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 2022  gennaio 07 Venerdì calendario

Il ritorno di Beatrice Venezi


Che fatica rintracciare Beatrice Venezi sempre in giro per il mondo. «Sono a Clermont Ferrand, sto provando La sonnambula di Bellini che debutta il 23 gennaio». È una dei direttori d’orchestra più ricercati in assoluto, viaggia di qua e di là, e sul podio la sensualità dei suoi gesti contrasta con la forza schietta del carattere. «A dirla tutta, nel 2022 spero di recuperare anche alcune che sono saltate in Giappone, poi andrò pure in Argentina».
Il maestro Venezi si è fatta conoscere anche per aver ribadito il (sacrosanto) desiderio di farsi chiamare «direttore» e non «direttrice» come prevede la costituzione unilaterale del politicamente corretto. Un direttore che non indossa i pantaloni perché l’abito non fa la qualifica e lei è una signora che si veste da signora anche quando dirige l’orchestra. Una richiesta lanciata anche dal palco dell’ultimo Festival di Sanremo che, manco a dirlo, ha scatenato il solito «dibbattito» social con tanto di interventi degli inevitabili intellettuali schierati.
Ma, al di là delle polemiche, Beatrice Venezi, nata a Lucca, classe 1990, è uno dei pochi maestri che si batta sul serio per ringiovanire non tanto l’esecuzione delle opere ma soprattutto il pubblico che le segue. Trattasi, ovvio, di un desiderio quasi sacrilego per molti «integralisti del loggione» che trovano conforto soltanto nello status quo ante e figurarsi se vogliono cambiare. Ma pazienza, un po’ di diffidenza tocca sempre a chi prova a modificare la situazione.
Nel frattempo, tra le prove all’Opera di Clermont e la pianificazione di un calendario da rockstar, ha pubbblicato Heroines con la Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, un disco concentrato su preludi, Sinfonie, Intermezzi e Suite orchestrali tratte da opere con personaggi femminili di Verdi, Strauss, Shostakovich, Cherubini, Piazzolla e Lloyd Webber. Per capirci, Giovanna d’Arco, Medea, Evita, Salome, Belkis Regina di Saba e Fedora. Lei spiega che «il titolo di eroine che affido a queste protagoniste del repertorio operistico non implica un giudizio morale da parte mia. Si tratta di una mera costatazione del loro grande coraggio, che mi affascina».
In poche parole, «ci sono personaggi storici e mitologici che confermano quanto le donne non siano soltanto esserini che hanno bisogno di aiuto: questo è un viaggio lungo due secoli nella storia della musica, ma non è il classico disco di classica».
Tra le sue eroine c’è anche Lady Macbeth, protagonista con la voce di Anna Netrebko all’ultima Prima della Scala. «C’è molta attenzione e interesse intorno a questo evento, ma ce ne vorrebbe altrettanta anche durante il resto dell’anno». E se toccasse a lei, Beatrice Venezi, di dirigere alla Prima? «Sceglierei un titolo pucciniano perché Puccini è stato lontano per troppo tempo e titoli come La Fanciulla del West hanno un valore enorme e attuale». Chissà, magari non è una prospettiva così lontana.
In ogni caso, la modernità di Beatrice Venezi è di essere intransigente e colta nella direzione ma, allo stesso tempo, consapevole del nostro tempo, pienamente calata nello Zeitgeist e lontana dalla guerra per bande che spesso polarizza la scena della musica classica. Forse per questo è una delle poche donne al mondo che diriga orchestre e le diriga con la stima degli orchestrali, creando di volta in volta un gruppo coeso e compatto. «Sa che cosa mi manca? Mi manca un teatro tutto mio dove poter mettere in pratica le mie idee». Una sorta di «Laboratorio Venezi» che possa diventare anche un volano di talento e novità. «Nel frattempo sto lavorando a un progetto per le scuole medie», spiega lei nell’unico momento di pausa delle prove per la Sonnambula. Quand’era nella giuria che ha selezionato le Nuove Proposte dell’ultimo Festival di Sanremo, ha dimostrato di conoscere bene la musica leggera che ci gira intorno. «Qui in Francia mi sono innamorata dei La Femme di Sacha Got e Marlon Magnée» perché, racconta, «sono rivoluzionari, hanno il coraggio di sperimentare e non sono vincolati alla sempre più breve durata dei brani».
Insomma, Beatrice Venezi non segue il mainstream e, rarità, ragiona con la propria testa. «Il politicamente corretto applicato all’arte? Talvolta rasenta il revisionismo. Quelle opere, musicali o visive o architettoniche, sono legate a un determinato periodo storico e sappiamo tutti che avere una coscienza storica è indispensabile. È sbagliato adattarle al nostro pensiero di oggi». Chapeau. E se quest’anno, come si dice, tornasse al Festival di Sanremo? «Mi piacerebbe fare qualcosa che celebrasse l’evoluzione del melodramma fino alla canzone pop». Lei, in fondo, è l’artista giusta per spiegarla.