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 2022  gennaio 06 Giovedì calendario

L’auto del futuro, uno smartphone su ruote

Il futuro prima o poi arriva, basta guardare nella direzione giusta. A volte anche un cartone animato. Il 23 settembre 1962 su una tv americana debuttò la prima puntata di una serie che raccontava il mondo in cui immaginavamo di vivere. Si chiamava The Jetsons e narrava le allegre vicende di una famigliola americana alle prese con auto volanti e robot camerieri. Non erano cose campate in aria: c’erano dietro studi scientifici e, in alcuni laboratori, persino i prototipi. In quell’anno un quotidiano italiano, citando tre esperti statunitensi, titolò: “Nel 2000 i telefonini faranno tutto loro”.
Ripetiamolo: era il 1962, i telefonini neanche esistevano ma chi faceva quelle previsioni non era un profeta, era uno scienziato. Ecco, il fatto è che oramai le automobili assomigliano sempre di più a smartphone con quattro ruote e si candidano “a fare tutto loro”. Il motivo appare evidente: per non scomparire, in un mondo che ha scelto la sostenibilità come stella polare, l’automobile deve diventare più “intelligente”: gestire meglio i consumi, la sicurezza e anche l’intrattenimento. Diventare di nuovo indispensabile, come lo sono i nostri smartphone.
La svolta è stata l’auto connessa e non è di oggi. Il primo dispositivo fu forse quello montato, in collaborazione con Motorola, su una Cadillac che faceva partire automaticamente una chiamata di soccorso in caso di incidente: anno 1996. L’ultima accelerazione è però stata esponenziale: oggi un’automobile di fascia alta ha circa 150 unità di controllo elettronico basate su microprocessori in grado di eseguire centocinquanta milioni di linee di codice che si occupano di gestire tutto o quasi, dalla velocità di crociera alle frenate fino ai parcheggi (per questo la crisi mondiale dei chip sta avendo effetti così importanti sul settore).
Insomma una volta il software era solo una piccola parte dell’automobile, oggi ne determina il valore per circa il 40 per cento. Sono stime contenute in uno studio recente che ha un titolo suggestivo: “How Software Is Eating the Car”. Una citazione di un famoso saggio del 2011, firmato da uno dei ragazzi prodigio della Silicon Valley, Marc Andreessen, il quale aveva profetizzato che il software non si sarebbe limitato a stare nel mondo digitale classico, quello dei siti web, ma si sarebbe “mangiato il mondo”, avrebbe trasformato tutti i settori industriali, anche quelli che sembravano più lontani dalla rivoluzione digitale; anche quelli che erano rimasti orgogliosamente, e un po’ ottusamente, nel secolo scorso. Come l’automobile appunto.
Lo si vede in questi giorni a Las Vegas, alla più importante fiera di elettronica di consumo, il Ces, un tempo palcoscenico per lanciare computer, tv e videogiochi: quest’anno si parla quasi solo di mobilità. Le due direzioni principali sono note da tempo: i motori elettrici e la guida autonoma; insomma, la strada tracciata da Elon Musk con Tesla quando nessuno ci credeva. Ma la sensazione è che ormai ci siamo, non solo annunci. C’è un furgone a guida autonoma, per esempio, che non solo non ha il volante, ma neanche la cabina dell’autista che in effetti non serve più per consegnare fino a 900 chili di carico in circa 80 fermate; tra breve lo vedremo sulle strade di Francia, Giappone e Corea, ma prima in Israele, Paese frontiera della mobilità del futuro dove ha sede l’azienda che lo ha realizzato il furgone. Si chiama Mobileye e dal 2017 è di proprietà di Intel, leader americano dei microchip.
Tra breve forse un cartone come i Jetsons non sarà più nella categoria fantascienza ma fra i documentari. Nel 2024 dall’aeroporto di Fiumicino dovrebbe partire il servizio taxi di un drone elettrico senza pilota che farà la spola con Roma in 15 minuti. È una macchina? Un aereo? Un elicottero? È il futuro.