16 dicembre 2021
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Biografia di Manny Pacquiao (Emmanuel Dapidran Pacquiao)
Manny Pacquiao (Emmanuel Dapidran Pacquiao), nato a Kibawe (Mindanao, Filippine) il 17 dicembre 1978 (43 anni). Politico. Senatore (dal 2016). Già deputato (2010-2016). Ex pugile (62 vittorie, 8 sconfitte e 2 pareggi). Unico pugile nella storia ad aver vinto almeno un titolo mondiale (complessivamente, dodici) in otto differenti classi di peso (pesi mosca, supergallo, piuma, superpiuma, leggeri, superleggeri, welter e superwelter). «Il pugilato è l’unico mezzo che ho per sostenere la mia famiglia e aiutare coloro che ne hanno bisogno. La politica invece per me è una vocazione» • «La vita di Manny – […] quarto di sei fratelli, famiglia notevolmente al di sotto della soglia di povertà – è la classica storia da film dove il protagonista, sull’orlo del precipizio, trova dentro di sé la forza e la volontà per reagire agli sberloni del destino. […] Manny Pacquiao è nato poverissimo in una cittadina dell’isola di Mindanao, nel Sud delle Filippine» (Claudio Colombo). «L’infanzia, se la vide fare a pezzi, letteralmente, il giorno in cui suo padre volle punirlo dopo l’ennesima disubbidienza. Aveva nove anni e un cagnolino, Manny, al quale era affezionatissimo, come lo sarebbe stato qualsiasi ragazzino di nove anni. Il genitore catturò il cagnolino. Lo uccise. […] Lo fece a pezzi. Per poi cucinarlo. Quindi, mangiarselo» (Paolo Marcacci). «Manny è uno che nasce e cresce in strada. Frequenta le vie di General Santos, nel Sud delle Filippine, teatro di battaglie tra i separatisti islamici e il governo. Da bambino per aiutare la madre fa l’ambulante e vende sigarette. Il suo primo match è per difendere il fratellino aggredito da due teppisti. Ha 10 anni. A 11 i primi allenamenti in palestra» (Emanuela Audisio). «I genitori si separano quando lui ha dodici anni e già da due, precoce nella vocazione che si trasformerà in lavoro, raccoglie qualche soldo combattendo sui marciapiedi contro i coetanei del quartiere. Quando la madre Dionesia lascia la famiglia – il padre Rosalio, incauto, s’è fatto beccare con l’amante –, decide di trasferirsi a Manila» (Colombo). «A Manila cambiò tutto. Emmanuel ci era arrivato senza scarpe, potendo fare al massimo due docce a settimana: non esattamente la vita ideale per un bambino» (Antonio Aloi). «Vendeva fiori, poi cominciò a frequentare una palestra perché gli davano qualcosa da mangiare, e a sedici anni il primo incontro vinto – ko, c’è bisogno di dirlo? – per cento pesos, due dollari» (Massimo Calandri). «Era il 22 gennaio del 1995 quando un ragazzino che aveva compiuto da poco i 16 anni saliva sul ring per la prima volta da professionista, con i suoi sogni e la sua voglia di riscattarsi dopo una infanzia che forse non c’era mai stata. L’avversario era tale Edmund Enting Ignacio, quel ragazzino era Manny Pacquiao» (Luigi Panella). «È il figlio di un reality dove per farsi notare dovevi essere un buon pugile. Se lo inventarono nelle Filippine ben prima degli americani. Inizio anni ’90, si chiamava Blow by Blow, andava in onda in prima serata, e, quando qualcuno rimaneva al tappeto esanime, l’audience veniva titillata furiosamente. Emmanuel “Manny” Pacquiao apparve una sera in diretta nazionale, e il giorno dopo era già una star» (Riccardo Romani). «Ha conquistato la prima cintura nel lontano 1998, quando strappò il titolo Wbc dei pesi mosca al thailandese Chatchai Sasakul. Da allora, la sua strada verso la gloria è stata costellata di successi stratosferici e rivalità memorabili» (Mario Salomone). «La carriera di Manny […] è stata, pugilisticamente parlando, una carriera da mille e una notte. Nelle Filippine lo hanno soprannominato “il pugno nazionale” (pambansang kamao, in cebuano), nel resto del mondo è conosciuto come Pac-Man, l’antenato dei videogiochi. Le sue qualità – mancino naturale, grande mobilità di gambe e tronco, rapidità di pensiero e di pugno – lo hanno proiettato nell’Olimpo attraverso alcune tappe fondamentali, come la trilogia di match disputati contro il messicano Érik Morales, gloria del boxeo tricolor, e i quattro combattuti contro Juan Manuel Márquez, altro mito del pugilato messicano. E […] lunga è la lista di avversari di altissimo profilo da lui regolarmente battuti» (Colombo). «Nessuno voleva dargli una chance negli Usa. Tanto che diventò campione per errore nel 2001. Fu chiamato all’improvviso a sostituire lo sfidante ufficiale al campione dei supergallo, Ledwaba. Arrivò a Las Vegas pochi giorni prima del match e lo sradicò dal trono. Disse: “Nel reality show dovevi essere sempre pronto. Ero abituato a non avere molto preavviso”» (Romani). «È come un dio pagano nelle Filippine. Quando combatte ferma la guerra, come d’incanto: ripongono le armi i ribelli, così come i governativi. E i criminali stoppano le loro attività illecite. Normale, del resto, se il 70 per cento della popolazione non rinuncia a gustarsi in tv le sue imprese» (Ivo Romano). «Nel 2008 la rivista Ring Magazine lo ha insignito della denominazione di miglior pugile al mondo “pound for pound”, ovvero a prescindere dalla categoria di peso. Come avevano avuto l’onore di essere definiti Sugar Ray Robinson e Joe Louis» (Marcacci). «Nell’agosto dello stesso anno la Camera dei rappresentanti del Parlamento filippino promosse una mozione parlamentare che riconobbe Pacquiao come il People’s Champ [“campione del popolo” – ndr]: un esempio sportivo e sociale, sostanzialmente, per tutto il suo popolo. L’occasione per festeggiare il prestigiosissimo riconoscimento arrivò in occasione del dream match contro il magnifico Óscar de la Hoya. Il match, senza alcun titolo in palio, fu una sfida all’ultimo sangue combattuta soltanto per orgoglio e gloria sportiva. Nonostante gli sfavori del pronostico, Manny dominò un match a tratti stilisticamente perfetto. […] Il pugile filippino bombardò al corpo e al viso l’ex pentacampione messicano, che allo scoccare della nona campanella non si rialzò più dal suo sgabello per continuare il match. “È stata la sua velocità. È stata tutta la sua velocità. Riuscivo a vedere i suoi pugni perfettamente, ma era semplicemente troppo rapido”. Una superiorità tecnica riconosciuta dallo sfidante, genuinamente affascinato da quel diavolo di Manny. In seguito lo stesso De la Hoya dichiarerà: “No, now you’re my idol” [“No, adesso tu sei il mio idolo” – ndr]. Con queste parole l’ex campione messicano fece spazio a Pacquiao nell’olimpo dei più grandi. Per questo match il filippino incassò circa 30 milioni di dollari. […] Nel 2011 arrivò anche a essere lo sportivo più pagato al mondo» (Aloi). «A vederlo coperto di cinture, senza guantoni e con le braccia a riposo sembra impossibile che tanta cattiveria sia uscita da lì. […] Anche se non raggiunge il metro e settanta ed è un welter, non un peso massimo, la foga che mette in quei colpi ripetuti e ossessivi, pura energia e niente controllo, ricordano le bordate, più pesanti ma della stessa stirpe, di Mike Tyson o George Foreman o Sonny Liston. […] Ha riacceso la boxe in bilico tra noia e baracconate, perché non è cattivo ma picchia come un cattivo» (Giulia Zonca). «Pochi, nel mondo del pugilato, ridono quanto lui. Alcuni campioni attendono gli incontri con timore. Altri […] non vedono l’ora di vestire i guantoni. Manny appartiene alla seconda categoria. “Me lo si legge in faccia, che è la mia passione. Salgo sul ring e sorrido, perché non sto nella pelle dalla voglia di combattere”» (Kevin Mitchell). «Fino al 2012, ha raccontato, scialacquava denari in mondanità sfrenata e gioco d’azzardo. Poi, la svolta: cresciuto nel solco della dottrina cattolica, ha scoperto l’evangelicalismo grazie a un’apparizione divina avuta durante il sonno» (Colombo). «È stato messo al tappeto da un sogno. Un sogno, come ha dichiarato lui stesso, […] che l’ha costretto a cambiare vita. Basta con le scommesse, il bere, le donne. Pac-Man ha dichiarato perfino di aver rinunciato ai suoi galli da combattimento preferiti. Il motivo? È presto detto. Il campione ha sognato Dio. “Se fossi morto l’anno scorso o due anni fa – ha dichiarato il pugile –, sono sicuro che sarei finiti dritto all’inferno”. La “visione” è arrivata lo scorso novembre [nel 2011 – ndr], nella notte dopo il suo ultimo combattimento con il collega messicano Juan Manuel Márquez. “Mi trovavo in una foresta bellissima – ha raccontato – quando una luce sfavillante mi ha illuminato e ho sentito una voce pronunciare queste parole: ‘Figlio, perché ti allontani da me?’. Mi sono svegliato in lacrime”. Da quel giorno ha cominciato a leggere la Bibbia e dice di aver trovato lì le risposte al significato di quell’evento: “In passato Dio ha parlato al suo popolo attraverso i sogni. Così mi sono convinto del fatto che era davvero giunto il momento di cambiare vita. E comunque non sono cambiato solo perché lo volevo io, ma perché lo ha voluto Dio. Essere cristiani significa riconoscere Cristo come il proprio salvatore. Senza Cristo, non sarei niente”» (Mauro Pianta). «Il seguace evangelicale, per definizione, è “born again”. Infatti il rinato Manny, archiviate lussuria e gola, è diventato un’altra persona, più mite e consapevole: attualmente è il filippino che più spende in attività di beneficenza – leggi generose donazioni alle popolazioni colpite dai ricorrenti tifoni che spazzano le Filippine» (Colombo). Già da qualche anno, tuttavia, Pacquiao si sentiva sedotto dalla politica. «La sua carriera inizia nel 2007, quando, candidandosi nel Sarangani, sua provincia di provenienza, tenta invano di conquistare un seggio nel Parlamento filippino. Impresa che gli riesce tre anni più tardi, nel maggio del 2010, allorché s’impone sul più accreditato Roy Chiongbian» (Giuseppe Pollicelli). Sul quadrato stava però per subire una dura sconfitta. «L’8 dicembre 2012, il messicano Juan Manuel Márquez detto “Dinamita” ha sconvolto lui e il resto del mondo mettendolo ko alla sesta ripresa, con uno dei destri più spettacolari che la boxe avesse visto da anni e anni» (Mitchell). «Uno di quei segnali che i riflessi se ne stanno andando. Un destro alla mascella in controtempo. E lui a terra, faccia in giù, occhi chiusi, quasi morto. La moglie Jinkee che urlava e piangeva, ghiaccio sulla testa del marito, che quando si riprendeva non si ricordava più: chi sono, dove sono? Dato per finito e sfinito, Manny si è ripreso» (Audisio). «Pacquiao […] si è ripreso il titolo Wbo dei welter nell’aprile del 2014 battendo Tim Bradley con un verdetto ribaltato a tavolino; […] ha passeggiato con Chris Algieri, dando l’impressione di aver riconquistato una certa sicurezza sul ring» (Colombo). «Resterà incompiuto, invece, l’assalto a Floyd “Money” Mayweather (Las Vegas, 2 maggio 2015), presunto “match del secolo” da derubricare a flop inguardabile: dodici noiosissime riprese dominate dal pugile americano. Pac-Man, insolitamente remissivo, dimostrò di aver combattuto con un problema alla spalla, ma poco conta ai fini della storia. Contano invece i quasi 100 milioni di dollari incassati come “borsa” per quel solo combattimento, ciliegina su una torta alta un miliardo guadagnata in 22 stagioni di professionismo» (Colombo). Il 12 luglio 2018, peraltro, «nel match contro Matthysse, nel quale ha riconquistato il titolo dei welter, si è permesso il lusso di chiudere prima del limite: non lo faceva dal 2009, quando diede una lezione a Miguel Cotto» (Panella). Ancora il 20 luglio 2019, «sul ring dell’Mgm Grand di Las Vegas, l’ennesimo capolavoro: Keith Thurman, imbattuto, più strutturato fisicamente, più giovane di 10 anni, ha dovuto arrendersi nel mondiale dei welter dopo una battaglia splendida, senza soste» (Panella). Il 21 agosto 2021 «ha tentato un’ultima sfida, a 42 anni e mezzo e dopo due di inattività: lo ha fatto seriamente, senza scegliere forme di esibizione dal sapore patetico per raggranellare pubblicità e quattrini. Contro Yordenis Ugás era in palio il mondiale dei pesi welter Wba. Pacquiao ha perso, il tifo costante del pubblico che gremiva la T-Mobile Arena di Las Vegas non ha influenzato i giudici: sul cartellino di uno 115-113 per il cubano, su quelli degli altri due (più condivisibili) 116-112. Dodici round e solo qualche sprazzo delle veloci serie di un tempo: troppo poco perché anche il carisma di Pacquiao potesse spostare il verdetto. […] Il Pacquiao di qualche anno fa, anche solo un paio – quello capace di irretire Thurman, per intenderci – avrebbe vinto abbastanza nettamente. Ma il tempo non fa sconti, e a Las Vegas ha chiuso il cerchio. […] Ora per Pacquiao inizia il secondo round, quello più difficile» (Panella). Il 20 settembre 2021 Pacquiao, già dal 2016 senatore, «ha annunciato che si candiderà alle elezioni presidenziali del 2022. Il fighter ha accettato la nomina del suo partito Pdp-Laban alla convention nazionale, […] impegnandosi a servire “onestamente il suo popolo, che sta aspettando un cambio radicale di governo”. E ha poi aggiunto: “Per tutta la vita, non mi sono tirato indietro da nessun combattimento. Niente è impossibile se è ordinato da Dio”. […] A luglio, Pacquiao è stato votato come leader del Pdp-Laban, settimane dopo aver sfidato […] il presidente Rodrigo Duterte […] sulla sua posizione sulla Cina e sulla lotta alla corruzione. Il combattente di boxe, un tempo stretto alleato del presidente, aveva affermato che più di 10 miliardi di pesos (circa 169 milioni di euro) in aiuti per la pandemia destinati alle famiglie povere erano stati dispersi» (Fabio Polese). Pochi giorni dopo, il 29 settembre, l’annuncio ufficiale del suo ritiro dal pugilato: «La boxe è sempre stata la mia passione. Mi è stata data l’occasione di rappresentare le Filippine, portare gloria e onore al mio Paese ogni volta che sono salito sul ring. Sono grato per ogni obiettivo raggiunto e per l’opportunità di ispirare i miei fan. È difficile per me accettare che il mio tempo, come pugile, sia finito. Oggi sto annunciando il mio ritiro. Non ho mai pensato al fatto che questo giorno sarebbe arrivato. Nell’appendere i guantoni al chiodo vorrei ringraziare il mondo intero, ma soprattutto i filippini, per aver supportato Manny Pacquiao. Caro pugilato, arrivederci. Grazie per aver cambiato la mia vita quando la mia famiglia era disperata. Ci hai dato speranza, mi hai dato l’opportunità di venir fuori dalla povertà. Grazie a te sono stato capace di ispirare persone in tutto il mondo. Grazie a te mi è stato dato il coraggio per cambiare molte vite. Non dimenticherò mai quello che ho fatto e ottenuto nella mia vita, ma ora ho semplicemente sentito l’ultima campana» • Sposato, cinque figli • Alto 1,66 metri • «Faccia alla Charles Bronson» (Audisio) • «Pacquiao nella sua carriera politica […] ha saputo reinventarsi più volte: dal 2007 a oggi ha attraversato tutto lo spettro politico, andando dal Partito liberale all’Alleanza nazionalista unita (centrodestra) passando per il Partito democratico (nella sigla Pdp-Laban, di centrosinistra), a cui ha fatto ritorno nel 2016, e di cui oggi è presidente» (Alessandro Cappelli). Grande clamore nel 2016 quando, in piena campagna elettorale, definì gli omosessuali «peggiori degli animali» («Si tratta di buon senso. Vedete per caso animali che si accoppiano con esemplari dello stesso sesso? Gli animali sono migliori perché sanno distinguere i maschi dalle femmine»): all’ondata di sdegno seguirono pubbliche scuse • Detentore di un patrimonio variamente stimato tra i 220 e i 375 milioni di dollari. «Nelle Filippine è difficile, per non dire impossibile, che il suo nome non venga fuori, prima o poi, all’interno di un qualsiasi discorso, anche prescindendo dalla boxe. Pacquiao possiede catene di negozi che portano il nome, anzi il soprannome della moglie, Maria Geraldine Jamora, chiamata Jinkee. Nelle sue rivendite si può trovare più o meno di tutto: giocattoli, abbigliamento casual, articoli per turisti, articoli d’elettronica e tanta altra roba. Possiede un impero immobiliare, con edifici i cui locali sono adibiti soprattutto a uso ufficio. Ha quasi cinquecento persone che lavorano per amministrare le sue attività, a cominciare dalle partnership pubblicitarie con aziende del calibro della Nike, della Hennessy e della Hewlett-Packard» (Marcacci) • «È proprietario di una squadra di basket (altra sua grande passione sportiva), gli MP Hotel Warriors, che militano nella Serie A di basket filippino, ed è inoltre membro onorario della squadra Nba dei Boston Celtics. Ha anche recitato in qualche film e partecipato a diversi show televisivi, oltre a incidere un disco capace di scalare le vette musicali filippine fino a diventare disco di platino» (Hank Cignatta) • «Amo le immersioni, a Tuka Beach, sull’isola di Mindanao. Con il fucile sono piuttosto bravo. […] Gioco a basket. Per un pugile è uno sport perfetto: allunga i muscoli, migliora l’equilibrio e il bilanciamento dei piedi» (a Raffaele Panizza) • «Uno dei più grandi pugili della storia. […] Sulla sua vita è stato girato un film, è protagonista di una serie di videogiochi e nel 2009 la rivista Time lo ha inserito nella lista delle persone più influenti del pianeta» (Danilo Taino). «Nella storia del pugilato moderno non era mai esistito un campione capace di partire dai pesi mosca per imporre la sua legge in tutto il pentagramma delle categorie, e ce ne sono stati pochissimi capaci di combattere quasi senza guardia, capaci di mulinare le braccia a distanza come fionde e arrivare al bersaglio con la stessa potenza in entrambe le braccia» (Fausto Narducci). «Sono stato il promotore di Muhammad Ali, Sugar Ray Leonard, Marvin Hagler; di grandi campioni, ne ho conosciuti tanti. Però Manny Pacquiao è il miglior pugile che io abbia mai visto» (Bob Arum) • «Sono grato di aver vissuto così: anche se ho milioni di dollari, so cosa provano le persone povere. Anche se fossi l’uomo più ricco della Terra, il mio cuore non cambierebbe. Ecco perché voglio fare politica: per essere un esempio di onestà per la gente, per le Filippine».