Corriere della Sera, 7 gennaio 2022
La Dinasty Nazarbayev
«Ci sei tu, in riva al mareee…!». Al più grande Paese del mondo senza mare, ogni tanto tocca anche questo: ascoltare i gorgheggi di Dariga Nazarbayeva, la figlia prediletta del Leader della Nazione, l’erede predestinata che la stampa kazaka (di cui è proprietaria) descrive come un usignolo e che quando molla il Senato (di cui è presidente) va sulla tv di Stato (di cui è fondatrice) a cantare ballate folk, l’immancabile Toto Cutugno e l’amata versione francese di «Luglio» by Riccardo Del Turco, «luglio col bene che ti voglio/ credevo ad un abbagliooo…».
Cose normali, nel Nazarbayev-stan. Dove la rabbia contro il clan Nazarbayev, ben prima che per il prezzo del gas, si barcamena da anni su un mare di delitti e di follie. Di città cambiate di nome e d’ordinanze per imporre l’uso dell’apostrofo. «Andate tutti in vacanza in Kazakistan», esortava nel 2008 il premier italiano Silvio Berlusconi: «Lì c’è un signore che è un mio amico, non a caso ha il 92% dei voti. Un consenso che non può non basarsi sui fatti». Il consenso è nei numeri: è dal 1991 che l’81enne Nursultan Nazarbayev macina percentuali fra il 90 e il 98%, e in fondo cosa conta che i candidati dell’opposizione rinuncino a farsi votare e raccomandino di preferire lui, Nursultan, il Sultano di Luce, il tiranno che Amnesty International accusa di torture e uccisioni mirate? I fatti dicono che il Sultano s’è dimesso a sorpresa nel 2019, pretendendo la totale immunità: gli preme che la corte resti protetta. E se finora ha esercitato un controllo assoluto, l’appello all’intervento militare russo è apparso un segno di debolezza. La sua rete di sostegno internazionale, che un tempo passava per Tony Blair e David Cameron, oggi comprende la Turchia di Erdogan e la Cina, domani chissà. Perché Nazarbayev è sempre stato veloce a trovarsi gli amici giusti e a scaricare quelli inutili, fin da quando osava dire no a un declinante Gorbaciov che voleva nominarlo vicepresidente dell’ultima Urss, o buttava alle ortiche la tonaca di comunista ateo per mettersi il turbante del sunnita anti-iraniano. Con tutto il gas e l’uranio che in trent’anni di potere ha venduto per il mondo, soprattutto a noi italiani, gli è riuscito facile rilanciare l’economia e rifarsi una capitale nuova di zecca, Astana, con modestia ribattezzata Nur-sultan. Un po’ meno, il Sultano ha saputo placare gli appetiti della corte. A cominciare da Dariga, 58 anni, la prima delle tre figlie, che ha fondato un partito poi confluito in quello di papà («sei tornata da tuo padre!», fu il pubblico riconoscimento) e in attesa di salire al trono presidenziale alterna concerti sugli Champs-Elisées a ruoli nei musical. È l’ambiziosa Dariga a tenere la cassaforte, dicono: i Panama Papers rivelarono i suoi depositi off-shore alle Isole Vergini, compresa la proprietà della finta casa di Sherock Holmes a Londra, al 221B di Baker Street. Sono noti i suoi contrasti col presidente Tokayev, che ne ha temporaneamente usurpato il trono.
Dariga sa aspettare e non si cura delle folle furiose che ora la insultano. Alla corte dei Nazarbayev, del resto, il dissenso non è contemplato. E una strana maledizione s’abbatte su chi rompe le regole. Rakhat Aliyev, l’ex marito di Dariga, già capo dei servizi, entrò in contrasto con la Famiglia e suo malgrado «venne divorziato» via fax mentre si trovava all’estero. Il malcapitato genero del Leader Nazionale chiese inutilmente asilo politico a Malta e a Cipro, ma fu inseguito da un ordine di cattura internazionale per omicidio e poi incarcerato in Austria: misteriosamente, lo trovarono impiccato. E il figlio di Dariga? Anche il giovane Nurali figurava intestatario di fortune nei Panama Papers, era un promettente calciatore passato per il Chelsea e il Portsmouth, col vizio della cocaina e di parlare un po’ troppo: su Facebook, raccontò «la mentalità medievale» dei suoi parenti, rivelò d’essere nato da un incesto, denunciò la «corruzione della famiglia e di chi fa affari tra Russia e Kazakistan», quindi nel 2020 scappò a Londra e chiese asilo, pure lui. «Mi vogliono uccidere», spiegò. Sei mesi dopo, morì. «Arresto cardiaco». A 29 anni.