Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 06 Giovedì calendario

La mano di Nek. Un’intervista

È la mattina del 19 novembre 2020 quando nella sua casa in campagna, dalle parti di Montegibbio, a pochi chilometri da Sassuolo (Modena), il 48enne Filippo Neviani – il cantante Nek – accende la sega circolare comprata il giorno prima e invece di staccare il telaio di un vecchio carretto cambia la sua vita per sempre. Da solo, neanche lui sa come, si taglia la mano sinistra dal pollice al mignolo rischiando di perdere per sempre tre dita. Oggi Nek compie 50 anni e il 13 gennaio uscirà per HarperCollins il libro A mani nude, racconto crudo e sincero che parte dall’incidente per diventare un’occasione unica per parlare di sé fra successi, delusioni ed errori. E qualche paura.
Adesso come sta?
«Non mi lamento. Però me la sono vista brutta. Quel giorno ero da solo, lontano da tutto, senza la possibilità di chiedere aiuto perché da quelle parti il telefono non prende. Non so neanche io come sono riuscito ad arrivare in auto all’ospedale più vicino. Ho rischiato di morire dissanguato».
Con la mano come va?
«Dopo il trasferimento al Policlinico di Modena, dove non sapevo ci fosse un reparto specializzato in chirurgia della mano fra i migliori d’Europa, me l’hanno sistemata tenendomi sotto i ferri per dieci ore. Nelle prime 72 ore ho rischiato la necrosi e quindi l’amputazione di indice e medio. I medici mi hanno detto che se ho ancora tutte le dita è un miracolo. Ero messo malissimo».
Riesce a suonare?
«Diciamo che facendo un duro lavoro di riabilitazione ho recuperato all’80 per cento e forse meglio di così non andrà. Mi devo adattare. Non è come prima, ma va bene così. Suonando devo trasformare un deficit in una sfumatura, in qualcosa di più personale e originale».
Gianni Morandi ha scritto la prefazione del libro parlando delle vostre disavventure alle mani (l’11 marzo 2021 Morandi si è ustionato bruciando le sterpaglie della sua casa vicino a Bologna), dicendo di aver trovato in lei un nuovo amico: com’è andata?
«Lo conoscevo ma non eravamo mai stati in confidenza. Quando ho saputo che era ricoverato a Cesena, gli ho scritto un messaggio e da allora ci siamo sentiti tutti i giorni. Chi trova un amico, trova un tesoro, ha scritto Gianni. È vero».
Oggi festeggia 50 anni: come si vede?
«Non saprei. Forse come un eterno ragazzo che sta diventando grande. Un entusiasta della vita sempre più consapevole dei suoi limiti e di quanto ci sia da imparare».
Cosa ha imparato da questa esperienza?
«Che non bisogna mai mollare. Anche quando tutto diventa complicatissimo».
Nel libro racconta con sincerità di come il successo l’avesse trasformata in un arrogante un po’ stronzo e presuntuoso: a cosa si riferisce?
«A quei periodi in cui tutto quello che vivevo mi portava a credere di essere migliore dagli altri e di meritare una vita sempre su un piedistallo».
Faccia un esempio.
«Nel libro non l’ho scritto, ma lo dico adesso perché rende l’idea. Nel 1999 Papa Giovanni Paolo II in occasione del concerto Natale in Vaticano, che insieme ad altri artisti avrei fatto pochi giorni dopo, ci invitò per un’udienza privata. Ero in ritardo, ero appena rientrato da un tour in Messico, e i miei discografici e gli organizzatori cominciarono a chiamarmi di continuo per sapere quando sarei arrivato. Filippo, allora? Stiamo per andare dal Papa. Quando arrivi? E io: Ci sono quasi. Il Papa aspetterà. Per fortuna, mi hanno mandato a cagare. Che cazzo dici? Sei fuori? Il Papa aspetta te?».
A parte Morandi, durante questo periodo così difficile, le persone del suo mondo come si sono comportate con lei?
«Con affetto e solidarietà. I musicisti sono rimasti molto colpiti. A pensarmi senza una mano, tanti si sono spaventati. E li capisco. Io con gli strumenti sono ripartito da zero».
Nel libro racconta trent’anni di carriera: per arrivare fin qui è stato più coraggioso o incosciente?
«Coraggioso, come mio padre. Nel mio lavoro ce ne vuole tanto. Assieme al talento e alla dedizione».
L’ultima cosa coraggiosa che ha fatto?
«Tornare nel capanno degli attrezzi dove mi sono tagliato la mano. È stato come affrontare un mostro. Ho impiegato tre mesi per vincere la paura. Poi mi sono lanciato: ho rivisto il carro, le macchie di sangue, il guanto...».
Scrive anche di quanto le polemiche per la canzone In te, presentata nel 93 al suo primo Sanremo e dichiaratamente antiabortista, l’abbiano segnata: come superò quella fase?
«Senza mollare. Quella era una storia vera, vissuta dall’autore del testo, Antonello De Sanctis. Ero giovanissimo e indifeso, e fui mandato allo sbaraglio. Attaccarmi fu come sparare sulla Croce Rossa. Mi dissero di tutto: dallo stupido al venduto. Fu devastante».  
Quella canzone ce l’ha ancora in repertorio?
«Sì, ma meno di prima».
Oggi come la pensa?
«Non ho cambiato idea. In certe situazioni bisogna trovarcisi, ma la vita è un dono di Dio e va sempre difesa».
Quindi è contro l’aborto?
«Sì, certo. Sono un antiabortista».
Favorevole o contrario alle adozioni per le coppie gay?
«Favorevole ma con tutte le precauzioni previste dalla legge».
La cazzata della vita qual è stata?
«Girare nel 2000 una pubblicità. Non dico quale per non mancare di rispetto (era lo spot di un collant, ndr) a chi mi pagò».
Da giovane il suo idolo era Sting, poi l’ha conosciuto e siete diventati amici: è vero che l’ha rimproverata?
«Sì, di recente ci siamo visti a Venezia, sapeva dell’incidente, e mi ha ripreso: Che cazzo hai fatto? Sei un musicista, devi stare attento».
Con i lavori manuali ha chiuso o no?
«Sono tornato sul trattore, ma non vado oltre».
Nel libro parla spesso di speranza, che non bisogna perdere mai. Il contrario quando le è successo, invece?
«Nel 2013 e nel 2019, dopo un disco fallimentare (Filippo Neviani, ndr) e un brutto Sanremo. Non avevo quasi più voglia».
Cosa spera che le succeda da adesso in poi?
«Di avere sempre qualcosa da dire e fare una colonna sonora per un film. È un mio vecchio sogno».
Quindi con Sanremo ha chiuso?
«Sì, ho già dato. L’ho vissuto in tutti i suoi aspetti tranne la conduzione. Quella la farei».
L’anno prossimo si libera il posto di Amadeus.
«Lo prenderei anche come co-conduttore. Certo, se poi mi danno tutto, ci sto».
Chi vince il Festival?
«Azzardo. Elisa. O Massimo Ranieri. Uno dei due».