la Repubblica, 8 gennaio 2022
Mukhtar Ablyazov vuole tornare in Kazakistan per liberare il paese
«È da quattro anni che con il mio partito preparo il terreno per gli eventi di oggi». Parola di Mukhtar Ablyazov, ex ministro kazako all’Economia, ex banchiere accusato in patria e in Russia di reati finanziari, oggi il più noto dissidente del Kazakistan. Che si dichiara il leader dell’opposizione al regime di Nazarbayev. «Vivo in esilio dal 2009», spiega a Repubblica, «e da allora ho dedicato ogni minuto della mia vita all’obiettivo di poter tornare un giorno nel mio Paese per vivere sotto un regime democratico».
Ablyazov, lei ha detto che con l’ordine di sparare sui manifestanti per uccidere il presidente Tokayev ha gettato la maschera…
«Esatto. La situazione dei diritti umani in Kazakistan è un disastro.
Non ci sono media liberi. Non c’è libertà di riunione. A causa della corruzione dilagante la situazione economica è un disastro. Tutto è controllato e depredato dal clan Nazarbayev. E, sì, quando parla di manifestati orchestrati dall’estero, Tokayev si riferisce a me, che vivo in esilio lontano dal mio Paese. Da quasi 25 anni sono il nemico pubblico numero uno di Nazarbayev».
Vi risulta che il “padre della nazione” abbia già lasciato il Paese?
«Pensiamo di sapere che si trovi ad Abu Dhabi».
Se riuscirà a rientrare nel Paese, sarà pronto ad assumersi le responsabilità del governo?
«Certamente. Ma a differenza di un dittatore, non conosco il risultato delle elezioni fino a quando non si tengono. Propongo di guidare un governo di transizione per sei mesi, mentre si svolgono elezioni libere e democratiche, alle quali parteciperò con il mio partito. In ogni caso, proporrò una riforma costituzionale e abolirò la carica presidenziale che è stata la causa di tutte le disgrazie del nostro Paese in questi 30 anni».
Come ha potuto tenere le fila della protesta da migliaia di chilometri di distanza?
«Grazie ai social media. Produco e partecipo a un notiziario, due volte alla settimana, trasmesso su Telegram. Parlo quasi ogni giorno davanti al mio smartphone e denuncio la corruzione del regime su YouTube, Instagram e Facebook.
Alcuni video hanno milioni di visualizzazioni. Parlo anche con gli attivisti sul terreno ogni giorno.
Abbiamo spinto il popolo a scendere in piazza per protestare pacificamente: ma questa è una rivoluzione spontanea portata da una popolazione stanca del clan sanguinario che ha governato per 30 anni. Ora il frutto è maturo».
Cosa dovrebbe fare l’Occidente per aiutare la protesta?
«Chiediamo che vengano congelati i beni dei dignitari kazaki e negati loro i visti in modo che non possano più viaggiare nelle loro ville di lusso in tutto il mondo. L’Occidente dovrebbe smettere di cooperare con un regime che uccide manifestanti pacifici».
Circolano video che mostrano soldati e forze dell’ordine schierarsi con i manifestanti. E Tokayev stesso ha estromesso Nazarbayev dal consiglio di sicurezza.
«Le manifestazioni sono iniziate nell’ovest del Paese, in molti luoghi polizia e militari hanno cambiato campo. Nazarbayev ha capito subito che non poteva più contare sulla lealtà delle sue stesse forze armate.
Ecco perché ha chiesto aiuto alla Russia. Quando Tokayev ha visto che una statua di Nazarbayev è stata tolta, ha pensato che doveva far credere di aver tagliato i legami con lui. Ma è un’illusione. Tokayev è solo un burattino, il regime è ancora in mano a Nazarbayev».
Lei è conosciuto in Italia soprattutto per il caso dell’arresto di sua moglie, Alma Shalabayeva. Cosa si aspetta dal processo?
«Mi aspetto che i giudici d’appello italiani non si lascino influenzare da pressioni politiche. Devono giudicare il comportamento di cinque poliziotti e di un giudice che si sono venduti l’anima e hanno violato tutte le leggi internazionali per fare un bel servizio a una delle peggiori dittature del mondo. Mi aspetto che la sentenza di primo grado sia confermata».