Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 07 Venerdì calendario

La Dinasty Nazarbayev

«Ci sei tu, in riva al mareee…!». Al più grande Paese del mondo senza mare, ogni tanto tocca anche questo: ascoltare i gorgheggi di Dariga Nazarbayeva, la figlia prediletta del Leader della Nazione, l’erede predestinata che la stampa kazaka (di cui è proprietaria) descrive come un usignolo e che quando molla il Senato (di cui è presidente) va sulla tv di Stato (di cui è fondatrice) a cantare ballate folk, l’immancabile Toto Cutugno e l’amata versione francese di «Luglio» by Riccardo Del Turco, «luglio col bene che ti voglio/ credevo ad un abbagliooo…».
Cose normali, nel Nazarbayev-stan. Dove la rabbia contro il clan Nazarbayev, ben prima che per il prezzo del gas, si barcamena da anni su un mare di delitti e di follie. Di città cambiate di nome e d’ordinanze per imporre l’uso dell’apostrofo. «Andate tutti in vacanza in Kazakistan», esortava nel 2008 il premier italiano Silvio Berlusconi: «Lì c’è un signore che è un mio amico, non a caso ha il 92% dei voti. Un consenso che non può non basarsi sui fatti». Il consenso è nei numeri: è dal 1991 che l’81enne Nursultan Nazarbayev macina percentuali fra il 90 e il 98%, e in fondo cosa conta che i candidati dell’opposizione rinuncino a farsi votare e raccomandino di preferire lui, Nursultan, il Sultano di Luce, il tiranno che Amnesty International accusa di torture e uccisioni mirate? I fatti dicono che il Sultano s’è dimesso a sorpresa nel 2019, pretendendo la totale immunità: gli preme che la corte resti protetta. E se finora ha esercitato un controllo assoluto, l’appello all’intervento militare russo è apparso un segno di debolezza. La sua rete di sostegno internazionale, che un tempo passava per Tony Blair e David Cameron, oggi comprende la Turchia di Erdogan e la Cina, domani chissà. Perché Nazarbayev è sempre stato veloce a trovarsi gli amici giusti e a scaricare quelli inutili, fin da quando osava dire no a un declinante Gorbaciov che voleva nominarlo vicepresidente dell’ultima Urss, o buttava alle ortiche la tonaca di comunista ateo per mettersi il turbante del sunnita anti-iraniano. Con tutto il gas e l’uranio che in trent’anni di potere ha venduto per il mondo, soprattutto a noi italiani, gli è riuscito facile rilanciare l’economia e rifarsi una capitale nuova di zecca, Astana, con modestia ribattezzata Nur-sultan. Un po’ meno, il Sultano ha saputo placare gli appetiti della corte. A cominciare da Dariga, 58 anni, la prima delle tre figlie, che ha fondato un partito poi confluito in quello di papà («sei tornata da tuo padre!», fu il pubblico riconoscimento) e in attesa di salire al trono presidenziale alterna concerti sugli Champs-Elisées a ruoli nei musical. È l’ambiziosa Dariga a tenere la cassaforte, dicono: i Panama Papers rivelarono i suoi depositi off-shore alle Isole Vergini, compresa la proprietà della finta casa di Sherock Holmes a Londra, al 221B di Baker Street. Sono noti i suoi contrasti col presidente Tokayev, che ne ha temporaneamente usurpato il trono.
Dariga sa aspettare e non si cura delle folle furiose che ora la insultano. Alla corte dei Nazarbayev, del resto, il dissenso non è contemplato. E una strana maledizione s’abbatte su chi rompe le regole. Rakhat Aliyev, l’ex marito di Dariga, già capo dei servizi, entrò in contrasto con la Famiglia e suo malgrado «venne divorziato» via fax mentre si trovava all’estero. Il malcapitato genero del Leader Nazionale chiese inutilmente asilo politico a Malta e a Cipro, ma fu inseguito da un ordine di cattura internazionale per omicidio e poi incarcerato in Austria: misteriosamente, lo trovarono impiccato. E il figlio di Dariga? Anche il giovane Nurali figurava intestatario di fortune nei Panama Papers, era un promettente calciatore passato per il Chelsea e il Portsmouth, col vizio della cocaina e di parlare un po’ troppo: su Facebook, raccontò «la mentalità medievale» dei suoi parenti, rivelò d’essere nato da un incesto, denunciò la «corruzione della famiglia e di chi fa affari tra Russia e Kazakistan», quindi nel 2020 scappò a Londra e chiese asilo, pure lui. «Mi vogliono uccidere», spiegò. Sei mesi dopo, morì. «Arresto cardiaco». A 29 anni.