31 dicembre 2021
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Biografia di Pamela Villoresi (Maria Pamela Villoresi)
Pamela Villoresi (Maria Pamela Villoresi), nata a Prato (all’epoca ancora in provincia di Firenze) il 1° gennaio 1957 (65 anni). Attrice. «Che cosa ti ha spinta a fare l’attrice? “Una grande sete di sapere e di libertà. Non tanto la libertà di fare tardi alla sera o dormire fuori casa, ma di scegliermi un destino diverso. Non mi entusiasmava il mio futuro di ragazza di provincia, piuttosto belloccia, destinata a sistemarsi con un buon matrimonio”» (Carla Curina) • «“Nel sangue un bel miscuglio d’Europa: madre tedesca, nonna viennese e bisnonna ungherese”. […] Lei è nata a Prato. L’industria tessile. “Una famiglia integrata nell’industria tessile. Un futuro orientato verso l’industria tessile”» (Ugo Ronfani). «Provengo da una famiglia piccolo-borghese dove la televisione era sempre accesa, il Festival di Sanremo un avvenimento importante e Mike Bongiorno l’idolo della casa». «“Finisco le medie e mi avviano a studi commerciali, di ragioneria, promettendomi la conoscenza delle lingue e viaggi all’estero. Io vorrei frequentare l’Accademia di arte drammatica, ma è un sogno proibito: non ho ancora 14 anni. Allora accetto di venire a patti con la partita doppia. Dentro di me, però, ho una gran voglia di mandare all’aria tutti i valori che mi sono stati insegnati. Sono gli anni del movimento hippy, dei Beatles, dell’anticonformismo a oltranza, della voglia di libertà. Soffocavo”. A questo punto, il teatro. “Sì, molto banalmente. Attraverso la scuola di ragioneria. Vengono quelli del Metastasio, a quell’epoca diretto da Montalvo Casini, e ci invitano ad andare a spettacoli e concerti. A frequentare, chi ne abbia voglia, il gruppo filodrammatico del Teatro Studio. Io mi precipito”. Con altre compagne? “No, sola della mia classe. Ma c’era con me al Teatro Studio un allievo più avanti negli studi che si chiamava, indovini?, Roberto Benigni”» (Ronfani). «Un giorno mi passò a prendere a casa e disse a mio padre: “Su, Villoro, mandaci giù la maiala della tu’ figliola, ché le si fa qualche servizino”. Io pensai che il mio babbo avrebbe chiamato la polizia, e invece si mise a ridere a crepapelle». «Tra noi c’è un legame profondo, una grande simpatia. Iniziammo insieme al Teatro Studio a Prato. Debuttammo con Il re nudo di Evgenij Švarc: interpretava il Ministro dei Teneri sentimenti. Passavamo notti intere a parlare di Brecht. Credo che avesse una cotta per me, e non era il solo: ero bella, avevo le tette a tonsille, ero trasgressiva e intelligente» (a Ilaria Bellantoni). «“Ero giorno e notte al Teatro Studio. In famiglia mi predicevano un fosco avvenire. Neppure il ruolo di protagonista nel Re nudo di Švarc, in un allestimento per le scuole, convinse i miei che potevo diventare attrice. Mi mandarono in Africa, da uno zio che viveva in Nigeria. Così, pensavano, impara le lingue e dimentica il teatro. Un mese dopo prendevo un aereo a Lagos e rientravo a casa. Il Teatro Studio aveva ottenuto finanziamenti per allestire uno spettacolo per professionisti, cercavano una ragazza e mi convocavano con un telegramma. Così finì ‘la mia Africa’. Recitai Il carcere di Ricci e Salierno al Festival dell’Unità, le nostre voci si mescolavano a quelle degli addetti alla pesca di beneficenza: ‘Il 48 vince una sveglia, il 75 Il capitale di Marx in due volumi’. Era il ’75”. […] Poi ha bruciato le tappe. “Poi ho affrontato una serie di provini, e mi è andata bene. Lo stesso Marco Parodi, ch’era responsabile del mio rientro dalla Nigeria, mi volle nella commedia Cauteraria per il Festival di Spoleto. Là seppi che Missiroli cercava una giovane per la parte di Maria Antonova nel Revisore di Gogol’: io avevo 15 anni, gli andai bene ed entrai nel Teatro Insieme. Poi Cobelli, nella Figlia di Iorio; Gagliardo, nel Cyrano per lo Stabile dell’Aquila; il ruolo di Bice del Balzo nel Marco Visconti televisivo con Raf Vallone; e negli ambienti della televisione l’incontro con Carlo Battistoni, che convince Strehler a farmi un provino”» (Ronfani). «Ero a Milano per lo sceneggiato Marco Visconti: ho compiuto la maggiore età mentre ero impegnata in quel lavoro. […] Giorgio Strehler mi chiese di fare un provino per Il campiello e lo feci. Lui cercava tre ragazze, poi mi disse che mi aveva presa per tutte e tre, e aggiunse che, a seconda di come trovava le altre due, mi avrebbe detto quale ruolo avrei fatto. Fu amore a prima vista. […] Conservo incorniciato il biglietto che mi scrisse per il debutto del primo spettacolo, che era proprio Il campiello. Mi scrisse: “Talento naturale prediletto, un augurio a te per un successo che ti meriti”. E devo dire che è stato un augurio andato a buon fine» (a Gerarda Pinto). «Entra a far parte della compagnia del Piccolo Teatro di Milano, dove ha modo di raffinare le sue notevoli doti recitative sotto la guida di G. Strehler: è una memorabile Gnese in Il campiello (1976) di Goldoni, ed è poi interprete del goldoniano Arlecchino servitore di due padroni (1978) e di Temporale (1979) di Strindberg (il sodalizio con Strehler continuerà più tardi con Minna von Barnhelm, 1983, di Lessing; Le baruffe chiozzotte, 1993, di Goldoni; L’isola degli schiavi, 1994, di Marivaux)» (Andrea Orbicciani). «“Il Piccolo è stato la mia scuola, la mia casa. E Strehler il mio maestro”. In che senso? “Nel senso pieno, direi ‘orientale’ del termine. Mi ha dato uno a uno gli strumenti del mestiere. Avendo fiducia in me, mi ha dato fiducia. Non mi ha mai detto ‘fai così’, ma ‘fammi vedere’. Poi, insieme, cercavamo la soluzione giusta. […] Mi faceva sentire ogni giorno più sicura, più ricca”. Più ricca di cosa? “Ma di gioia, perché partecipavo al gioco del teatro. E di curiosità, per i meccanismi del teatro ch’egli mi svelava”. […] Nonostante questo, viene il momento in cui lei decide di lasciare il Piccolo… “È vero. Viene il momento in cui il cordone ombelicale va tagliato. In cui bisogna prendere un po’ di distanza anche dalla migliore famiglia. E misurarsi con l’esterno. Allora, d’amore e d’accordo, ognuno per la sua strada. Non è stata, la decisione di lasciare il Piccolo, soltanto un ragionamento di carriera: Andrea Jonasson è la signora Strehler, logico e giusto che nello scegliere un testo lui pensi prima a lei, la mia sorte diventava un po’ quella del jolly. No, c’era anche la convinzione che fossi ancora troppo giovane per mettere radici in uno stabile, col rischio di fossilizzarmi. Che avessi diritto ad altre esperienze”» (Ronfani). «Comincia a lavorare anche per il cinema, a partire da Vizi privati, pubbliche virtù (1976) di M. Jancsó, distinguendosi soprattutto nel ruolo dell’attrice Nina nella personale rilettura del cechoviano Il gabbiano (1977) da parte di M. Bellocchio» (Orbicciani). «Ero agli inizi della carriera, nel personaggio di Nina scorgevo un destino da esorcizzare: la paura cioè di finire come Nina, di diventare un’attricetta di terza classe. Ricordo che allora ho sofferto moltissimo a interpretare questo ruolo» (a Beppe Mariano). «Dall’inizio degli anni Ottanta, dopo un nuovo successo televisivo come protagonista di La Velia (1980) di M. Ferrero – cui fa seguito nel 1985 Un foro nel parabrezza, di S. Scavolini –, si dedica prevalentemente al teatro, dimostrandosi interprete sempre più sensibile e intelligente, tanto da ottenere vasti consensi sia di pubblico che di critica: tra i numerosi spettacoli da lei interpretati, si ricordano Otello (1982) di Shakespeare, diretto da A. Piccardi, in cui è a fianco di V. Gassman; Didone, regina di Cartagine (1986) di Marlowe, regia di Cherif; La fiaccola sotto il moggio (1986) di D’Annunzio, regia di P. Maccarinelli; il monologo Storia di Ninì (1987) di V. Pratolini, regia di M. Sciaccaluga; Gente di facili costumi (1988) di e con N. Manfredi. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta fa un breve ritorno al cinema, dove ha modo di mostrare la sua ormai raggiunta maturità di interprete, soprattutto in ruoli di donna dall’apparenza fragile e tormentata, ma di fatto ostinata e risoluta, pronta anche ad andare contro le norme e le convenzioni. A parte le brevi apparizioni in Splendor (1989) di E. Scola e in Il sole anche di notte (1990) di P. e V. Taviani, è notevole soprattutto in tre film, tutti apparsi nel 1990: in Pummarò di M. Placido è la maestra Eleonora, la cui delicata storia d’amore con un giovane ghanese è osteggiata dai razzisti; in Una vita scellerata di G. Battiato è Fiore, la fedele serva-amante di Benvenuto Cellini; e infine in Dicembre di A. Monda è la zia Gianna, dal carattere impulsivo e contraddittorio, che dopo l’improvvisa scomparsa del marito accetta la sola compagnia del nipotino prediletto. […] Si è cimentata anche negli inediti ruoli di regista teatrale (Cabaret Viola. Mario Luzi, 1990; Diotima o la vendetta di Eros, 1991, di B. Campeti; Taibele e il suo demone, 1995, di I.B. Singer) e di conduttrice del talk-show televisivo Milleunadonna (1996)» (Orbicciani). Insieme a Giorgio Strehler (1921-1997), con il quale aveva ripreso a lavorare nei primi anni Novanta, «ho fatto tournée straordinarie a Parigi, Mosca, Berlino, Barcellona, Madrid, insomma, nei teatri più belli del mondo. Certo è che, dopo la sua morte, ho dovuto un po’ adeguarmi… però ho avuto così tanto che non posso certamente lamentarmi. Dopo non è stato più possibile arrivare a quei livelli artistici, a quei trionfi. Ma il lavoro è lavoro, e mi sono rimboccata le maniche. Ho fatto comunque belle cose, con colleghi e artisti di valore. E non sono mancate belle soddisfazioni» (a Dianora Tinti). Tra le maggiori soddisfazioni degli ultimi anni, il premio Oscar come miglior film straniero a La grande bellezza di Paolo Sorrentino, cui aveva preso parte: «Sorrentino è un grande regista e un grande artista. Ha molta fantasia e genialità. […] È uno meticoloso, ha assolutamente chiaro in testa quello che vuole e quindi ti sostiene, ti aiuta, ti cura, ti scruta, e quando gira ti mette in una botte di ferro. […] È stata una bellissima esperienza» (a Matteo Brighenti). Altro importante traguardo, l’8 aprile 2019, la sua elezione all’unanimità quale nuovo direttore del Teatro Biondo di Palermo, fino al 2023. «L’obiettivo affidato alla Villoresi è chiaro: regalare al Biondo lo status di Teatro Nazionale. […] “Io vengo dal Piccolo di Milano e ho visto nascere il Teatro d’Europa. Ora vado a Palermo per proiettare il Biondo verso l’Europa. Ma voglio anche che i nuovi talenti volino verso l’Europa: deve essere un rapporto reciproco, voglio lavorare sulla promozione degli artisti palermitani”» (Mario Di Caro). Grazie al suo impegno, col tempo, il teatro palermitano «ha aperto le sue porte e si è calato in città. Nel percorso di apertura è per noi fondamentale la presenza di Emma Dante, artista di livello e di fama, che è in grado di spalancarci le porte verso il resto del mondo, ove lei è ampiamente conosciuta e apprezzata. Abbiamo poi stretto varie collaborazioni a livello europeo» (Francesco Inguanti). Tuttora attiva anche nelle vesti di interprete, da ultimo impegnata non solo in teatro – in Viva la vida di Gigi Di Luca, in cui presta volto e corpo a una Frida Kahlo (1907-1954) ormai prossima alla morte –, ma anche in televisione e al cinema: «Sto girando la nuova serie televisiva del Don Matteo con Raoul Bova, dove sono un personaggio fisso, mentre ho avuto un piccolo ruolo nel riuscito film Per tutta la vita» (a Claudia Rocchi). «Ho deciso di non dedicarmi più esclusivamente al teatro, ma anche alla televisione e al cinema, che ho un po’ riscoperto grazie a Sorrentino. Ora, recitare davanti a una macchina da presa mi piace e mi sento a mio agio: ammetto che non mi ci ero mai divertita così» • Assidua interprete anche di poesie e monologhi (in omaggio, tra gli altri, a Mario Luzi, Francesco Petrarca, Edith Stein, Giosuè Carducci, Pier Paolo Pasolini, Giacomo Leopardi, Dante Alighieri e Karol Wojtyła, ma anche a personaggi mitologici, per lo più femminili), nonché di spettacoli a tema religioso (su tutti, Un castello nel cuore di Michele Di Martino, dedicato alla figura di santa Teresa d’Avila). «La poesia è un trait d’union fra la parola e la musica. […] Non è facile arrivare al significato più profondo di ogni parola e restituirlo immediato e chiaro a chi ci ascolta. A me piace molto fare i recital di poesia. Amo farli con la musica, che aiuta a creare l’atmosfera giusta, a spiccare il volo, ad aprire i significati più profondi in pochi istanti, per lasciare “riposare” la mente tra una lirica e l’altra». «A un certo punto c’è l’esigenza di approfondire col teatro qualcosa che hai dentro. Così da dare una identità a quello che fai. Per cui la mia curiosità mi ha spinta a cimentarmi anche con temi più spirituali e di riflessione, e devo dire che ho trovato sempre molto seguito e molto interesse. E poi non dimentichiamo che il teatro è di per sé spiritualità. Se mi è consentita la battuta, noi attori siamo dei “sacerdoti laici”» • Vedova del direttore della fotografia Cristiano Pogany (1947-1999), tre figli: Eva, Tommaso e Isabel (quest’ultima adottata). «Pamela lasciò la sua casa toscana a 18 anni, andò a vivere in una comune, fece svariate esperienze impegnandosi in movimenti femminili e nel sindacato attori. Poi l’incontro con Cristiano Pogany, figlio di un ungherese, su un set cinematografico a Istanbul: lui era il direttore della fotografia. “Dopo un giorno stavamo insieme, dopo venti convivevamo, dopo tre mesi avevamo deciso di avere un figlio…”» (Adele Gallotti). «L’amore è quello sguardo in cui puoi riposare. Fu un colpo di fulmine. E la prima notte d’amore fu singolare: all’alba suonavano tutte le campane di Roma. ‘Lo sanno tutti’, pensai, e invece era stato fatto papa Giovanni Paolo I» (a Francesca Taormina). «Paladina dei diritti Lgbtq+, lei si è definita “nonna arcobaleno”. “Sì, ho una nipotina meravigliosa e amatissima concepita grazie a un donatore volontario, in Danimarca. L’ha partorita la compagna di mia figlia Eva”» (Francesca Pellegrini). «Per me la famiglia è più importante del lavoro» • «Io penso che alla mia età, con gli affetti familiari, l’indipendenza economica, tanti interessi e amici meravigliosi […] una storia amorosa o è un valore aggiunto, oppure se ne può fare a meno. Meglio sostituirla con amicizie “birbone”: gli amanti arrivano sbarbati e profumati, e lasciano i problemi a casa loro. Fantastico» • «È cattolica? “Vado a messa, leggo il lezionario meditato, ho fatto meditazione buddista, sono andata a lezione di Torah e di Midrash, pratico yoga e leggo i maestri sufi. Sono […] andata in India e ho visitato un ashram. In che casellina mi mette?”» (Alessandro Trocino) • Definita «suorina di sinistra» dal suo amico Massimo Fini, nel 2007 giunse al punto di digiunare per propiziare la fondazione del Partito democratico, salvo poi candidarsi negli anni successivi dapprima alle elezioni regionali del Lazio nella lista civica di centrodestra «Renata Polverini presidente» (2010), poi al Senato nel Centro democratico di Bruno Tabacci (2013). Entrambe le volte mancò l’elezione • Grande passione per il nuoto e per il canottaggio. «Io sono canottiera e nuotatrice, e in passato ho fatto la traversata dello Stretto. Sono, insomma, l’unica direttrice di teatro che raggiunge la Sicilia a nuoto» • «Voce bassa e viscerale da nobildonna toscana» (Donata Gianeri) • «Pamela Villoresi […] è stata una delle icone del teatro di Giorgio Strehler. […] È una artista di portata internazionale» (Roberto Incerti) • «La mia caratteristica è stata sempre quella di passare con disinvoltura dal classico al contemporaneo. Ma una mia peculiarità resta la recitazione in versi, un genere che adoro e nel quale mi sento completamente a mio agio». «Per me è molto importante riuscire ad alternare a spettacoli seri e drammatici, anche con una fisicità molto forte, […] un teatro di ritmo, di sorriso, magari di riflessione seria, però proposta attraverso l’ilarità e la gioia. […] Dopo aver fatto spettacoli comici penso di riuscire a far meglio la tragedia, forse perché sono, come dire, più vera, più leggera, così come credo che il teatro più serio, più drammatico, mi aiuti a dare spessore allo spettacolo comico» • «Ho avuto la fortuna di incrociare dei giganti dell’arte scenica, e non posso che ringraziare il cielo per le opportunità che mi sono state offerte. Ho esordito in teatro con Giorgio Strehler, ho girato una serie tv con la regia di Anton Giulio Majano e nel cinema ho incontrato Paolo Sorrentino e vinto assieme ai colleghi il premio Oscar con La grande bellezza. Direi che non posso proprio lamentarmi» (a Lino Zonin). «Devo a Giorgio il gusto per il lavoro ben fatto, la scoperta che la magia teatrale, la creatività, nascono da questo. Gli devo, anche, questa grande lezione: che davanti al testo l’attore deve porsi con umiltà, rispetto e pazienza. Che di un’opera egli ha il dovere di capire ogni più riposto significato e quanto le sta intorno, la storia, la cultura e la società da cui è nata». «Mi chiamava “figlia”. Lo chiamavo “babbo”. M’ha portata nella sua famiglia artistica. […] Fuori del teatro era impraticabile e sconosciuto come un Chaplin. Cenammo da soli soltanto una volta, estranei, imbarazzati, eppure sulla ribalta trasmetteva un’infinita umanità, comprendendo le pieghe più piccole dei rapporti, dei caratteri» (a Rodolfo Di Giammarco) • «Nel lavoro ho sempre potuto dar libero sfogo alla mia cattiveria, alla mia follia, alle mie intemperanze, vivendo per interposta persona cose che non avrei mai voluto vivere direttamente. Era come fare bagni purificatori in un’altra donna e in un’altra personalità. Il teatro ti dà la possibilità di essere qualcun altro e di trasferire in questo qualcuno la parte del tuo carattere che ti piace di meno. Per cui sono ormai abituata a vivere la mia vita insieme al pezzetto di un’altra» • «Cosa si sente di un aver dato al teatro, e cosa le ha dato il teatro durante la sua carriera? “La risposta è uguale: la vita”» (Pinto).