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 2022  gennaio 06 Giovedì calendario

Intervista a Paolo Conte

Non c’è mai un’età giusta per compiere gli anni con soddisfazione. Se poi ci si mette il fatto che a Paolo Conte i compleanni non piacciono, lasciar perdere parrebbe la scelta più educata. E tuttavia al telefono l’umore del grande Astigiano suona positivo, la cortesia notevole. Troveremo modo di accennare a queste 85 primavere che arrivano oggi, e che non si penserebbero proprio, solo a ricordare l’energia degli ultimi meravigliosi concerti, accolti da entusiasti a migliaia, che della sua musica non ne avrebbero mai abbastanza. Ma l’attesa si prolunga.
Tempi duri, caro Paolo.
«Senza dubbio. Le dico una frase: mai ho sentito come adesso incombere il futuro. Purtroppo si capisce ben poco di quel che succede, si riceve una informazione spesso contraddittoria».
Lei sta fra le colline del Monferrato, come sempre.
«Ci muoviamo il meno possibile. Non è una novità, ho sempre fatto una vita solitaria. Mi va bene così. Con Egle facciamo dei giri col cane, poi torniamo a casa. Qualche volta scendo ad Asti, ma tanto non c’è niente da vedere».
E la musica quanto aiuta?
«A me è passata la voglia. Da tempo non tocco il pianoforte, la sera sento classica su Sky... Ho sentito una bella serie di Rachmaninov. Non ho voglia di comporre, ma ho già avuto periodi di astinenza lunghi, è solo questione di aspettare le ispirazioni; se arrivano, arrivano, però sono sempre a contatto con l’arte».
Magari dipinge?
«Brava. Più che dipingere, mi è tornato il vecchio vizio del disegno, ho scoperto che mi piace usare i pastelli su cartoncino nero. Non mi danno grandi sorprese ma è divertente».
Vengono amici a casa?
«Qualcuno. È stato a cena Massimo Pitzianti, grande musicista e fisarmonicista... ce la contiamo sulla decadenza della musica».
Cioè?
«Ormai viene usato il computer, tutto è uguale, ci sono sistemi che non sono più umani. Mi domando dove godano: non sanno nemmeno dove godono. Per fortuna ho una collezione di tanti dischi di belle musiche del passato. Andrei addirittura di 78 giri, anche se sono scomodi; ho la mia collezione, la tengo cara. Mi hanno detto che i vinili vengono comperati da collezionisti che non li tolgono nemmeno dalla busta di cellophane».
Cosa ascolta di più?
«Vecchio jazz, la mia passione. Anni 20-30. Louis Armstrong, Art Tatum, Sidney Bechet. Jazz pittorico nella sintassi»
L’hanno ispirata, costoro.
«Direi nutrito più che ispirato, mi sono ispirato da solo, mi hanno nutrito fin da bambino. Lì sono cominciate le grandi rivoluzioni estetiche. Anni Venti, erano il dopoguerra della la prima Guerra mondiale».
E «Razzmatazz»? Si parlava di farne uno spettacolo.
«Ci vogliono tanti soldi. Aspettiamo di vedere se arriva qualche magnate a fare profferte. Qualche nababbo. Sono tempi difficili... Far pensieri a lunga scadenza, lei mi capisce. Razzmatazz tra l’altro è stato ripubblicato dalla Feltrinelli: il libro di Allemandi, più il Dvd».
Che cosa legge?
«Gialli scandinavi che sono fatti bene. Degli italiani mi piace Vitali, mi piacciono le storie dei paesi, e i libri della Sellerio. Mi piace Robecchi, e Camilleri l’ho letto tutto».
Un suo libro, caro Paolo?
«Qualche volta ci penso ma poi mollo la presa. Adesso ho un’idea, ci sto riflettendo».
Le canzoni che ha scritto che le piacciono di più?
«Come musica Gli impermeabili, per i testi Genova per noi e Gelato al Limon.
Un album del quale non ritoccherebbe nulla?
«Una faccia in prestito».
Ci sono molti appassionati dei suoi primissimi dischi.
«Eh lì c’era la verginità. Il serbatoio era più ampio».
Le canzoni di altri autori?
«Francesco De Gregori oppure il Guccini di Bisanzio. Nei cantautori c’è stato un grande sforzo letterario».
Quando le accadrà di poter tornare alla musica dal vivo?
«Ho già recuperato qualche mese fa, adesso dovrei riprendere ad aprile, ci sono serate pagate ed esaurite, speriamo di poterlo fare. C’è l’incombere del futuro che non si conosce, non c’è nessuna arma per leggerlo. Da un lato sono catastrofista, dall’altro speranzoso: in bilico tra speranza e delusione».
Possiamo parlare del compleanno di oggi?
«Non mi piacciono le ricorrenze, ma ogni tanto bisogna festeggiare. Sono fatti anagrafici, un po’ di ottimismo ci vuole. Però festeggiamo da soli».
Vinicius de Moraes diceva: «la vita, amico, è l’arte dell’incontro».
«Come amici, posso dire i musicisti della mia orchestra che ormai dura da trent’anni anni. C’è convivenza, amicizia, complicità. Poi ricordo con tanto affetto il mio manager Fantini: era anche modesto, ma aveva le idee chiare. Rambaldi il fondatore del Premio Tenco? Un uomo di gusto e cultura francese, bravo. Un fioraio sì, ma i grandi dilettanti contavano più che i professionisti».
Che cosa vorrebbe oggi come regalo?
«Un ritocco all’anagrafe».