La Stampa, 8 gennaio 2022
Ritratto di Rosa Bonheur
Un cielo basso, di nubi dense. E sotto una quindicina di cavalli solidi, i manti dai diversi colori: scalpitano in un gioioso disordine, mentre la polvere resta sospesa nell’aria. Alcuni fissano chi sta osservando il quadro La fiera dei cavalli, dipinto nel 1853 da Rosa Bonheur (1822-99). Lei si rifiutò sempre di ritrarre fiori o micini, come facevano le altre artiste della sua epoca. Da subito si dedicò con passione nella pittura animalista, di un realismo evidente, naturalistica e poco romantica. Apprezzata in vita, riuscì a comprarsi il castello di By, a Thomery, una sessantina di km a sud-est di Parigi, dove visse i suoi ultimi quarant’anni, circondata da altre donne e numerosi animali, inclusa una coppia di leoni, Néron e Fatma, usati come modelli. Spesso raggiungeva qualche fattoria o un mercato del bestiame, per catturare spunti e scrutare le bestie in movimento: vestita da uomo, per non farsi importunare. Il sigaro in bocca.
La fiera dei cavalli è esposto al Metropolitan Museum di New York, che lo comprò subito dopo che la pittrice aveva terminato questa tela monumentale, lunga cinque metri. Il mondo anglosassone la apprezzò di più della sua Francia, che la dimenticò dopo la morte. Perché il suo genere era considerato marginale e la sua vita anticonformista troppo imbarazzante?
Una decina di anni fa, in cima al parco di Buttes-Chaumont, a Parigi, aprirono Rosa Bonheur, un locale gay-friendly, aperto ancora oggi. I frequentatori iniziarono a digitare sul cellulare quel nome, che è tutto un programma (Rosa Felicità), e ne scoprirono l’epopea: così, la pittrice divenne un’icona lesbica. Ma per uscire da quel recinto c’è voluta la determinazione di un’altra donna, Katherine Brault, che nel 2014 comprò il castello di By. Dice alla Stampa: «Agli inizi, Rosa non mi appassionava, anche perché non la conoscevo bene. Poi sono entrata qui e mi sono fatta prendere dal personaggio».
Nell’atelier, rimasto intatto dal giorno della morte dell’artista. Katherine vi ha aperto un museo intitolato a Rosa Bonheur. E, con l’aiuto di un altro appassionato, Michel Pons, archivista al castello, da anni passa al vaglio l’immensa documentazione nascosta soprattutto nel granaio. Proprio ieri l’ultima scoperta, «Una lettera nella quale Rosa scrive dell’acquisto di un grammofono di ultima generazione: adorava la musica». La modernità della pittrice? «È dovuta a tre motivi: credeva all’eguaglianza tra l’uomo e la donna, ai diritti degli animali e all’influenza della natura e dell’ecologia. Sono battaglie così importanti ai nostri giorni».
Due anni fa, Macron è venuto qui a incontrarla, con la moglie Brigitte. E a incoraggiarla. Katherine ha ottenuto che Rosa fosse riscoperta da tutti. E così, in questo 2022, per i 200 anni dalla nascita della pittrice, sono previste diverse mostre. Una alle Belle Arti di Bordeaux (la sua città natale) dal 18 maggio, e una retrospettiva al Musée d’Orsay di Parigi in autunno. Nel castello ci sarà un’esposizione fotografica dal 16 marzo, le immagini delle opere disperse e mai ritrovate. Ma chi era davvero Rosa? La madre, Sophie, era figlia illegittima di Jean-Baptiste Dublan de Lahet, ricco commerciante di Bordeaux, che aveva un’amante di sangue reale (forse la nonna dell’artista). Il padre, Raymond Bonheur, un pittore, ritrattista abile ma persona stravagante. La famiglia si spostò a Parigi, nella speranza di fare fortuna. Raymond diventò un adepto del sansimonismo, movimento socialista, e in particolare della deriva di Barthélemy Prosper Enfantin, che creò una comunità di grande libertà (pure sessuale, praticamente scambista) nel convento di Menilmontant, dove Raymond finì. Abbandonò i suoi e Sophie, professoressa di pianoforte di giorno, alla sera iniziò a cucire, per mantenere la famiglia.
Morì, sfinita, quando Rosa aveva appena undici anni. Il padre la riprese con sé e le insegnò a dipingere. Da lui ereditò l’anelito sansimoniano alla liberazione della donna. Ma mamma Sophie restò il suo idolo, il modello di una donna davvero indipendente. Per 59 anni visse con un’amica d’infanzia, Nathalie Micas, altra pittrice, che morì dieci anni prima di Rosa. Poi, nei nove mesi precedenti la sua scomparsa, nel castello s’installò una giovane pittrice americana, Anna Klumpke, che Rosa dichiarò a sorpresa sua erede. Le due donne vengono spesso descritte come le sue due compagne di vita, ma Rosa smentiva. Per Katherine, che vive nel castello assieme allo spirito di Rosa, «C’è il 95 per cento di possibilità che non fosse lesbica: solo, rivendicava la libertà di una donna che non si voleva sposare. Si vedeva come una pura vestale dell’arte. Per me, portatrice della causa di una “asessualità”, non meno importante di quella lesbica». —