Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 02 Giovedì calendario

Biografia di Julianne Moore (Julie Anne Moore Smith)

Julianne Moore (Julie Anne Moore Smith), nata a Fort Bragg (Carolina del Nord, Stati Uniti) il 3 dicembre 1960 (61 anni). Attrice. Tra i numerosi riconoscimenti conseguiti, un premio Oscar alla migliore attrice (Still Alice di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, 2015), una Coppa Volpi speciale al miglior cast (America oggi di Robert Altman, 1993; premio condiviso con gli altri interpreti della pellicola) e una Coppa Volpi alla migliore attrice (Lontano dal Paradiso di Todd Haynes, 2002) alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, un Premio per l’interpretazione femminile al Festival di Cannes (Maps to the Stars di David Cronenberg, 2014) e un Orso d’argento alla migliore attrice al Festival di Berlino (The Hours di Stephen Daldry, 2003; premio condiviso con Nicole Kidman e Meryl Streep). Annoverata nel 2015 da Time tra le cento persone più influenti del mondo e nel 2020 dal New York Times tra i 25 più grandi attori del XXI secolo (all’undicesimo posto). «Musa del cinema indipendente» (Gloria Satta). «Non sono una celebrità, e ne sono contenta. Sono soltanto un’attrice» (a Clélia Cohen) • Prima dei tre figli di una psicologa e assistente sociale scozzese e un colonnello e giudice militare statunitense di ascendenze tedesche, irlandesi, inglesi, gallesi ed ebraiche ashkenazite. «Sono nata nella base militare di Fort Bragg in North Carolina. Quand’ero piccola la mia famiglia era spesso in viaggio. Non riuscivamo a stare in un posto per più di un anno: Texas, Nebraska, Alaska, New York, Germania. Sono la maggiore di tre fratelli. Ho seguito mio padre, paracadutista in Vietnam decorato due volte, e poi giudice militare, fino in capo al mondo. Quando ci siamo stabiliti a Boston ho cominciato a studiare recitazione» (a Filippo Brunamonti). «Negli anni della scuola, non le vengono risparmiate le battute per il colore della chioma. “Ero davvero la quattrocchi coi capelli rossi del campus”, ricorda. “Per di più non ero un tipo sportivo. Non che non ci abbia provato, ma non sono mai riuscita a entrare nella squadra delle cheerleader. Dopo essere state respinte dappertutto, con due amiche abbiamo deciso di tentare la fortuna al club di teatro…”. La piccola rossa, derisa e inadeguata ai riti sociali del liceo, trova lì una forma di espressione naturale: semplicemente ha un dono che non tarda a rivelarsi all’insegnante di teatro, che la incoraggia con entusiasmo. “Ho sempre amato le storie. Da bambina ero una lettrice incallita, i libri erano un rifugio che mi aiutava a mantenere l’equilibrio durante i numerosi trasferimenti. Recitando mi sono ritrovata dentro queste storie, amavo comprenderne la pulsazione interna, come se mi sussurrassero all’orecchio. Mi piaceva. molto”» (Cohen). «I miei genitori mi hanno sempre incoraggiata. Mi dicevano: “Puoi fare tutto quello che vuoi”. Salvo poi reagire orripilati quando li ho informati che avrei voluto essere attrice» (a Paola Piacenza). «L’attrice emergente era Meryl [Streep – ndr], e ho capito che io volevo essere come lei». «Verso i 20 anni si stabilisce a New York, vivacchia facendo la cameriera e qualche pubblicità, quando le propongono un contratto triennale per la soap opera Così gira il mondo. […] Il lavoro le consente soprattutto di mettere da parte un po’ di soldi, e, una volta terminato, di ritornare al teatro, buttandosi in avventure tanto appassionanti quanto sottopagate, in particolare un allestimento di Zio Vanja sotto la regia sperimentale di André Gregory, che poi diventerà un film di Louis Malle, Vanya sulla 42esima strada (1994), che la farà diventare una star del cinema indipendente» (Cohen). Il suo esordio cinematografico era stato però ben più modesto, nell’orrorifico I delitti del gatto nero di John Harrison (1990). Già nel 1993, tuttavia, aveva destato grande interesse, oltre che grande clamore, la sua partecipazione ad America oggi di Robert Altman, in cui «lei ha una lunga scena in cui è nuda dalla cintola in giù. E si dice avesse avvisato Robert Altman: “Guarda che sono una rossa naturale…”. “È vero (ride). Ma non è stato difficile girare quella scena. In fondo recitare è venire a patti con l’idea che abbiamo di noi stessi. Non abbiamo una sola verità dentro di noi, scoprire quelle inattese anche per noi fa parte del gioco, anzi è la parte più divertente del gioco”» (Piacenza). «Il primo film d’autore che vidi a Boston fu Tre donne, mi colpì in modo incredibile: da quel momento ho continuato a ripetermi, come un mantra, “un giorno vorrei lavorare con lui, con Altman”. Erano i miei primi pensieri a voce alta su una professione ancora a venire, ero convinta che non avrebbero mai preso forma. Quando Bob mi chiamò (mi aveva vista in palcoscenico in Zio Vanja di Anton Čechov), sollevai la cornetta e sentii “This is Bob Altman” (imita la sua voce forte e profonda, ndr). Pensai fosse il solito scherzo stupido di un amico: tutti sapevano che volevo lavorare con lui… Fu straordinario, e quel film segnò senza ombra di dubbio la mia intera vita professionale» (ad Alessandra Venezia). «Todd Haynes, giovane regista radicale e indipendente, è intrigato dal clamore che comincia a circondare questa nuova attrice. […] Haynes ricorda: “Raramente avevo visto interpretazioni più coraggiose della sua in America oggi. Quando Julianne ha fatto il provino per il mio film Safe, è stata per me una rivelazione. Non ho mai vissuto nulla di così intenso nella mia carriera: aveva capito immediatamente tutto del personaggio”. Dei suoi inizi, Julianne dice oggi: “Quella congiuntura fece sì che improvvisamente si concretizzasse davanti a me la possibilità di avere una carriera cinematografica. Oggi è molto diverso: anche il cinema indie deve fare soldi, fatto che costituisce un’equazione insostenibile. Molti giovani rimpiangono di essersi persi quel periodo di incredibile libertà artistica che ha davvero plasmato il mio sguardo sulla carriera: potevo fare dei film solo per me, e altri per guadagnarmi da vivere”» (Cohen). «In breve impone il suo fascino sofisticato, la sua recitazione nervosa e potente in titoli di grande valore, […] dal toccante Safe (1995) di T. Haynes a Il grande Lebowski (1998) di J. Coen. Due memorabili interpretazioni in Boogie Nights (1997) e Magnolia (1999), entrambi diretti da P.T. Anderson, e quella dell’agente Clarice Sterling nel meno memorabile Hannibal (2001) di R. Scott la consacrano come una delle migliori attrici della sua generazione. Nel 2002 vince la Coppa Volpi a Venezia per la sua eccezionale interpretazione di Lontano dal Paradiso di T. Haynes, dove indossa i panni di un’elegante casalinga americana degli anni ’50, emarginata dal suo ambiente perché attratta da un giardiniere di colore, in un dichiarato omaggio ai toni e alle atmosfere del mélo di D. Sirk. Nel 2002 interpreta ancora una volta il ruolo di una casalinga che, frustrata dal matrimonio e dalla maternità, decide coraggiosamente di abbandonare i famigliari per rifarsi una vita in The Hours di S. Daldry, mentre nel 2004 affianca P. Brosnan nella commedia romantica Laws of Attraction - Matrimonio in appello di P. Howitt» (Gianni Canova). «Spesso svestita, non sarà mai etichettata come bomba sexy come è accaduto a Sharon Stone e Kim Basinger: […] è riuscita a fare in modo che il suo corpo non diventasse mai un oggetto sessuale, ma soltanto uno strumento di lavoro. In un certo senso, la bella rossa si espone maggiormente accettando ruoli rischiosi di donne fragili, ferite, complesse, in preda alla malattia (Still Alice, sull’Alzheimer), soffocate dalle convenzioni (Lontano dal Paradiso) o vittime della solitudine celata dietro le apparenze, come nel primo film di Tom Ford, A Single Man: qui incarna una bellezza sfiorente che dissimula l’amore senza speranza per un amico gay dietro il fumo di sigarette viola, i litri di lacca del suo impeccabile chignon anni ’60 e uno spesso strato di mascara che non vuole rovinare versando lacrime inutili. La vera nudità è quella dei sentimenti, ovviamente» (Cohen). «Con Still Alice, in cui era una professoressa universitaria con precoci sintomi di Alzheimer, la Moore si è guadagnata un Oscar (dopo le quattro candidature per Boogie Nights, Fine di una storia, Lontano dal Paradiso e The Hours) e un Golden Globe. […] Ha lavorato anche in Hunger Games, nel ruolo della leader della rivoluzione Alma Coin. Perché ha accettato di lavorare in un blockbuster? “Perché sono madre di due figli adolescenti che un giorno sono venuti a casa coi libri di Suzanne Collins e me ne hanno parlato con entusiasmo. E mi è piaciuta la metafora politica su una ribellione”. Ma lei è ritenuta da molti la “madrina” del cinema indipendente… “E continuerò a esserlo, spero. Per ogni Hunger Games ci sono dieci Still Alice o film con Todd Haynes o con mio marito”» (Silvia Bizio). A partire dal 1997 infatti la Moore è stata diretta quattro volte da Bart Freundlich, che nel 2003 è diventato suo marito: l’ultima in Dopo il matrimonio (2019), rifacimento dell’omonima pellicola danese diretta da Susanne Bier (2006), con i due protagonisti volti al femminile. «La prospettiva “al femminile” ha rimesso tutto in moto. Il personaggio interpretato da Michelle Williams, Isabel, gestisce un orfanotrofio nel Sud dell’India e deve viaggiare fino a New York per convincere la benefattrice Theresa, il mio ruolo, a non tagliare i fondi. Theresa ha un ufficio di lusso a Manhattan, è una businesswoman che riesce a mandare avanti una famiglia. Ma nasconde qualcosa. […] Theresa mi rispecchia molto. Mi ritengo anch’io una donna ambiziosa che ha voluto combinare carriera e famiglia». Tra le sue ultime interpretazioni quella in The Glorias di Julie Taymor (2020) «biografia dell’attivista Gloria Steinem, […] portavoce del movimento femminista degli anni ’70. […] “Gloria è una delle mie eroine, la sua vicenda è straordinaria. Il lato che più mi affascinava del progetto era la profonda ricerca su di lei e sulle donne che la circondavano: The Glorias è la storia personale della Steinem ma pure la storia del movimento femminista di quegli anni”» (Venezia). Prossimamente dovrebbe apparire in May December, «il nuovo film di Todd Haynes (con il quale ha lavorato altre quattro volte), insieme a Natalie Portman. La Portman interpreterà il ruolo di Elizabeth, un’attrice hollywoodiana che si mette in viaggio verso le coste del Maine per conoscere meglio la storia di Gracie (Julianne Moore), la donna di cui riveste i panni nel suo film. Gracie ha destato un certo scandalo, anni prima, sposando un uomo più giovane di lei di 23 anni (da qui il riferimento del titolo, un’espressione americana per indicare una relazione amorosa tra due persone con una grande differenza d’età)» (Barbara Rossi) • Volto di numerose campagne pubblicitarie, tra cui quelle dei gioielli Bulgari, dell’intimo Triumph, dei cosmetici L’Oréal e dei prodotti per capelli Revlon. «Una delle star più fotografate e ammirate sui red carpet, con copertine sui giornali di moda e inviti alle sfilate, mentre gli stilisti più prestigiosi si battono per farle indossare le loro creazioni» (Venezia) • «Ha scritto una serie di libri illustrati, Freckleface Strawberry, rigorosamente per bambini. Cosa l’affascina della letteratura per l’infanzia? “Sapere che le mie storie si trovano sui banchi di scuola per combattere il bullismo è un onore. Ne hanno tratto persino un musical. La protagonista sono io da piccola. Ho iniziato a scrivere il primo volume con in testa l’immagine dei miei figli immersi nella lettura. Ho pensato a loro e a tutti quelli che non accettano i propri difetti fisici”». «Quando ero piccola mi chiamavano Freckleface Strawberry, fragola lentigginosa. Non mi piacevo. A dire la verità, le lentiggini non mi piacciono neanche oggi, ma la vita ti insegna a cambiare prospettiva. Vivo una vita bellissima e ho un lavoro che adoro» (a Stefania Ulivi) • Divorziata dall’attore e regista teatrale John Gould Rubin (classe 1951), è sposata in seconde nozze col regista cinematografico Bart Freundlich (classe 1970), da cui ha avuto due figli, un maschio e una femmina, entrambi nati prima del matrimonio. «Ci siamo conosciuti sul set di I segreti del cuore. Lui regista, io attrice. Sintonia totale. Tant’è vero che, non appena atterra un copione in casa, ancora oggi ci guardiamo e diciamo esattamente le stesse cose». «I due insieme hanno fondato una casa di produzione. Curiosamente si chiama 40/60. “Perché in alcuni progetti sarà Julianne a guidare, mentre in altri sarà io. Siamo alternativamente sia la quota 40 che la 60”, racconta Freundlich, convinto anche che prima o poi sua moglie vorrà sperimentarsi anche come regista. “La parità assoluta, 50/50, non esiste. Ci si alterna: è il segreto di ogni relazione, lavorativa come sentimentale”. […] “A nessuno dovrebbe essere detto come comportarsi”, interviene Moore, “specie nell’ambito delle relazioni sentimentali. Se vuoi raccogliere le calze di tuo marito da terra, lo fai. Dopotutto, il matrimonio è una partnership, ed è bello fare le cose l’uno per l’altro”» (Simona Siri) • «Sontuosamente bella, non ha fatto ricorso ad alcun aiuto chirurgico per nascondere i segni del tempo» (Cohen). «Splendido sorriso, pelle alabastro, carisma e classe da vendere» (Bizio). «Lentigginosa, la pelle chiara come la luna, i capelli ramati» (Venezia). «È proprio rossa come sembra, ma ancora più minuta di come compare sullo schermo, e non ci si può stupire che L’Oréal Paris se la sia presa come testimonial: sembra una porcellana Biscuit ma viva, vivissima, con dentro un agile cervello» (Sara Del Corona) • «Dice di non credere in Dio, ed è profondamente convinta che l’esigenza di dare un senso alle cose risponda al nostro bisogno di controllare un mondo caotico. “Quando è morta mia madre, […] ho capito che l’aldilà non esiste. È solo un’invenzione come tante, che ci aiuta a dare alle cose un ordine e una logica per comprenderle meglio. Altrimenti esisterebbe solo il caos”» (Stephen Galloway) • Aperta sostenitrice del Partito democratico, ambasciatrice di Save the Children, sostenitrice delle battaglie per i diritti civili soprattutto a favore di donne e omosessuali, contraria a un’eccessiva diffusione di armi tra i privati. «La mia lotta inizia dal dialogo. Ai miei figli non ho insegnato il femminismo, ma l’umanismo» • «Diva priva di divismo, capace di camminare sulla linea sottile tra film d’autore e grande pubblico, adorata dagli uomini quanto dalle donne, che in lei vedono al tempo stesso la star e la donna comune» (Siri) • «Ha una capacità unica di essere “tosta” e vulnerabile al tempo stesso. Come attrice, mette nel film tutta se stessa, lavorando sui dettagli abbastanza da essere credibile, ma mai troppo da perdere la spontaneità» (Scott McGehee e David Siegel) • «L’attrice incarna con un impegno totale questo nuovo soffio del cinema americano, senza tuttavia girare le spalle a progetti più commerciali. Questo è il suo marchio distintivo e uno dei segreti della sua sbalorditiva produttività: non si concentra solo sui ruoli da protagonista, assicurandosi così una presenza quasi costante sugli schermi. Sa dire di sì a David Cronenberg e a Steven Spielberg, a Paul Thomas Anderson come a Ridley Scott. […] “Non ho mai avuto una visione globale: la maggior parte delle mie scelte è motivata da ciò che ho appena terminato di fare. Se ho appena recitato in un piccolo film indipendente, dove mi sono congelata durante le riprese, allora accetterò volentieri le comodità di una grande produzione. Al contrario, se ho appena terminato una pellicola commerciale, in quella seguente ho voglia di esprimermi in modo più intimo e sincero”» (Cohen). «Come sceglie i personaggi? “Quando i progetti mi incuriosiscono e mi stimolano. La fortuna di questo mestiere è cambiare, passare magari da un film a grosso budget a uno indipendente”. Le piace quando i registi le stravolgono l’aspetto? “Tantissimo: sono sempre io la prima a chiedere che mi cambino il colore o il taglio dei capelli”» (Siri). «Non ho mai vissuto i tormenti spirituali e affettivi di tante donne da me ritratte sullo schermo. Non bisogna confondere la finzione con la vita reale. Non porto mai i personaggi a casa: fuori del cinema conduco una vita normalissima. […] Rispetto a quello che viviamo, la recitazione è come una vacanza. Ti lasci andare a un’altra dimensione, a un altro tempo, e fai finta di non essere te stessa. Io so bene chi sono, e posso permettermi di divagare» • «Un vero artista pone quesiti senza affermare verità assolute. È così che io affronto la vita. Con convinto relativismo» • «Dire a una donna che sta “invecchiando bene” è un’espressione profondamente sessista. Esiste un modo sgraziato di invecchiare? Non abbiamo nessuna opzione. Nessuno ha la possibilità di non invecchiare, quindi non è una cosa positiva o negativa. È solo la vita. […] Da bambini Ci viene raccontata questa storia che si continua a crescere con la scuola, forse andiamo al college e poi, dopo la scuola, la crescita è completa. Ma abbiamo ancora tutta la vita davanti da vivere» • «L’industria dello spettacolo è pura astrattezza. […] Prima o poi le carriere evaporano. Del mestiere dell’attore, alla fine, resta il bene e il male che ti sei fatto. Il bene e il male che hai raccolto in un teatro di posa. E poi la vita riprende ad andare. […] Non penso più al contorno. Ai riflettori. Preferisco recitare ed essere presente a me stessa. Ogni giorno su un set posso imparare un accento, una lingua che non conosco, un comportamento. Ma l’orario di lavoro, quello vero, me lo ha sempre dato la famiglia. Mio marito e i miei figli sono il motore di tutto» • «E pensare che ho fatto tutto al contrario! Ho cominciato a essere conosciuta dopo i 33 anni, ho avuto il mio primo figlio a 37, mio marito ha nove anni meno di me e più invecchio più lavoro».