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 2021  dicembre 03 Venerdì calendario

Biografia di Costantino Rocca

Costantino Rocca, nato a Bergamo il 4 dicembre 1956 (65 anni). Golfista. Annoverato dal Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) tra le «100 leggende dello sport italiano». «Ha fatto grande il golf italiano a metà degli anni ’90, lottando con i migliori, battendoli più di una volta, diventando il primo azzurro a vincere a Wentworth, nel 1996, il primo a giocare la Ryder Cup, per tre volte, e il primo a sfiorare la vittoria in un major» (Federico Rossini). «Rigiocherei il play-off del British Open, ma quel secondo posto ancora mi emoziona» • «La storia di Rocca, un atleta dal fisico poderoso e dalla grande carica di simpatia, sembra quasi una favola: da poverissimo a miliardario» (Giovanni Capponi). «Figlio di un cavatore di quarzo e di una contadina, […] Rocca, che pure è nato a 200 metri dal cancello nobile del Golf Club L’Albenza, sul green è arrivato seguendo una traiettoria […] nobilmente proletaria» (Stefano Semeraro). «Ho iniziato a fare il caddie a 7 anni, e a giocare di nascosto, visto che era proibito ai minorenni» (a Luigi Bolognini). Altra sua passione era il calcio: «Ero un buon mediano, e a 13 anni feci un provino con l’Atalanta. Ma mio padre mi voleva in fabbrica. È un lavoro più sicuro, diceva. Aveva gli stessi dubbi sul golf: non è il tuo ambiente, pensava. Poi non ha più perso una mia gara di golf in televisione» (a Marco Sanfilippo). «Proprio al circolo della città, il Golf Club L’Albenza, muove i primi passi, come caddie prima e come caddie master poi, vincendo nel 1978 […] l’Open d’Italia per caddie. Le doti ci sono, ma il percorso per diventare un campione è lento, e Rocca, che cresce nel mito di Tom Watson e nel frattempo per guadagnarsi da vivere fa l’operaio in una fabbrica di Almenno che produce polistirolo, deve attendere i 24 anni per infine guadagnarsi la palma di professionista» (Nicola Pucci). «Alle soglie degli anni Ottanta ecco la scintilla, l’incontro che gli cambia la vita, quello con Tom Linskey, l’istruttore australiano della Scuola federale di golf, che lo invita a darci dentro, a scegliersi come mestiere proprio quello che per Costantino è ancora allora solo qualcosa di più che un divertimento. Un po’ di lezioni per racimolare denaro a sufficienza, nel 1981 il matrimonio con Antonella e, nel 1983, il primo, timido ingresso nello European Professional Tour. Chiude la stagione al centotrentaduesimo posto» (Piergiorgio Alinari). «Per vivere gli sarebbe bastato dar lezione ai ricchi ai quali anni prima portava la sacca, ma […] decise per l’agonismo, e cominciò a girovagare per l’Europa inseguendo premi e vittorie. Anni di magra, di delusioni, poi, piano piano, la rincorsa verso i primi posti, e il conto in banca che comincia, finalmente, a lievitare» (Marco Dal Fior). «L’esplosione nel ’93, anno nel quale vinse l’Open de Lyon e il Peugeot Open de France e, primo italiano nella storia, si guadagna un posto nella squadra europea di Ryder Cup [prestigioso torneo biennale che contrappone una selezione di giocatori statunitensi e una di giocatori europei – ndr], disputata quell’anno al The Belfry. Bisogna però aspettare due anni per vederlo giocare il torneo che rimane scolpito nella sua galleria, il British Open a St. Andrews, nel tempio del gioco. Un capolavoro incompiuto, è vero, perso al play-off contro il talento tormentato di John Daly, ma decorato da uno di quei colpi che fanno sorridere la memoria, che illuminano i taccuini degli appassionati: un putt alla 18a buca, necessario, infinito – 65 piedi, oltre 20 metri – e perfetto, per agguantare l’avversario e costringerlo a fatiche e ansie supplementari» (Semeraro). «Rocca si sdraia a terra battendo i pugni sul tappeto verde dell‘Old Course e scoppiando in un pianto strozzato, ebbro di felicità, incredulo per il colpo eseguito, che gli vale il primo posto a pari merito con Daly e la possibilità di giocarsi la Claret Jug alle quattro buche di play-off. È vero, non andrà a finir bene la favola dell’italiano che tentò la scalata all’Open Championship. Daly chiuderà le quattro buche in 15 colpi, ben 4 meno del rivale, negando a Rocca l’ulteriore gioia di un trionfo inatteso. Ma quel putt da lontanissimo e quell’esplosione di felicità ancor oggi alberga […] nei ricordi […] di tutti gli appassionati di golf» (Pucci). «Nello stesso anno è ancora in Ryder Cup, a Oak Hill, e anche grazie alle sue prestazioni la Coppa è europea; nel ’96 vince il Volvo Pga Championship, davanti a Nick Faldo, conquistando uno dei trofei più ambiti del Tour, e la carta che gli consentirà per dieci anni di gareggiare nel circuito europeo. Il ’97 è un altro anno da incorniciare. Prima vince il Canon European Masters a Crans-Montana, poi diventa il re della Ryder Cup a Valderrama, in Spagna, quando nel singolo batte 4-2 un tipo che si chiama Tiger Woods, il numero 1 del mondo. Due volte 4° e una volta 6° nell’Ordine di merito europeo – la classifica dei guadagni –, una volta 18° in quello mondiale, Rocca ha anche un ricco palmarès italiano, che conta due vittorie all’Omnium e un titolo Pgai. Nel ’99 ha agguantato un altro titolo di prestigio, il West of Ireland» (Semeraro). «Come nacque, nel 2008, l’idea dell’Academy? “Avevo trovato delle persone in Svizzera. Ho conosciuto il presidente, e altri miei amici mi hanno chiesto se volevo fare un’accademia in Svizzera, a Losone, e dopo due anni l’avevo fatta anche in Puglia, ad Acaya (comune di Vernole, provincia di Lecce, ndr), però purtroppo giocavo ancora, e non avevo molto tempo per seguire. Forse è questa la causa per cui poi abbiamo un po’ lasciato andare. Però è stata una bellissima esperienza. Speriamo di riaverne un’altra molto presto”. A proposito di giocare, si sente nella voce e in tante cose questo amore infinito che ha portato fino al Senior Tour. Un’avventura senza fine ancora oggi. “Il golf ti dà questa opportunità, se hai la voglia e la volontà di lottare ancora per qualcosa di importante. Per me lo è: mi piace il mio mestiere, se riesco a giocare fa molto piacere a me e alla mia salute”» (Rossini) • «Si può dire che sia un piccolo rimpianto quello di non aver mai vinto l’Open d’Italia in 33 tentativi? “Purtroppo sì. C’è un po’ di rammarico, ma nessuno è profeta in patria. Prendiamo questa scusa (ride). Ci ho sempre messo un grande impegno, però sei sempre un po’ più sotto pressione. Ce l’hai anche negli altri tornei, però in quelli di casa tua è di più. C’è sempre stato qualcosina, o una giornata, che non mi girava bene. Però va bene: bisogna accettare quello che si è fatto sul campo, e basta”» (Rossini). Rocca disputò l’ultimo nel 2015, a Monza, venendo salutato dal pubblico con una straordinaria e commossa ovazione • Sposato con Antonella Mazzoleni, due figli: Chiara e Francesco • Tifoso dell’Atalanta • Appassionato di pesca • «Qui in Italia lo conoscono solo i suoi compaesani di Almenno San Bartolomeo, in quel di Bergamo, e il popolo dei cultori del golf, ma all’estero, in Inghilterra e negli Stati Uniti, la gente lo ferma per strada chiedendogli l’autografo. Non è profeta in patria, e la cosa gli dà parecchio fastidio» (Carlo Coscia). «Rocca, “la Roccia”, uomo saggio e navigato che ha saputo in più d’una occasione uscire dal rough della propria vita, lasciarsi alle spalle difficoltà e guardare dritto dritto alla bandiera» (Alinari) • «Rimasto a lungo nei primi 30 del mondo, ha incrociato due generazioni: quella di Severiano “Seve” Ballesteros e quella di Tiger Woods, due leggende che hanno influenzato enormemente questo sport» (Rossini). «Il primo giocatore che ho ammirato è stato Tom Watson: lui è stato il mio grande idolo – dice –. Era un grande, e ricordo la prima volta che ho giocato con lui addirittura al British Open. Il pensiero di partire assieme davanti a quel pubblico mi metteva i brividi. Dopo il tee shot [il primo colpo – ndr] (andato bene) ci incamminiamo, e lui mi dice: “So che hai guadagnato bene quest’anno…”. Segno che lui, uno dei più grandi al mondo, mi seguiva e conosceva» (a Sauro Legramandi). «Tra i tanti con i quali ha giocato, qual è il campione che più di tutti la ha impressionata? “Sono cambiate molte ère. Da Nicklaus, Faldo, Severiano fino a Tiger, che rimarrà il più impresso, per il diverso momento del golf. Un golf dove preparazione fisica e tecnologia (come i software per l’analisi dello swing) hanno preso il sopravvento rispetto a prima. Anche con degli svantaggi, però: tirare forte crea problemi alla schiena, così come la troppa palestra può sovraccaricare il corpo. I guai di Tiger lo dimostrano. Prima un giocatore durava 15-20 anni: adesso è più dura, per l’usura che si crea”. Un aneddoto simpatico di quegli anni sul tour che non dimenticherà mai? “Beh, mi ricordo un giro di allenamento con Seve Ballesteros. Scommettemmo una bottiglia di vino, vinsi e Seve ci rimase così male che non mi pagò la bevuta. Ma fui molto felice di pagarmela da solo: dal grande Severiano ho imparato davvero tanto”» (Francesco Gori) • Da sempre grande estimatore (ricambiato) di Francesco Molinari (classe 1982), primo golfista italiano ad aver vinto un torneo major, riuscendo a conquistare nel 2018 quel British Open che nel 1995 era sfuggito a Rocca nello spareggio finale con Daly. «Francesco è il giocatore italiano che più mi assomiglia. Meno estroso di altri, costante, metodico come me» • «Stiamo migliorando nel portare i giocatori nel tour, però siamo sempre un Paese un po’ distaccato ancora dal golf. Non siamo ancora riusciti a capire che il golf non è uno sport che possono praticare solo certe persone, o che sia solo per vecchi e facoltosi. Invece è un gesto atletico molto delicato, molto difficile da fare e impostare. […] Non abbiamo ancora la mentalità di questo sport. Lo riteniamo ancora uno sport che non fa parte della nostra ideologia di italiani. Però secondo me c’è parecchia gente che vuole avvicinarsi al nostro sport. Avere dei campi pratica con tre buche pubbliche sarebbe una cosa importante, perché uno si avvicina, vede se gli piace o non gli piace. Se non hai la possibilità di avvicinarti, diventa molto difficile. […] Secondo la mia opinione, il golf potrebbe fare molto bene anche al turismo, ai posti di lavoro e queste cose. […] Magari anche il Sud Italia, costruendo campi da golf, potrebbe diventare come il Sud della Spagna» • «Non mi sono mai sentito un fuoriclasse, e non mi piace atteggiarmi a numero uno». «Essere ricordati ancora oggi è bellissimo. Sto ritirando più premi alla carriera ora di quando vincevo. Forse in Italia si scoprono troppo tardi i risultati ottenuti da determinate persone, in questo caso sportivi. Sono un uomo fortunato, che nella vita è riuscito a fare quello che più gli piaceva. Divertendosi» (a Federico Colosimo). «Il golf professionistico per me è sempre stato soprattutto un lavoro. Il divertimento vero è giocare con gli amici, nella natura, quando sai che, non importa se vinci o se perdi, alla fine ti attende una bella mangiata. Anche se, alla fine, è sempre meglio vincere».