La Stampa, 7 gennaio 2022
La maledizione della prima chiama
Oramai è diventata una regola aurea per chi intenda scalare il Colle: guai a sbagliare “la prima”, perché dopo non recuperi più. La storia è chiara: in 76 anni di elezioni per la Presidente della Repubblica il primo scrutinio è stato spesso fatale, contribuendo a bruciare onorate carriere. Ecco perché nelle due “war room” attrezzate (quella di Mario Draghi e quella di Silvio Berlusconi) ma anche tra i capi-partito in queste ore si stanno preparando con ogni cura le prime tre sedute, a cominciar dalla “prima": quella fissata per il 24 gennaio, alle tre del pomeriggio.
In vista di quell’appuntamento cominciano a trapelare le prime indiscrezioni: da casa Pd c’è la tentazione di presentarsi alla prima chiama col candidato di maggior prestigio: Paolo Gentiloni. Se ne è chiacchierato, quando i capi del partito – Letta, Franceschini, Zingaretti e Orlando – si sono fatti gli auguri assieme al Commissario europeo, ma per ora non c’è nulla di deciso e anzi le opzioni prevalenti sono la scheda bianca o l’uscita dall’aula.
Ma è da “casa Berlusconi” che arrivano le notizie più interessanti. Per qualche settimana nel cerchio magico berlusconiano si è discusso attorno alla prima “chiama”. Felice Confalonieri e Gianni Letta hanno provato a spingere il Cavaliere verso una battaglia per la “storia": caro Silvio, presentati alle prime tre votazioni, raccogli tutti i voti del centrodestra e poi, se non sfondi, fai il padre della patria e a quel punto convergi. Su Mario Draghi? Su Giuliano Amato? O su Sergio Mattarella? Ma Berlusconi ha già spiegato che lui intende evitare le prime votazioni ed invece vuole «scendere in campo» a partire dalla quarta votazione, quando per essere eletto Presidente della Repubblica, basterà la maggioranza degli elettori. Ecco perché il Cavaliere chiederà a Salvini e Meloni di non fare partecipare i grandi elettori alle prime tre votazioni. Chi ha parlato con lui nelle ultime ore lo ha trovato motivatissimo: «Berlusconi ci crede, sbaglia a chi pensa al tatticismo: ha “staccato” solo per Natale».
Mario Draghi, dopo la manifestazione di interesse per il Quirinale espressa il 22 dicembre, non ha fatto più mosse sullo scacchiere anche se conosce le incognite dei primi scrutini. Chi conosce benissimo la maledizione della prima “chiama” è il leader del Pd Enrico Letta, che era vicesegretario del partito quando i Dem incorsero nel più clamoroso flop nella storia della Seconda Repubblica. Era il 17 maggio 2013 e si stava per eleggere il nuovo Capo dello Stato dopo la scadenza del mandato di Giorgio Napolitano. Quel giorno proprio in casa di Enrico Letta si vedono il segretario del Pd Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi. Tra i nomi proposti dal segretario Dem, il Cavaliere sceglie Franco Marini, presidente del Senato. Forse Bersani avrebbe dovuto saperlo: nel suo partito il nome di Marini non era destinato ad entusiasmare. Ma, a dispetto dei precedenti, si decide di presentare Marini subito, al fatidico primo scrutinio. Ottiene 521 voti. Sono molti meno del previsto ed insufficienti alla prima votazione, ma a partire dalla quarta basterebbero per eleggerlo Capo dello Stato. E invece Bersani chiede a Marini di ritirarsi anzitempo. Il vecchio Franco si prende qualche ora per pensarci e per disciplina di partito accetta ma in privato commenterà la richiesta con parole irriferibili. Ma un dato clamoroso rende l’idea: i voti con i quali Marini è costretto a ritirarsi sono più di quelli che nel passato erano valsi a tre candidati l’elezione a presidente: Leone, Einaudi e Segni. La “mala gestione” su Marini aprì la strada ai 101 che bocciarono Romano Prodi.
Dunque, una gestione infelice della prima votazione e curiosamente a nulla era valsa la memoria dei precedenti storici. In occasione della elezione del primo Presidente effettivo, era il 1948, un leader come Alcide De Gasperi puntò per il Quirinale sul conte Sforza che fu presentato al primo scrutinio: ottenne pochi voti e il presidente del Consiglio fu costretto a cambiare “cavallo": scelse Luigi Einaudi. Sette anni dopo la maledizione del primo scrutinio si ripete: l’uomo forte della Dc, Amintore Fanfani, punta su Cesare Merzagora: bocciato alla prima chiama, è costretto a ritirarsi. 1964: la Dc presenta al primo scrutinio Giovanni Leone ma ottiene pochi voti anche lui. Sarà eletto Giuseppe Saragat. 1971: alla prima chiama si presenta Amintore Fanfani. Bocciato: presidente sarà eletto Giovanni Leone. Nel 1978 la Dc escogita una nuova figura per la prima votazione: il candidato di bandiera, Guido Gonella. Sarà eletto Sandro Pertini. —