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 2021  dicembre 24 Venerdì calendario

Biografia di Angelo Stazzi

Angelo Stazzi, nato a Roma il 25 dicembre 1945 (76 anni). Ex infermiere. Condannato all’ergastolo per aver ucciso, con dosi massicce di insulina e psicofarmaci, sette anziani ricoverati in una casa di riposo di Tivoli, alle porte della capitale. Condannato anche a ventiquattro anni di carcere per l’omicidio volontario di Maria Teresa Dell’Unto, sua ex collega e sua amante • «L’Angelo della Morte» • «Il serial killer delle cliniche» • «Le sue mani decidevano se recidere, o meno, il filo labile della vita. Il suo era un animo crudele e narcisistico, al punto di non aver meritato la concessione di alcun attenuante» (Cristina Casella, scenacriminis.com, 20/12/2018) • «Un manipolatore, un cinico. Ha ucciso anche il cagnolino di una paziente» (Angelo Camuso, l’Unità, 29/11/2011) • «Lucido, metodico, spietato. Ha ucciso, secondo l’accusa, per il gusto di uccidere. Forse spinto da un delirio di onnipotenza se, come si evince dalle intercettazioni, era convinto di essere un “medico mancato, ne so molto più io dei dottori” e si sentiva “vicino a Dio”» (Grazia Longo, Stampa, 29/11/2011).
Titoli di testa «Se ti chiami Angelo e sei venuto al mondo il giorno di Natale, pensi che il destino abbia scommesso su di te. Ma se hanno ragione le Procure di Tivoli e Roma e non sono un abbaglio le consulenze, le prove forensi, logiche e documentali raccolte dagli uomini della Squadra Mobile di Roma, in quel nome e in quella data di nascita il destino sembra abbia scritto la sua nemesi» (Carlo Bonini, la Repubblica, 18/5/2020).
Origini Tutto comincia nel paese di Montelibretti, 5 mila anime, a una trentina di chilometri da Roma. È il 25 marzo 2001. Angelo è un uomo dall’aspetto tranquillo: fisico robusto, capelli radi, sguardo un po’ spento. «A vederlo, lo diresti un uomo mansueto, remissivo. Una faccia rassicurante. Dei modi premurosi» (Bonini). È sposato, con due figlie. Per ventisei anni, dal 1970 al 1996, ha lavorato al Policlinico Gemelli come generico, il rango più basso per un infermiere. «Non c’è reparto che i suoi zoccoli non abbiano attraversato. Ha cambiato migliaia di flebo e pappagalli. Ha visto nascere e morire. Ha assistito chirurghi di chiara fama in sala operatoria» (Bonini). «Ho assistito anche papa Wojtyla, quando ci fu l’attentato», assicura lui. «Un tipo a posto, dicono i più. “Un traffichino”, sostiene oggi, con il senno di poi, qualcun altro che ancora lavora in ospedale. Con un’inclinazione naturale all’avidità. Frequenta un concessionario non lontano dal Policlinico dove, pare, arrotondi lo stipendio. E parla spesso dei soldi che non ha con la stessa passione (o ossessione) che dimostra per le donne che dice di frequentare con compiaciuta promiscuità» (Bonini). Da qualche anno lavora in proprio come infermiere professionale. «Facevo politica allora, sapete? Al mio paese, Montelibretti. Prima ero in una lista civica, poi assessore con Forza Italia» (ad Anna Maria Liguori, la Repubblica, 19/5/2010). «Del suo passato al Gemelli trascina solo un fardello, di cui non sa come liberarsi. È una donna di 58 anni, infermiera come lui, che di nome fa Maria Teresa Dell’Unto. Si sono conosciuti in corsia. Hanno avuto una lunga relazione “impossibile” (Maria Teresa è stata a lungo sposata, prima di rimanere vedova). E come già gli è accaduto e come ancora gli accadrà con le sue donne, Angelo munge Maria Teresa dei suoi risparmi. Nel 2000, l’ha convinta a garantire per lui rate per 14 milioni e mezzo di lire necessarie ad acquistare la cucina della casa di Montelibretti, in cui lui vive con la moglie. E in quella cucina, il 25 marzo del 2001, mentre la moglie è fuori casa, la attira e la uccide» (Bonini).
Indagini Il caso Maria Teresa Dell’Unto rimane insoluto fino al 29 ottobre del 2009. Angelo è sospettato di averla uccisa già nel 2005, ma un gip ritiene che le prove a suo carico non siano sufficienti. La svolta arriva grazie alla tenacia del procuratore aggiunto di Roma Pietro Saviotti e del capo della Mobile Vittorio Rizzi, che trovano prove schiaccianti: i tabulati telefonici del giorno dell’omicidio; la fede di Maria Teresa sfilata dal suo anulare e infilata in quello di un nuovo amore di Angelo; l’orologio di Maria Teresa al polso della sua nuova compagna; l´uso del bancomat della vittima nei giorni successivi alla sua morte; la messa in scena di telegrammi a firma Maria Teresa spediti da Torino per simulare una fuga.
Intercettazioni Angelo non può saperlo ma per un anno, dal 2008 al 2009, i suoi telefoni sono ascoltati. «Dopo sette anni di buco, gli investigatori lo sorprendono in una nuova vita. Angelo è diventato vedovo (la moglie è stata stroncata da un tumore), e non deve più nascondere la sua passione per le donne. Convive con una rumena di mezza età con cui ha trovato una nuova casa sempre a Montelibretti, mentre ha almeno un´altra relazione stabile con un´ucraina cui non fa regali, ma chiede spesso prestiti. Soprattutto – come accerta una perizia psichiatrica disposta dalla Procura di Roma – ha conservato e persino affinato le sue capacità manipolatorie. Nel sentirlo discutere con le sue donne e i suoi amici, gli investigatori lo sorprendono bugiardo anche sul superfluo. Smonta e rimonta la realtà popolandola di individui che è convinto possa muovere come burattini. Ha trovato da tempo un lavoro fisso tra Guidonia e Sant’Angelo, come infermiere professionale nella casa di riposo “Villa Alex”. Un edificio di tre piani circondato da un grande giardino e una piscina. Venti posti letto, camere doppie e singole, un ambulatorio, una grande sala da pranzo con camino, un cuoco, un sacerdote e venti ospiti. E qui si è fatto benvolere. Apprezzare» (Bonini).
Arresto Il 28 ottobre 2009 Angelo viene arrestato con l’accusa di omicidio. «È vero» confessa, nel carcere di Regina Coeli. «Maria Teresa l´ho uccisa io».«Ma quel che rileva è come confessa. Perché il modo dice forse qualcosa di lui. Indica agli investigatori un terreno nella zona di Aguillara, sulle rive del lago di Bracciano, dove sostiene di averla sepolta. “Ci eravamo appartati per fare l’amore. Avevo deciso di ucciderla. Prima l’ho accoltellata e quindi l’ho finita con un colpo di badile”. È una frottola. Anche se ben sceneggiata. Quando da quel campo che Angelo ha indicato e la polizia ara per un giorno intero cominciano ad emergere delle ossa, si lascia andare a un pianto inconsolabile. Peccato sia solo la carcassa di una pecora. Lui, allora, sprofonda per settimane in un lungo silenzio e alla fine – a dicembre 2009 - si decide. “L´ho uccisa nella mia casa di Montelibretti. Abbiamo litigato perché lei voleva raccontare a tutti della nostra storia. L´ho colpita con uno schiaffo. Lei ha battuto la testa ed è morta. Ho sepolto il corpo sotto il pollaio”. Il pollaio di Montelibretti restituisce le povere spoglie di Maria Teresa. E i guai di Angelo cominciano» (Bonino).
Coincidenze A Villa Alex, la casa di risposo tra Guidonia e Sant’Angelo, è addetto alla farmacia e alla somministrazione dei farmaci agli ospiti. Gli toccano in sorte sette vecchietti, cinque donne e due uomini, tra i 78 e i 92 anni, alcuni malati di demenza senile, altri minati dall’Alzheimer. E agli investigatori non sembra un caso che nessuno di loro gli sia sopravvissuto.
Accuse La Procura sostiene che li abbia uccisi con overdosi di insulina, capaci di provocare in corpi provati dal tempo e dalle sue malattie, repentini stati comatosi. Di sicuro, in almeno due casi, decide di accompagnare le sue vittime fino alla fine. «Fulminati dalle overdosi, i "vecchietti" vengono ricoverati d´urgenza negli ospedali del circondario. Lui (che non sa di essere intercettato) chiama le rianimazioni fingendosi un medico del "Gemelli" che vuole avere notizie dei suoi pazienti. Ignari, i suoi interlocutori lo mettono al corrente di come la vita lotti con la morte. Di quanto manchi alla fine. Lui allora si attacca al telefono. Prepara casse e funerale. 50 euro per cadavere. Ed è sempre di turno per la "vestizione”» (Bonini). È un fatto che, durante una perquisizione nella sua casa di Montelibretti, all’interno di una vetrinetta, vengono trovati misuratori del livello di insulina, aghi, lacci emostatici. E che nessuno dei pazienti di Angelo soffriva di diabete.
Ansia «Era da prima dell’arresto che, agli occhi degli investigatori, alcuni dubbi sul comportamento di Stazzi sul posto di lavoro si erano dapprima trasformati in sospetti e infine in ansia vera: “Se non lo fermiamo, quanti ne ucciderà?”» (Fabrizio Peronaci, Corriere della Sera, 19/05/2010).
Movente «“L’assenza di un movente - osserva il capo della mobile, Vittorio Rizzi - rende ancora più inquietanti i delitti”. Ad insospettire gli investigatori - ma anche il personale della Casa di riposo che, intercettato, rilevava l’eccessivo numero di decessi - è stata innanzitutto la causa della morte. Forte calo ipoglicemico paragonabile solo a chi soffre di una forma di cancro al pancreas, dopo un momentaneo e improvviso stato di sonnolenza. Un anziano si è addormentato mentre pranzava, un altro a messa. Poi lo stato comatoso - in un caso anche di due mesi - e per quelle povere vite non c’era più nulla da fare. Dopo alcuni decessi, un’anziana ricoverata in coma all’ospedale è stata sottoposta agli esami del sangue. L’esito ha confermato i dubbi: c’era insulina in dosi 50 volte superiori al necessario. “E comunque non aveva bisogno - dice la figlia di Caterina C. - Mia madre non soffriva di diabete, non aveva bisogno di insulina. Quell’infermiere ci aveva ingannati con i suoi modi gentili. Se è davvero stato lui ad uccidere merita una pena altissima”» (Longo).
Cani «La furia omicida dell’Angelo della Morte non si fermava alle persone: Stazzi ha ucciso anche il cane di una paziente, soprannominata la "poliziotta" perché madre di un investigatore, che secondo l’ uomo turbava la quiete del luogo dove lavorava, somministrando, anche a lui, due grosse siringhe di insulina» (Federica Angeli, la Repubblica, 29/11/2011).
Difesa Gli avvocati di Stazzi, Cristiano Pazienti e Cristiano Conte, dicono che tutto questo «è semplicemente impossibile». «Manifestiamo fermo e deciso dissenso per la diffusione di notizie che appaiono prive di riscontri e non sono passate neanche al vaglio dell’autorità giudiziaria». «Lui, Angelo, è convinto che la realtà, ciò che appare, possa essere raccontato e rimontato in altro modo» (Bonini).
Lacrime «Da alcuni mesi è a Regina Coeli dove, dicono, piange spesso e chiede in continuazione del suo nipotino. “Sta bene? L’importante è che non sappia niente, che non soffra”» (Peronaci).
Requisitoria Il pm Gabriella Fazi è durissima: «Sono certa della natura dolosa degli eventi. Sono certa che dietro tutti questi eventi vi è un’unica mano, quella di Angelo Stazzi. Mai, fino al suo arrivo, si erano verificati malori e decessi così ravvicinati nel tempo, e mai per coma ipoglicemico. E cosa succede dopo il suo allontanamento dalla struttura? Nulla, nessun altro caso di ipoglicemia. E la somministrazione dei farmaci era quasi esclusivamente compito di Stazzi. Nessuna imprudenza o imperizia. Lui maneggia l’insulina come un cecchino ripone la sua arma pronta all’uso». «L’imputato cerca il delitto perfetto, senza lasciare tracce, e attuato in maniera seriale. La definizione di “angelo della morte” è quella che si addice a Stazzi». Per il pm c’è un «farneticante movente» nascosto dietro quegli omicidi: «Provare il brivido di tenere una vita umana nelle proprie mani, di decidere se spezzarle oppure no. C’è un animo crudele e narcisistico». Ecco perché Stazzi «non merita alcuna attenuante», e va condannato all’ergastolo.
Bugie «Stazzi non ha ascoltato la richiesta di condanna. Questa mattina, pochi minuti dopo l’inizio della requisitoria, non appena il pm ha brevemente ricostruito i fatti che hanno portato alla sua condanna a 24 anni di reclusione (adesso definitiva) per l’omicidio di una collega (ed ex amante), ha chiesto di andar via dall’aula: “Voglio andare via - ha detto - non posso sentire queste bugie!”» (Stampa, 26/3/2014).
Condanne Nel 2014 la III Corte d’Assise d’Appello di Roma lo ha condannato all’ergastolo ritenendolo responsabile della morte di cinque dei sette anziani. In due casi, la Corte, ha giudicato non ci fossero abbastanza elementi per considerarlo colpevole e così, nel dubbio, lo ha assolto. La condanna è stata confermata dalla Corte di Cassazione nel luglio 2016.
Visite «Vedo sempre le mie due figlie, mio fratello, la donna che amo, un amico caro. Mi piacerebbe essere trasferito a Rebibbia però, perché tanto in carcere ci devo rimanere e lì si sta meglio, non ci sono quelle finestre (le "gelosie", che oscurano la luce, ndr). E mentre sto qui vorrei lavorare in biblioteca perché non ce la faccio a stare senza far niente».
Titoli di coda «Sono uno che ha ucciso io, ho tolto la vita a una donna e sto già in galera. Questo sì. Ma con gli altri omicidi non c’entro. Il serial killer, come lo chiamate voi, quello vero, io so chi è. Ho dato nome e cognome al mio avvocato. Lo devono cercare, perché è stato lui».