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 2022  gennaio 07 Venerdì calendario

Intervista a Silvio Garattini - su "Brevettare la salute? Una medicina senza mercato" (il Mulino)

Quando apparvero i vaccini contro il Covid-19, AstraZeneca, Pfizer e Moderna affermarono che sarebbero stati forniti ai prezzi più bassi possibile, per non approfittare dell’emergenza globale. Nobile intento... Adesso però sul Journal of the Royal Society of Medicine, Donald Light, sociologo della Rowan University, è riuscito, aggirando molti segreti commerciali e tecnici,  a ricostruire costo di produzione e prezzo di vendita dei tre farmaci, con risultati sconcertanti: il costo si aggira sugli 0,5 dollari a dose per AstraZeneca, sugli 1,8 per Pfizer e sui 2,28 per Moderna. Mentre gli Stati pagano quella stessa dose circa 2 dollari ad AstraZeneca, 15 a Pfizer e 25 a Moderna. Ricarichi fra quattro e dieci volte il costo: alla faccia del prezzo basso.

"Si tratta di una dimostrazione lampante di come il mercato farmaceutico sia distorto dai brevetti" dice il professor Silvio Garattini, farmacologo, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerca Mario Negri di Milano: "persino di fronte a una pandemia devastante, le multinazionali approfittano del monopolio sui loro vaccini per fare enormi profitti a spese del pubblico, che pure ha finanziato gran parte delle ricerche per crearli: il 97,8 per cento, nel caso di AstraZeneca". Da tempo Garattini, classe 1928, invoca un ritorno dell’industria farmaceutica alla sua missione originale: combattere le sofferenze umane, non accumulare enormi guadagni. E ora riassume il suo punto di vista nel libro-intervista Brevettare la salute? (il Mulino, pp. 126, euro 12), scritto con Caterina Visco.

Lei si occupa di farmacologia da oltre 60 anni. Che bilancio possiamo fare dell’evoluzione di questa disciplina?

"Da un punto di vista scientifico credo che abbia ben mantenuto ciò che mi aspettavo da studente negli anni 50: vaccini e antibiotici hanno fatto quasi sparire le malattie infettive, mentre si sono trovate terapie efficaci per tantissime patologie prima incurabili, compresi molti tumori. Inoltre oggi efficacia e sicurezza delle medicine sono più garantite di allora, quando bastava il parere di cinque primari per mettere in commercio un farmaco, con il risultato che quelli inutili erano decine".

Però, come vediamo, siamo ancora impotenti contro le malattie virali.
"Per le malattie virali, pensiamo al vaiolo, alla polio o alle influenze, i vaccini si sono mostrati tanto efficaci da aver scoraggiato la ricerca di farmaci. Le cose sono cambiate con l’Aids, per cui sono disponibili terapie salvavita, e lo stesso avverrà probabilmente con il Covid-19. Ad avermi deluso è stata semmai la trasformazione dell’industria farmaceutica in un’attività commerciale come tutte le altre".

Che c’è di male nel considerare un farmaco una merce?
"Le medicine sono una merce, ma particolare: meno se ne usa e meglio è. Se diventano un oggetto di marketing e il loro successo si misura dai profitti che generano, si hanno distorsioni pericolose. Vendere tanti farmaci andrebbe considerato un fallimento della medicina, che prima di tutto dovrebbe spingerci a prevenire le malattie, mantenendo abitudini sane di vita: buona parte delle patologie più diffuse oggi possono essere fatte risalire a fumo, inattività fisica o dieta squilibrata. Ma visto che i farmaci sono un gran business, la prevenzione non è molto popolare: meglio far credere che ci sia, pagando, un rimedio per ogni malattia. Il risultato in Italia è che abbiamo una popolazione molto longeva, che passa però in media gli ultimi sette anni di vita afflitta da malattie spesso prevenibili: l’alta mortalità da Covid-19 è dovuta anche a questo. L’illusione che i farmaci possano tutto, è anche una delle cause della perdita di autorevolezza dei medici: quando, come con il Covid, si scopre che non è così, la gente si sente tradita".

Quindi è a questo che si devono i No Vax?
"In parte, ma ricordo che ce n’erano molti anche ai tempi delle vaccinazioni di massa contro la polio. Certo, oggi a moltiplicarne il numero è la comunicazione senza mediazione scientifica consentita dai social".

Quando è cominciata la degenerazione commerciale dell’industria farmaceutica?
"Alla fine degli anni 70, con la concessione dei brevetti sui nuovi medicinali, che consentono, producendoli in esclusiva, di fare per venti anni enormi profitti. Non che prima la situazione fosse rosea: le industrie si copiavano i prodotti l’un l’altra, e questo scoraggiava l’innovazione. Ma oggi il brevetto viene concesso troppo facilmente: basta cambiare un po’ il principio attivo e, se questo continua a essere efficace e sicuro, ecco un "nuovo", più costoso rimedio. Il risultato è che per certe patologie ci sono anche venti "farmaci fotocopia", mentre ne basterebbe uno, il migliore, che però non si sa quale sia, perché non si fanno studi comparativi: sfoltirebbero la giungla, tagliando i profitti".

Però l’industria sostiene che il brevetto sia indispensabile per coprire le spese dell’innovazione.
"È una leggenda: circa il 70 per cento dei farmaci brevettati nei passati dieci anni non presenta  vantaggi sugli esistenti. Del resto, visto che l’obbiettivo è massimizzare i profitti, le aziende non fanno più la costosa e rischiosa ricerca di base, l’unica che porti innovazione, investendo piuttosto in marketing. Per fare nuovi farmaci si limitano ad acquisire i risultati ottenuti da laboratori esterni, che se pubblici sono finanziati da noi, li trasformano in prodotti, li brevettano e ce li vendono poi a caro prezzo".

Un esempio?
"Il sofosbuvir, il farmaco che cura il 90 per cento dei casi di epatite C: la Gilead ha acquisito il suo brevetto per 10 miliardi e ne ha ricavato un farmaco che ha venduto poi a decine di migliaia di euro per dose, bloccando chi, in altri Paesi, voleva produrlo a soli 500 dollari. Così hanno incassato trenta miliardi in pochi mesi, ma solo una piccola frazione delle decine di milioni di malati di epatite C nel mondo lo ha potuto usare".

Un caso che si sta ripetendo su scala maggiore con i vaccini per il Covid-19.
"Esatto, gli Stati dovevano obbligare i detentori dei brevetti non tanto a cederli, che serve a poco se non spieghi come produrre il vaccino, quanto a concedere delle licenze di fabbricazione ad aziende in giro per il mondo, così da avere dosi a prezzi bassi, sufficienti a coprire tutta l’umanità. Non si è fatto e ora l’Africa, vaccinata solo al 7 per cento, sta diventando il focolaio di nuove varianti, che ci costeranno altre migliaia di morti, sofferenze e miliardi di danni. Il paradosso è che nonostante quasi tutti, a cominciare dal  presidente Usa, riconoscano l’urgenza di eliminare il monopolio sui vaccini per il Covid-19, non si è fatto quasi nulla. Eppure in passato, e per ragioni meno gravi,  si sono costrette le industrie ad agire nell’interesse pubblico: l’inerzia a cui assistiamo non me la spiego, se non con l’enorme potere di lobby di Big Pharma".

Non trova sia anche sconcertante che una nazione avanzata come l’Italia, con una grande tradizione di produzione vaccinale, non sia riuscita a realizzare un proprio preparato?
"Purtroppo l’industria farmaceutica nazionale da tempo ha rinunciato ai settori più avanzati, che sono migrati in nazioni con meno burocrazia o che finanziano di più la ricerca scientifica".

E quindi, secondo lei, come andrebbe riformato il settore dei brevetti dei farmaci, per ottenere la convivenza di innovazione ed equità nell’accesso?
"L’economista Joseph Stiglitz sostiene che si potrebbe sostituire il brevetto con un rimborso delle spese sostenute nello sviluppo del farmaco, che poi verrebbe venduto a prezzo di costo. Secondo me sarebbe più realistico un percorso più graduale, iniziando con il poter brevettare solo preparati che offrano vantaggi terapeutici rispetto ai precedenti, dimostrati con studi comparativi indipendenti: già questo cancellerebbe i brevetti di tanti farmaci simili. Si potrebbe poi limitare la durata del brevetto fino al recupero delle spese fatte per creare il nuovo farmaco, e legare l’acquisizione di brevetti ottenuti da laboratori pubblici all’impegno a calmierare il prezzo del farmaco che ne deriverà. Infine sarebbe importante creare un’industria farmaceutica "no profit" pubblico-privata, come, per esempio, quella nata per creare e produrre medicinali per curare le malattie rare".

Ma sarà possibile fare questa rivoluzione, vista la potenza di fuoco lobbistica contraria?
"Non sono così ingenuo da pensare che sarà un percorso facile, ma conto che l’esperienza della pandemia ci abbia aperto gli occhi su quanto sia importante tutelare la salute pubblica, anche a costo di limitare gli interessi privati".