direi “i western sono pessimi”.Mi dispiace ma sono un po’ più liberale di Alan».Lo ha mai incontrato di persona?«Sì, ci conosciamo piuttosto bene. Non siamo d’accordo su moltissime cose ma questo non ci ha mai impedito di star bene insieme».Ultimamente è scomparso.«Sì, non gli piace molto andare in giro ma tutti abbiamo i nostri periodi difficili».Moore si è dichiarato anarchico. E lei?«Io sono un libertario».Una cosa su cui forse siete d’accordo è la dichiarazione di Moore sul fatto che il cinema ha rubato tutti i personaggi ai fumettisti. Lei per esempio è stato coinvolto per la trilogia su Batman di Nolan che persino nei titoli si rifà alle sue storie?«Visto che Alan non è sparito? Non è certo rimasto in silenzio! È come dire che un attore scompare quando indossa occhiali scuri ( ride). Comunque no, non sono stato coinvolto: l’accordo originale con DC Comics prevedeva che io avrei interpretato il loro personaggio. In cambio io ho chiesto la libertà di farlo come volevo e loro non hanno mai interferito. Quando accetti questo tipo di patto è chiaro che lasci loro la possibilità di sfruttare come vogliono il materiale che hai realizzato. È stato molto diverso con Sin City per cui io avevo tutti i diritti e ho potuto esercitare il mio controllo anche sull’edizione cinematografica: Robert Rodriguez (il regista,ndr)è stato un angelo nella mia vita».Meglio il mondo dei comics di ieri o quello di oggi?«Oggi è meglio. Quando ho iniziato le paghe erano da fame e c’era una sorta di ombra su di noi, come se quello che facevamo fosse di terza categoria. Il resto del mondo dello spettacolo ci considerava un po’ come i mendicanti fuori dalla porta. Ora siamo più accettati anche perché l’America è diventata un paese di nerd ( ride) ».Non tutta la sua vita però è stata facile: ha passato momenti terribili a causa dei problemi di dipendenza fino a rischiare la morte. Quali sono state le cause?«Ovviamente questa è una cosa a cui ho pensato a lungo e ci sono diverse risposte. Una è che si tratta di un fattore genetico che attraversa la mia famiglia ed era come una bomba a tempo che aspetta di esplodere. L’altra ragione forse è collegata al processo che ti porta ad andare così in profondità dentro di te, per cui le pressioni si accumulano e il creatore di fiction non è sempre il tipo di persona che può affrontarle. Sigmund Freud una volta disse che lo scrittore di narrativa è qualcuno che ha un sacco di problemi nell’aver a che fare con la realtà. E così si crea una realtà che crede di poter affrontare molto meglio. Per questo tipo di cosa mi piace usare il termine “nevrotico di successo”».E quindi che cosa era l’alcol per lei?«Senza dubbio una scorciatoia che è andata vicino a uccidermi. Grazie ad alcune persone, in particolare grazie a Silenn, sono stato salvato da quel destino. La mia dipendenza era una danza con la morte ma una danza molto noiosa che ripeteva sempre gli stessi passi: lo stesso rituale ogni mattina. Quando ho scoperto che potevo guadagnare bene anche scrivendo ho smesso di disegnare perché è un atto fisico che devi fare con le mani e fai fatica. Invece nelle prime fasi l’alcol sembra aiutare la scrittura perché abbassa le inibizioni: il mio era un lento irrazionale suicidio. E io ero fuori controllo».Non era collegato anche al fatto che lavorava troppo?«Sì certo, lavoravo sempre. Era difficile per me separare il lavoro dalla vita ed è un circolo terribile perché abusavo di me stesso per lavorare e poi per rilassarmi dal lavoro.Avevo un orologio al polso solo per guardare a che ora riapriva il bar. Alla fine abusare di me mi ha anche costretto a smettere di lavorare. Non facevo più nulla».E adesso quanto lavora?« Meno. Solo un po’ più a lungo di chi lavora in ufficio».Ha dei nuovo progetti in mente?«Voglio fare qualcosa di storico, magari su Roma e con Silenn stiamo prendendo i contatti ma è complicato perché ormai non si tratta più solo di fumetto e quindi bisogna passare attraverso molti gradi di approvazione. I costi per le produzioni video sono molto elevati».So che ama molto autori come Bob Dylan e Johnny Cash. Cosa ascolta quando disegna?«Notiziari. Sempre notiziari da mattina a sera alla radio su Npr (National Public Radio, ndr). Ogni tanto si fermano per qualche minuto di meditazione ( ride): “Chiudi gli occhi”. In quel momento ti vedi uno di questi vecchi hippies che dice: “Siamo fuori” (gioco tra “fuori onda” e “fuori di testa”, ndr). Scherzo: hanno ottimi giornalisti.Quando scrivo invece metto musica senza parole».Come ha passato questo periodo di pandemia?«Come tutti e come sempre: cercando di sopravvivere».