il Giornale, 6 gennaio 2022
Le Bandiere nella polvere di Faulkner
Per prima cosa ammazzò il padre. Sherwood Anderson gli aveva trovato un editore per il primo, sgangherato romanzo, Sodier’s Pay (1926), gli era stato maestro e amico, gli aveva consegnato la dritta che avrebbe raddrizzato la sua carriera letteraria. Scrivi di «quel piccolo pezzo di Mississippi da cui sei partito», gli aveva detto. Il consiglio rientra nell’agiografia faulkneriana, ma molto prima delle lodi al miele, appena ottenuto il Nobel per la letteratura «Siamo tutti figli di Sherwood Anderson. Siamo falliti tutti tranne Sherwood Anderson», quando era imbestiato dalla povertà, provocatoriamente dandy e presuntuoso, William Faulkner fece a pezzi il maestro. Aveva scritto, in sintesi, che Anderson doveva smettere di scrivere, era uno scrittore ormai al tramonto. Nel 1926, l’anno in cui comincia Flags in the Dust, il romanzo in cui mette a frutto i consigli del maestro, Faulkner sputtana Anderson, lo ridicolizza, in un pamphlet, Sherwood Anderson and Other Famous Creoles, costruito insieme all’amico William Spratling, caricaturista di talento. L’anno prima avevano vagato per l’Italia: Spratling, seduttore scatenato, era stato arrestato a Genova, in un bordello; Faulkner, che si vantava di audaci imprese dionisiache, scappa a Pavia, poi a Milano, Stresa, infine a Parigi.
Ad ogni modo, Anderson si incattivì, Faulkner restò senza protettori, aveva un romanzo da terminare. Nell’estate del 1927, così, per folgorazioni e ricordi ubriachi, nasce il mondo fittizio di Faulkner, la «contea di Yocona» (poi, Yoknapatawpha) modellata su Lafayette County, Mississippi, la città di Jefferson, con le «tipiche case jeffersoniane e i manierosi uffici e negozi», sfondo di romanzi epocali e claustrofobici, bellissimi, da Mentre morivo ad Assalonne, Assalonne!
Flags in the Dust sviscera la storia di Bayard Sartoris, «quel gelido demonio», l’ultimo dei Sartoris, aviatore durante la Prima guerra, in cui perde il fratello, Johnny. Dilaniato da quella morte, Bayard Jr., incapace di tornare alla vita civile, ebbro di velocità e di rischio, si avvita in una violenta dissipazione; non lo salva neanche il matrimonio con Narcissa Benbow, la ragazza dagli «occhi violetti» e dal viso «su cui c’era la quiete placida dei gigli». Bayard appare in sette testi di Faulkner, l’ultimo è The Mansion, in nessuno ha il ruolo cardinale che ricopre in questo romanzo. Il libro, tuttavia, ruota intorno allo spettro del colonnello John Sartoris, il capostipite, specie di faulkneriano Mosè, pressoché ubiquo (appare in 21 storie), eroe della guerra civile a capo di una banda di confederati, uomo tutto d’un pezzo, di aristocratica severità, dal «volto barbuto da sparviero». Morto nel 1876, il colonnello domina la città di Jefferson pietrificato in monumento funebre, a dire che i morti vegliano continuamente sui vivi, ne corrodono i sogni: «Egli svettava su un basamento di pietra, in redingotte e a capo scoperto, una gamba leggermente in avanti e la mano posata con levità sulla colonna di pietra al suo fianco. La testa era sollevata un poco in quel gesto di sprezzante orgoglio che si ripeteva generazione dopo generazione con fatidica fedeltà...». Faulkner aveva tracciato la storia del Colonello Sartoris sulla sagoma del bisnonno, William Clark Falkner (1825-1889), «uomo di frontiera e scrittore», creatura scolpita nel quarzo, contrabbandiere, assassino per onore sfidato a duello da un suo ex soldato, lo accoltella, nel 1849, combattente (nel 1861 organizza «The Magnolia Rifles», una banda militare al servizio dei confederati), drammaturgo, politico: ucciso da un rivale con un colpo di pistola in bocca, la sua figura aleggia in tutti i romanzi del nipote.
Flags in the Dust non è il libro più bello di Faulkner: è quello sorgivo e imperfetto, a tratti grottesco nell’imitazione del gergo dei neri, faticoso, che guarda a Balzac prima che a Melville e Joyce, «tuttavia... è veramente la chiave di volta dell’opera dello scrittore» (Mario Materassi). Terminato nel 1928, rifiutato da dodici editori, raffinato, riscritto, tagliato, Flags in the Dust esce il 31 gennaio 1929 da Harcourt Brace con un altro titolo, Sartoris. Del libro parlano in pochi, sbigottiti dalla prosa, biblica, involuta. Ma la strada, come si dice, è tracciata: nello stesso anno, in ottobre, Faulkner pubblica il capolavoro, The Sound and the Fury, mentre è impegnato a scrivere As I Lay Dying. Lavora presso gli impianti di riscaldamento dell’università di Oxford; carica carbone su una carriola dalle sei alle undici, poi stacca, rovescia la carriola, la usa come scrivania e scrive.
Nel 1973 Random House ha pubblicato il manoscritto originario di Sartoris, privo di tagli. Fu una rivelazione, il Big Bang, incompreso, di uno scrittore che avrebbe cambiato la letteratura del secolo. Oggi il romanzo, nella forma autentica, appare per La Nave di Teseo, tradotto da Carlo Prosperi, come Bandiere nella polvere (pagg. 512, euro 22). Alcuni passi hanno la memorabile icasticità di un mosaico. La descrizione di Virginia Sartoris Du Pre, ad esempio, Aunt Jenny, la sorella del Colonello John: «una donna esile con una delicata replica del naso dei Sartoris e quell’espressione di indomito e supremo tedio che tutte le donne del Sud avevano imparato a ostentare, arrivata con gli abiti che portava indosso e una cesta di vimini piena di vetri colorati».
Flags in the Dust è un libro dove prolifera la polvere e un arcano senso di sconfitta; fitto di città appena fondate e di cimiteri austeri e di città sorte su antichi cimiteri, terra fertile di cadaveri. Un romanzo dove i vivi celebrano le promesse inesaudite dei morti, dove i morti sono ovunque, a stritolare i vivi nella colpa, catartica, pupazzi entro il ring di un ghigno, terminali nervose del regno al di là. Nel libro, Faulkner fonde intime idiosincrasie e ambigue passioni: l’idolatria per il blasone, la nobiltà, il passato eroico (spurio); una certa eversione dai canoni della vita comune; l’aereonautica (William raccontava di aver sorvolato le trincee francesi durante la Prima guerra: in verità, è scartato dalla Air Force perché di costituzione debole; il fratello John, invece, sapeva guidare aerei commerciali: l’altro fratello, il piccolo, Dean, asso del volo, muore, nel 1935, neanche trentenne, su un Waco, durante un’esibizione acrobatica).
Per Faulkner i romanzi sono il pretesto per edificare genealogie labirintiche: i Sartoris, i Compson, i Bundren... Le parentele sono talmente intricate che la University of Virginia ha creato il «Digital Yoknapatawpha Project»: di ogni personaggio faulkneriano viene dettagliata la vita, l’ascendenza, la ricorrenza nell’opera dell’autore. Esattamente come nella Bibbia, il nome, nei libri di Faulkner, è una chiamata, è marchio d’elezione. Ogni nome esige la promessa, la missione: alcuni la realizzano, altri sconfessano gli avi, bestemmiano il nome nell’ardore dell’eresia, lo capovolgono. Solo così nasce un romanzo.