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 2022  gennaio 06 Giovedì calendario

Il caso del programma russo “Ciao”

Un episodio della serie Emily in Paris ha scatenato una polemica planetaria per un ritratto un po’ diffamante con cui è descritto un personaggio secondario di nazionalità ucraina della fiction. Controversia interessante, se non fosse che nei giorni scorsi ne è sfuggita, in Italia, una ben più rilevante (almeno per noi). Nelle relazioni internazionali un buon esercizio per valutare la simmetria dei comportamenti è quello del provare a ribaltare le situazioni per valutarne l’impatto. Diciamo la reciprocità degli effetti.
Proviamo.
Cosa sarebbe accaduto se sul primo canale pubblico, Rai Uno, fosse andata in onda una parodia, in salsa criminale, della Russia? Come avrebbe reagito l’elastica e tollerante democrazia ex sovietica? Un mio amico che si occupa di relazioni internazionali, sorridendo, mi ha risposto: «Ci avrebbero invasi».
Si tratta del secondo anno consecutivo in cui un simpatico contenitore, Ciao, si occupa del nostro Belpaese e se nel 2020 aveva fatto gridare a un atto di amore, in tono ironico, alla nostalgia degli Anni 80 (esclusa, forse, la gag della telenovela tricolore Quattro puttane) quest’anno, come ogni replica, sembra derapare in un manierismo dell’insulto (con tanto di Ciao, logo del programma, cangiante, in luminarie tricolori, in onore alla nostra bandiera).
Un Paese raccontato solo di meridionali; nulla in contrario, ma, per esempio, io sono ligure (non siamo tutti perfetti). Joyce, un secolo fa, ci perculava, mostrandoci come degli eredi di una grandezza sfranta: «Roma (e l’Italia) fa pensare a un uomo che si mantiene mostrando ai viaggiatori il cadavere di sua nonna» e oggi, potesse vedere ciò di cui si scrive, chioserebbe: «La vita è come un’eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii». Chi semina vento, insomma, raccoglie tempesta.
Siamo stati i migliori spacciatori di questa terza internazionale della mafiosità (era Falcone che rispondeva a una stupefatta giornalista che la nostra, «no, non era la mafia più potente del mondo», ma che a lei risultava come tale «perché unica – a quei tempi - a godere di letteratura (e cinematografia)».
Sì, perché nell’autodistruzione non ci siamo mai fatti mancare nulla, distribuendo per anni, nel mondo, fiction dove ogni genere di criminalità veniva lucidata agli occhi del pubblico internazionale in un lavacro penitenziale in cui si faceva a gara a mostrare il peggio di noi (e se non c’era, a immaginarlo).
Quindi, mentre i francesi, nonostante Charlie Ebdo, Bataclan, gilet gialli e criminalità competitive con le nostre, si promuovono, appunto, con Emily in Paris, noi procediamo con questa mitridatizzazione di avvelenamento comunicativo, che retrodata il nostro Paese a un immaginario che, se accoglie Spiderman a Venezia, gli fa incontrare alberghi e imbarcazioni poeticamente disfatti, se arriva James Bond in Italia, manifesta Roma come una città di polvere e penombre, mentre nel film successivo, l’Italia, è ferma al presepe di Matera. E anche se nel mondo Il Diavolo veste Prada, in Ciao 2021 dobbiamo sguazzare in una caricatura del film denominata (A)Gucci tutta mafia e mandolino.
Segue poi la fiction Il Commissario di Como che prima di morire, dopo essere stato travolto da una raffica di mitra della malavita organizzata, mangia prima un piattone di spaghetti, poi legge La Gazzetta dello Sport e, infine, chiama l’amante, in un estenuante esercizio di protagonismo melodrammatico (crasi di una sceneggiata di Mario Merola sul lago manzoniano e del Peter Sellers della scena iniziale del film Hollywood Party).
Ma non abbiamo niente da rivendicare, con tutti i soft power a disposizione, che almeno quando il nostro presidente parla a reti unificate rinuncino a sfotterci descrivendoci come un Paese di mignotte, mafiosi, corrotti, vestiti da un sarto sotto allucinogeni e gravi problemi di daltonismo? Oppure possiamo rinfrescare quella capacità al lazzo, ricordando che quando noi avevamo già avuto Lucilio, Orazio, Ovidio, loro stavano ancora a contare i buoi muschiati? E per ribadire tutto ciò occorre essere inquadrati per italici, autarchici, fascisti o semplicemente permalosi o sarebbe sufficiente un minimo di decoro patrio?