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 2022  gennaio 06 Giovedì calendario

Breve storia del panno casentino. Da Dante alla Hepburn

Sessant’anni fa, in Colazione da Tiffany, Audrey Hepburn aveva addosso i colori dell’Appennino toscano. L’elegante cappotto indossato dalla diva per passeggiare nel cuore di New York, realizzato con una lana arancione dagli inconfondibili riccioli, era stato disegnato e tagliato da Givenchy a Parigi. La stoffa, però, veniva da Stia, nell’alta valle dell’Arno. Il panno casentino, nato ai tempi degli Etruschi e di Roma, è stato citato sette secoli fa da Dante. Nelle tonalità meno vistose, dal marrone al grigio, veniva indossato come saio dai monaci di Camaldoli e della Verna. Nel Medioevo però, e ancor più nel Rinascimento, per venderlo alle dame di Firenze i tessitori del Casentino hanno sviluppato due colori squillanti come l’arancione e il verde.
GIACCHE A DOPPIO PETTO
Negli anni del Risorgimento indossavano giacche a doppio petto di panno casentino, con martingala e coda di volpe, personaggi come Bettino Ricasoli, Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Tra l’Otto e il Novecento, i lanifici di Stia e di Soci, nei pressi di Bibbiena, hanno dato lavoro a quasi un migliaio di persone. Durante la prima guerra mondiale, e ancora nella seconda, i colori squillanti del panno hanno lasciato il posto al grigioverde. Poi è arrivata la crisi, che ha colpito gli stabilimenti industriali ma ha lasciato spazio ad aziende più piccole come Tessilnova e Tacs, i cui prodotti si possono acquistare anche oggi.
L’imponente lanificio di Stia, che ha ospitato fino a 500 operai, ha chiuso definitivamente nel 2000. Pochi anni dopo però, grazie a Simonetta Lombard, erede degli ultimi proprietari, la struttura è rinata. Oggi il Museo dell’Arte della Lana (www.museodellalana.it), visitato da migliaia di persone ogni anno, offre un affascinante viaggio nella cultura e nella storia. Si scoprono i paesaggi del Casentino, l’importanza dell’allevamento ovino, i volti delle tessitrici raccontati da splendide fotografie in bianco e nero.
I MACCHINARI
Davanti all’ingresso, una ruota azionata daun torrente mostra che anche la pioggia e il disgelo sui monti hanno contribuito a far crescere l’arte della lana. Il visitatore ripercorre la storia dei telai, dai più piccoli azionati dalle mani e dai piedi dell’uomo fino ai grandi macchinari ottocenteschi azionati da pulegge e catene. Basta premere un pulsante per far echeggiare nelle sale il rumore dei telai al lavoro. L’ultima sala è dedicata alla finitura e al colore, con le macchine per la rattinatura, cioè la realizzazione dei riccioli, e con le grandi pezze verdi e arancione pronte per essere tagliate. In un angolo, accanto a una foto dell’attrice, spicca il cappotto di Colazione da Tiffany.