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 2022  gennaio 08 Sabato calendario

I tesori del Kazakistan

Non può permettersi di avere nemici, il Kazakhstan. Dotato di immense e varie ricchezze minerali, è incastonato al centro dell’Asia, il più grande Paese al mondo senza accesso al mare. O meglio il suo mare, il Caspio, è chiuso: per esportare, il Kazakhstan deve contare sui vicini e sugli accordi di transito stretti con loro.
Per questa ragione, il Paese che nel 1991 si dichiarò indipendente dall’Urss per ultimo ha cercato di mantenere buoni rapporti con tutti: Europa e Stati Uniti, che hanno investito decine e decine di miliardi nello sviluppo dell’industria degli idrocarburi; la Russia, che con le sue rotte e il confine comune, il secondo più lungo al mondo, è la principale via d’uscita per petrolio e gas; la Cina e il suo mercato che lo abbracciano da Oriente. Negli ultimi anni, peraltro, il corteggiamento di Pechino si è fatto sempre più intenso. Come aveva capito per primo Gengis Khan con le sue attenzioni verso l’antica Via della Seta – caravanserragli, fortezze, un servizio postale – l’Asia Centrale è strategica per collegare due mondi. Il Kazakhstan – la principale economia di questa regione-crocevia – oggi è al centro dei progetti con cui la Cina sta componendo la sua nuova autostrada verso l’Europa, la Belt and Road Initiative.
Quanto sta avvenendo in questi giorni ad Almaty e nelle altre città kazake – una battaglia per il potere in cui neppure si distinguono con chiarezza i protagonisti – non può lasciare indifferenti Mosca e Pechino. Né i mercati globali delle materie prime, che si interrogano sulla continuità della produzione in queste ore (dal grande giacimento di Tengiz l’americana Chevron segnala tagli alla produzione di petrolio), sui possibili blocchi delle linee di trasporto ma anche sugli scenari e gli interlocutori futuri. Non solo per quanto riguarda le grandi riserve di gas e petrolio: primo produttore al mondo di uranio (più del 40%), e al secondo posto dietro l’Australia per le riserve, il Kazakhstan dispone nel proprio sottosuolo di quasi tutti i 120 elementi della tavola di Mendeleev, e tra questi ha riserve provate ai primi posti al mondo per cromo, carbone, zinco, ferro, manganese, bauxite, cobalto, oro. Depositi a cui si aggiungono quelli, di importanza strategica, delle terre rare.
È paradossale che in mezzo a tanta ricchezza il Kazakhstan e le sue steppe siano state considerate nei secoli, dall’impero zarista russo e poi dall’Unione Sovietica, un’utile “discarica” per tutto quanto andava allontanato: i condannati, gli esuli, le scorie nucleari. E i test di armamenti di cui era meglio tenere nascosto l’impatto sulla salute per chi viveva attorno a Semipalatinsk, nel Kazakhstan orientale, proprio il luogo dove – molto tempo prima – Dostojevskij aveva deciso di immaginare il confino del suo Raskolnikov, il protagonista di “Delitto e Castigo”.
Sognando per il proprio Paese un destino ben diverso, dopo la caduta dell’Unione Sovietica Nursultan Nazarbajev (al potere dal 1990) aveva accolto a braccia aperte (soprattutto all’inizio) investitori stranieri di ogni nazionalità, i loro finanziamenti e le loro tecnologie. Distinguendosi come il Paese più affidabile e stabile in una regione molto volatile, il Kazakhstan ha accolto tutti i più grandi nomi dell’energia mondiale, che affiancano la compagnia nazionale KazMunaiGas: Chevron, Total, Eni, Shell.
Una presenza che ora è chiamata a trasformarsi per affrontare un contesto diverso. Come gli altri Paesi che basano la solidità dei propri conti sui guadagni di gas e petrolio, il Kazakhstan ha davanti a sé le sfide nate dal cambiamento climatico: le incertezze sulla domanda futura di idrocarburi, l’urgenza della diversificazione dell’economia per ridurne la dipendenza. Eni, presente in Kazakhstan dal 1992, ha stretto di recente accordi di cooperazione con KazMunaiGas per sviluppare progetti nell’ambito delle energie rinnovabili e dell’idrogeno, aiutando la transizione energetica.
Da parte sua, anche la Cina considera il Kazakhstan un fornitore chiave di energia, ma anche un luogo di transito cruciale: uno dei simboli di questo legame, perduto nella steppa, è la stazione ferroviaria di Altynkol, “porto di terra” in cui la differenza di scartamento costringe i cinesi a trasferire file interminabili di container su nuovi vagoni. Progetto che ne genera diversi altri sul fronte della logistica, dell’edilizia, dei trasporti, e aree di libero scambio.
Il Kazakhstan conta sul Pil pro-capite e sui livelli di salario medio più alti della regione. Tenendo conto della ripresa della domanda globale e dell’aumento dei prezzi dell’energia, nel dicembre scorso l’Asian Development Bank ha alzato le sue previsioni di crescita, portandole al 3,7% per il 2021 e al 3,9% per quest’anno.
Ma anche qui, con il caro-petrolio è salita l’inflazione, al 7,9% nei primi dieci mesi del 2021, al 10,8% per i generi alimentari. Per attenuare la crisi economica provocata dalla pandemia il Governo kazako ha stanziato aiuti per l’equivalente di 10 miliardi di dollari, circa il 5,7% del Pil: fondi per il sistema sanitario, i piccoli imprenditori, le fasce più povere della popolazione.
Aiuti messi alla prova dal prolungarsi dell’emergenza Covid, e da un programma di riforme economiche che nel caso dell’abolizione dei sussidi ai prezzi della benzina sono state la scintilla che ha acceso la protesta delle grandi vittime della crisi. Persone che negli anni hanno visto dilagare la corruzione, e a cui l’ingiusta spartizione delle ricchezze del Kazakhstan non ha lasciato quasi niente.