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 2022  gennaio 07 Venerdì calendario

Parla Marzio Breda, il decano dei quirinalisti

È scettico sul fatto che la richiesta a Mattarella di lasciarsi rieleggere vada a segno. Anche se, rivela, ha posto la domanda «in alto» ha ricevuto in risposta «un eloquente silenzio». Marzio Breda, inviato del Corriere della sera, è il più autorevole dei quirinalisti. Ha scritto Capi senza stato (Marsilio), il racconto dei cinque presidenti che ha seguito da vicino, quelli della «grande crisi italiana», dei poteri che si allargavano a fisarmonica.
È anche un saggio sul mestiere del racconto dei fatti che avvengono in luogo appartato e poco incline a far indovinare i propri arcani. «È un libro testimonianza, mi prendo il lusso per una volta di dire in prima persona cose di cui sono stato testimone diretto, sulla scena pubblica ma soprattutto in privato, perché ho avuto rapporti personali con questi presidenti, ho continuati a seguirli dopo. Alcuni sono venuti a pranzo a casa mia. Poi c’è una ricostruzione storica, per capire il perché delle loro scelte. È anche un libro di analisi costituzionale, ho cercato sempre di capire fino a che punto un presidente si stesse spingendo oltre la metafora dei poteri che si dilatano a fisarmonica».
Partiamo da qui. Dall’idea del ministro Giorgetti di un semipresidenzialismo di fatto con Draghi al Colle. Altro che fisarmonica.
«Giorgetti sembra dire: prendiamo atto di uno stato di fatto per cui Draghi, se eletto, potrebbe condurre il convoglio del governo anche dal Quirinale. Ho seguito cinque presidenti. Ogni volta i partiti chiedevano un passo indietro. Ma non è mai accaduto. Tutti sono stati più interventisti dei precedenti. Penso alle esternazioni. Fino a Pertini esternavano poco. Lui esternava in libertà, voleva il dialogo diretto con i cittadini, tutto sommato non ha fatto grandi strappi, certo ha dato l’incarico di premier per la prima volta a un laico, Spadolini, ma per lo più offriva pezzi di colore. Infatti i giornalisti che seguivano il Quirinale fin lì erano occasionali. Dopo, tutti vogliono esternare. Ma è l’aspetto esteriore della metamorfosi. A questo corrispondono anche atti politici veri. Nelle fasi più tormentate i presidenti sono diventati i piloti della crisi».
Sostituti di una politica in crisi?
«Certo c’erano dei vuoti. Cossiga è stato il profeta della catastrofe, “vi prenderanno a pietrate per le strade”, parlava così, “il Muro di Berlino è caduto anche addosso a noi”. La sua ambizione era emancipare il sistema politico bloccato, con i comunisti fuori dalla stanza dei bottoni. Il suo torto era la sgangheratezza espressiva, per due anni ha bombardato il quartier generale, in particolare la sua Dc, che infatti voleva spodestarlo. Ma non fu solo un picconatore, scrisse un messaggio alle camere di 93 pagine per sollecitare la riforma costituzionale, si era fatto aiutare da Giuliano Amato e Mino Martinazzoli, e Andreotti non volle neanche controfirmarlo. Non fu neanche discusso. Ma il crollo diventa sempre più emergenziale: nel ‘92 inizia Tangentopoli, nel ‘93 c’è la tabula rasa dei vecchi partiti e si affaccia in parlamento una gran quantità di dilettanti della politica, alcuni anche pericolosi. C’è il fenomeno Berlusconi».
Berlusconi oggi potrebbe diventare presidente. Ci credi?
«Un po’ ci credo. E lo temo. Berlusconi ha messo in moto la macchina per raccogliere i consensi, dal gruppo misto e fra le figure fragili dei partiti, ho dubbi ma dubito che il centrodestra sarà compatto. Ma la possibilità c’è, ed è meno incerta di quanto si pensi. Nei prossimi giorni dovrebbe emergere un regista, che dovrebbe proporre una rosa di nomi per poi stringere su uno. Ma il negoziato è difficile se resta il macigno Berlusconi».
Il vizio dei cronisti politici è dire che l’ultima è sempre la situazione più eccezionale. Ma c’è mai stata una campagna per il Quirinale così lunga?
«Effettivamente è un inedito. Ho cercato in questi giorni il primo pezzo sul totonomi, è del maggio del 2020. Si ipotizza già un Mattarella bis. È partita troppo presto, è stata coltivata mediaticamente, il che ha determinato una gran confusione nell’opinione pubblica. Sui social circolano stupidaggini assolute. Ma anche i novizi della politica, molti parlamentari, non ne sanno niente e propongono cose strane. La rielezione di Mattarella per come è stata proposta è persino offensiva. Parlare di un mandato a termine, per tener calda la poltrona a Draghi, è irrispettoso e costituzionalmente una follia. Il mandato è sempre pieno e di sette anni».
Alcuni colleghi credono più di te al bis di Mattarella. Perché?
«È una questione che ho posto “in alto”. Se la pandemia ridiventasse un’emergenza, come peraltro sta avvenendo, se il quadro politico si andasse spappolando e i partiti dimostrassero di non avere uno straccio di accordo e quindi si ripetesse la scena del 2013 quando tutti i leader fecero una processione al Quirinale, potrebbe il presidente rifiutare? Ho raccolto un eloquente silenzio».
Che secondo te cosa significa?
«Che non potrebbe. Ma va sottolineato che in questi mesi Mattarella ha ripetuto “è il mio ultimo anno”, “me ne vado”, con l’intenzione anche di dimostrare che lui non sta brigando affatto per una riconferma. Da giurista pensa che sia un precedente sbagliato, la rielezione diventerebbe prassi».
I presidenti partono tutti notai, taglianastri, ma poi diventano interventisti. È una regola?
«Quasi. Mi ricordo che il vecchio Cossiga, che era un professore di diritto costituzionale, un uomo colto con la memoria lunga, diceva sempre che il Quirinale produce una ubriacatura. Ma l’altro punto è la vaghezza delle funzioni per come sono descritte nella Costituzione che consente di inaugurare nuove prassi. È significativo che Mattarella nei passaggi dove è stato più interventista si è sempre richiamato ai precedenti, come dire “non sto violando le regole”».
Se Draghi andasse al Colle sarebbe la sconfitta della politica?
«Anche quando il parlamento votò Ciampi ci fu chi brontolò sulla politica commissariata. Io non sarei così cupamente pessimista ma penso che stavolta i partiti cercheranno di eleggere un politico di lungo corso. Vengono fatti nomi di economisti, giuristi, penso alla ministra della Giustizia. Figure apprezzabili, ma ci vuole anche esperienza: Scalfaro si trovò di fronte alla Lega secessionista, al fenomeno Berlusconi e al crollo del sistema dei partiti. Mattarella nel 2018 si è trovato in una situazione persino peggiore. Con una forza populista e incolta come M5s e una forza sovranista di ultradestra, la Lega di Salvini. E ha fatto delle mosse al limite. Ha detto no al ministro Savona. Altri presidenti avevano bocciato il nome di un ministro, ma lui rischiava di bocciare un governo che aveva già trovato un accordo, perché Conte salì al Quirinale con un “contratto” già stipulato fra M5S e Lega. E il capo dello stato deve favorire gli accordi, non bocciarli. Poi, con la mossa dell’incarico a Cottarelli, i due alleati realizzarono che sarebbero stati messi fuori gioco».
“In alto” è stata fatta una riflessione su quello che potrebbe essere un inedito assoluto, il passaggio diretto da palazzo Chigi al Colle?
«Se Draghi fosse eletto al Quirinale, la questione potrebbe essere risolta poco: magari resta titolare dell’azione del governo il ministro più anziano, in attesa che il capo dello stato faccia un minimo di consultazioni per indicare un premier. Sempreché la maggioranza nel frattempo non esploda. Ma ci sono diverse incognite, procedurali e di sostanza. Diciamo una cosa: congelare il tandem Mattarella-Draghi sarebbe la soluzione più comoda e anche quella probabilmente più utile al paese, perché il Pnrr va completato altrimenti i miliardi della Ue li vediamo con il binocolo. Ma, ripeto, ho i miei dubbi che accada».
I Cinque stelle sono passati dalla richiesta di impeachment contro Mattarella alla richiesta di un bis. È uno dei meriti di Mattarella?
«Nel 2018 è stato molto imparziale, ha dato prima un incarico esplorativo alla presidente Casellati per vedere se era praticabile una maggioranza di centrodestra, poi a Fico per fare lo stesso tentativo a sinistra. Poi maturò l’accordo M5S-Lega. Un altro presidente avrebbe potuto tagliare corto, nominare un governo di scopo e poi sciogliere le camere. Lui rispettò l’esito del voto. Su M5S il Quirinale ha giocato un ruolo pedagogico, con tutta la pazienza del mondo, ma anche con fermezza».
Una donna al Quirinale?
«È augurabile ma non probabile».
Ci sarebbe anche la storia di quelli che non sono diventati presidenti?
«Pochi giorni fa mi sono trovato a un dibattito con Romano Prodi. Lui aveva le carte più che in regola per essere eletto. Ma dice bene: quello che conta non è avere più voti ma avere meno veti. Ha capito perfettamente».